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16:53 giovedì 13 novembre 2025
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.
L’unica persona ancora convinta che Trump non sapesse niente dei traffici di Epstein è l’addetta stampa della Casa Bianca Nonostante le ultime rivelazioni riguardanti gli Epstein Files, Karoline Leavitt continua a ripetere che «il Presidente non ha fatto nulla di male».
È uscito il primo trailer di Marty Supreme, il film sul ping pong con cui Timothée Chalamet punta a vincere l’Oscar Il film di Josh Safdie è stato accolto con entusiasmo dalla critica e il suo protagonista è già lanciatissimo verso la statuetta per il Miglior attore. 
Da oggi scatta il blocco ai siti porno per i minorenni, solo che al momento non è bloccato niente Dal 12 novembre i portali per adulti devono controllare l'età degli utenti con un sistema esterno e anonimo, che però non è ancora operativo.
È morto Homayoun Ershadi, leggendario attore iraniano che Abbas Kiarostami scoprì a un semaforo Il suo ruolo ne Il sapore della ciliegia lanciò una carriera iniziata per caso: nonostante il successo, non si è mai sentito un vero attore.
Papa Leone XIV ha rivelato i suoi quattro film preferiti e tra questi non ci sono né ConclaveThe Young Pope E neanche Habemus Papam e I due Papi né nessun altro film che parli di Papi.

Il futuro è un post sponsorizzato?

Il mercato legato agli influencer raggiungerà volumi importanti nel breve periodo: a che punto siamo con le regole.

21 Dicembre 2017

Secondo diversi studi e ricerche di mercato, come quelle condotte di recente dalle agenzie L2 e Mediakix, il valore degli affari generati dal marketing degli influencer nel 2019 si attesterà tra i 2 e i 2,3 miliardi di dollari, di fatto raddoppiando in poco più di due anni il fatturato stimato per il 2017, che era intorno al miliardo di dollari. Questo significa che i nostri feed e le nostre timeline saranno sempre più popolate da contenuti sponsorizzati, provenienti dalle personalità social che sceglieremo di seguire ma anche dai giornali, in uno spettro ampissimo che va da Fedez a Selena Gomez e passa per i quotidiani e le riviste che leggiamo. Nel 2016, la Federal Trade Commission ha prodotto negli Stati Uniti il primo manuale di regolamentazione sulla pubblicità digitale, estendendo le proprie “raccomandazioni” già esistenti ma che erano datate al 2009. La FTC ha infatti invitato celebrity e influencer, tramite delle apposite lettere di avvertimento, a segnalare in maniera chiara e inequivocabile la natura dei propri post di prodotto: a esplicitare, cioè, se si tratta di una collaborazione retribuita, di un regalo o (molto più raramente) di un acquisto spontaneo.

Questo perché tag e menzioni possono confondere non poco le idee dell’audience di molti influencer e gli hashtag che dovrebbero indicare il contenuto pubblicitario finiscono spesso per scomparire sotto didascalie lunghissime, emoticon e altri hashtag tra i più disparati. Ecco perché la FTC ha stabilito che l’eventuale sponsorizzazione vada segnalata nelle prime tre righe del post e che gli hashtag siano quanto più lapalissiani possibili: non parole ed espressioni dubbie come #partner o “Thanks to @” ma piuttosto #sponsored e/o #advertising, per fare un esempio. Nel luglio di quest’anno, anche l’Antitrust si è allineata al manuale d’oltreoceano e ha formalmente inviato delle lettere “moral suasion” a una lunga lista di celebrity social e aziende, tra cui proprio Fedez (l’esposto di molte associazioni di consumatori contro di lui, intanto, è stato respinto), Belen Rodriguez e Alessia Marcuzzi fra gli altri, per invitarli a essere più trasparenti possibili nella condivisione dei propri contenuti. La pubblicità, insomma, dev’essere riconosciuta chiaramente come tale attraverso l’uso di hashtag specifici come #inserzioneapagamento o #prodottoapagamento.

Chloe : Front Row - Paris Fashion Week Womenswear Spring/Summer 2016

In Italia, d’altronde, non esiste ancora oggi una norma specifica in merito: della questione se ne occupa in parte l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap) che come segnala Luca Zorloni su Wired, «ha il compito di far rispettare il codice pubblicitario nazionale (compilato e promosso dalle stesse aziende che lo usano), e il codice del consumo». A seguito dell’approvazione del cosiddetto DDL Concorrenza nell’agosto 2017, e dopo le molte pressioni dell’Unione nazionale dei consumatori, il governo italiano si è poi formalmente impegnato a regolare la pubblicità occulta sul web con un intervento legislativo ad hoc. Le lettere di “di sollecito” dell’Antitrust, però, così come quelle della FTC, non sembrano aver sortito particolare effetto, almeno per ora. Lo ha scritto recentemente anche Julie Zerbo di The Fashion Law, che della questione si è sempre occupata: a un anno dall’approvazione di quel manuale di comportamento, il rapporto che molti influencer intrattengono con altrettanti marchi sui loro profili è ancora arenato in una zona piuttosto grigia, sia che si tratti di influencer nativi digitali, magari specializzati nel lusso, sia che si tratti di personaggi dello spettacolo che non rivestono più il ruolo del classico testimonial ma che, di fatto, lo sono eccome. Questo perché, molto semplicemente, non si rischia granché.

In una bella tavola rotonda sul tema dell’autenticità digitale sull’ultimo numero di Vestoj Magazine, Alice Hines dialoga con cinque designer scelti fra quelli di Labelhood, un incubatore di desing con base a Shangai. Nella lunga conversazione, che più in generale affronta il problema del creare degli oggetti autentici che non siano solo il frutto di una rielaborazione più o meno riuscita del passato, tutti i designer coinvolti citano il ruolo che per i loro marchi, presenti sul mercato cinese, hanno svolto i cosiddetti KOL, che sta Key Opinion Leaders, il cui gradino più alto è occupato dai Wang Hong, praticamente le superstar dell’influencer marketing. Quello cinese è un punto di osservazione interessante, intanto perché il mercato dell’e-commerce del lusso da quelle parti è enorme – almeno il 72% dei cinesi compra abbigliamento online, secondo le stime di PWC – e ha un considerevole margine di crescita per il 2018 (qui le previsioni di Glossy), quindi perché su social come WeChat è nata una vera e propria “fan economy” (ne abbiamo parlato su Studio n° 30) legata ai KOL e agli Wang Hong. I designer intervistati da Hines ammettono che è fondamentale coinvolgerli, ma che, soprattutto per i marchi emergenti che casualmente finiscono nelle loro grazie, è difficile destreggiarsi tra collaborazioni, fake e sponsorizzazioni.

Il tema della mancata regolamentazione in materia ha a che fare, non da ultimo, anche con i giornali e i giornalisti. Ne avevo parlato con Antonio Mancinelli e Angelo Flaccavento a proposito dei “problemi” del giornalismo di moda. In realtà, è un discorso che esula dal settore specifico, se non fosse che nella moda è più evidente che altrove. Steve Dool su Fashionista ha provato a fare un’analisi a partire dalle esperienze personali di alcuni editor e influncer di importanti media americani, disegnando un panorama molto variegato, all’interno del quale coesistono giornali che impediscono ai propri impiegati di ricevere doni di nessun tipo a titolo personale (i quotidiani come il New York Times, per esempio) e altri che invece incentivano la figura del giornalista/influencer, in particolar modo se ha un cospicuo seguito social (come Nylon Magazine). In questo secondo caso, però, il dubbio deontologico sulla credibilità giornalistica rimane, anche perché come scrive Dool, «(in America) la trasparenza è legge, ma nessuno – neanche la FTC – può regolare l’integrità».

Foto Getty
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