Il Mostro di Stefano Sollima è il contrario di un true crime e funziona proprio per questo

La miniserie in quattro parti, presentata a Venezia e appena arrivata su Netflix, non dà la caccia a un colpevole né prova a risolvere il mistero. Si concentra sulla confusione, l'angoscia, la violenza e sulle vittime, soprattutto le donne.

23 Ottobre 2025

Una coppietta appartatasi per fare sesso viene brutalmente uccisa da uno sconosciuto, in una sequenza tanto agghiacciante quanto puntuale, ricostruita con cura maniacale a partire da decenni di documentazione processuale. È la descrizione della scena di apertura di due delle opere più fedeli alla verità che si sia mai tentato di realizzare entro i confini della fiction: Zodiac di David Fincher e Il Mostro di Stefano Sollima. Un confronto lusinghiero per il regista italiano, considerando che il film di Fincher ha fondato e istituzionalizzato il genere narrativo di maggior successo di questo decennio. Entrambi i titoli sono stati presentati alla Mostra del cinema di Venezia, entrambi hanno lasciato alcuni entusiasti, altri spiazzati. Succede quando, dopo aver consumato, se non abusato, per anni di storie di cronaca nera trasformate in prodotti d’intrattenimento, ci si trova davanti a un racconto che fa esattamente l’opposto.

Non una serie per mostrologi

Il Mostro è l’ennesimo racconto dell’assassino seriale più famoso d’Italia, una che ha alimentato un culto di investigatori più o meno professionisti e una produzione continua di libri, podcast, thread sui forum e teorie su teorie. Dagli storici ai podcaster dilettanti, tutti sono ancora impazienti di dire la loro sul Mostro, di provare a indovinare chi fosse (sia?) davvero, quale dei tanti indagati fosse il vero assassino, quali e quante furono esattamente le sue vittime. La miniserie Netflix è profondamente diversa dalle altre produzioni di questo tipo, però, perché non ha nessuna risposta da dare. Non ce l’hanno i creatori della serie Stefano Sollima e Leonardo Fasoli, né tantomeno Francesco Cappelletti, il consulente storico a cui si sono rivolti, scelto proprio perché negli anni non si è mai lanciato in teorie e ricostruzioni personali.

È un punto di partenza narrativo, produttivo e morale così forte da trasformare la miniserie con cui Netflix festeggia i  suoi dieci anni in Italia nella sua produzione autoctona più riuscita da lunghissimo tempo a questa parte. Il Mostro somiglia a Zodiac perché una volta deciso di astenersi dal (pre)giudizio su quanto accaduto e come, non rimane che seguire i fatti e, a dispetto di quanto possa sembrare, questa non è una strada semplice da percorrere.

Significa per esempio dover lasciare da parte la figura più nota e famigerata dell’indagine, Pietro Pacciani, perché la storia del Mostro parte molto, molto prima. Anche la domanda sul quando far iniziare la storia non è una da poco: dal primo omicidio accertato del Mostro o da quando il concetto di “mostro” e “assassino seriale” entrarono nella cronaca e nell’immaginario collettivo italiano? Si è scelta questa seconda strada, come ha spiegato Fasoli, partendo dal delitto di Baccaiano del 1982: «C’era stato un delitto nel 1968, attribuito al marito della vittima. Poi altri due duplici omicidi nel 1974 e nel 1981. Fino a quel momento però non esisteva l’idea di un “mostro” o di un serial killer, concetto allora atipico per il panorama criminale italiano. È solo con il delitto del 1982, da cui partiamo, che comincia la ricerca di un unico omicida».

La “pista sarda”

A ogni nuova ripresa degli omicidi, a ogni nuovo sospettato che entra in scena, il Mostra cambia corporatura, l’angoscia dello spettatore si aggrava a ogni minuziosa ricostruzione della violenza estrema dell’assassino, e ancora di più osservando la difficoltà degli inquirenti (e della serie) nello stabilire delle certezze. C’è un passaggio particolarmente incisivo in cui uno di loro, degli inquirenti, rassegnato, si rivolge ai colleghi, prende un pacchetto di sigarette, lo svuota, lo accartoccia, lo fa a pezzi, e poi sottolinea che, per quanto adesso possa essere irriconoscibile, quello è pur sempre un pacchetto di sigarette. Nelle parole di Sollima: «Abbiamo deciso di narrare la storia non tanto della caccia a un singolo mostro, ma di tutti i sospettati, di tutti i presunti mostri che nel corso delle indagini sono stati identificati, processati e, in alcuni casi, condannati. In questo processo di riordino, ci è sembrato doveroso ricominciare la storia dall’inizio, e la “pista sarda” è stata la prima delle grandi indagini sul caso.»

Sembra una scelta pavida, inizio di un risultato confuso, invece è esattamente l’opposto. Sono il rigore e la disciplina con cui Sollima e la sua squadra ricompongono questi frammenti di carta macerata dal tempo e dall’usura che permettono, talvolta, d’intravederne la forma originaria, il pacchetto di sigarette. Per raggiungere questo obiettivo, non ci si può piegare alla consuetudine: nel cast, per esempio, non ci sono facce note, perché la pista sarda esige interpreti in grado di parlare perfettamente il dialetto, a discapito del richiamo della star riconoscibile e amata.

Seguire le tracce degli investigatori che scoprono dei vecchi omicidi riconducibili al Mostro significa anche fare continuamente avanti e indietro nel tempo, con salti di dieci, vent’anni, passando dalla Toscana alla Sardegna, non stancandosi mai di tornare indietro, tirare una riga su una certezza e degradarla in dubbio. Significa trovarsi di fronte alla necessità di mostrare la violenza di quelle morti così com’era, ma senza cedere alla morbosità. A costo di rinunciare a un pezzetto di libertà creativa, di far scendere il gelo sul set prima di battere il ciak: «Quando ricostruivamo i delitti si creava un’atmosfera terribile, perché stavamo mettendo in scena una storia vera con massima veridicità – ha raccontato Sollima – Prima Cappelletti raccontava a tutti, attori e troupe, cosa era successo, e si creava comprensibilmente un momento di gelo. Solo dopo intervenivo io con le indicazioni di regia. Senza Francesco, questa serie non sarebbe stata possibile».

Il risultato è raggelante, tanto da aver colpito anche chi quei delitti li conosce profondamente: «Sul set ho vissuto momenti emotivamente molto forti – ha rivelato Cappelletti – Stefano mi chiedeva di raccontare al cast cosa era avvenuto, basandomi sulle perizie medico-legali e balistiche, che spesso si contraddicono. Nonostante segua questa storia da 17 anni, in più di un’occasione ho sottovalutato l’impatto emotivo e sono rimasto con le parole strozzate in gola».

Una risposta ovvia

È legittimo chiedersi cosa rimanga allo spettatore di questa miniserie tanto puntuale quanto incompleta, perché impiega tutto il tempo a sua disposizione per esplorare solo il primo tratto di una vicenda storica e processuale lunghissima. È una domanda a cui parte della stampa statunitense – poco familiare con il caso e inconsapevole del terrore che suscitò in Italia – non ha saputo trovare risposta. In parte è la stessa che trovò Fincher nel 2007: l’impossibilità, dopo un certo numero di errori compiuti da parte degli inquirenti, dopo un certo numero di ipotesi fatte e confutate, di trovare una certezza da cui farsi rassicurare. Una risposta bisogna comunque provare a darla, e poi convivere col fatto che un errore possa portare altre morti o mettere alla gogna un innocente.

Sollima però quel pacchetto di sigarette fatto a brandelli lo ricostruisce abbastanza da fornirne un’immagine chiara, tutt’altro che sorprendente. Un’immagine che ritrae il Dopoguerra, il boom economico, la migrazione di massa dei meridionali in Nord Italia, e ancora la liberazione sessuale, la leggerezza degli anni ’80 è l’immobilità della morale italiana. Quella del Mostro rivista così, eliminando dal tavolo la pedina del proprio colpevole preferito, è la storia di donne che in comune hanno la predestinazione a essere vittima. Molto, molto prima di essere ammazzate dal killer. In una società patriarcale che pretende da loro che subiscano la violenza in silenzio, altrimenti sarà la stessa società a usare la violenza per punirle del tentativo di ribellarsi alla sentenza senza appello del loro genere.

Lo dice anche Fasoli: «Leggendo gli atti, era evidente che si trattasse di una violenza di genere. L’obiettivo primario era la donna; l’uomo era un ostacolo da rimuovere. […] Noi abbiamo reso esplicita questa lettura, raccontando anche il contesto storico-culturale degli anni ’60 e ’70 che, purtroppo, non è così distante da oggi, per certi aspetti. Tutte le persone sospettate, tra l’altro, commetteranno o avevano commesso gravi atti di violenza sulle donne». È proprio questo il vuoto che, dopo anni di produzioni dedicate, Il Mostro di Netflix si ritrova a colmare, perché racconta una storia di violenza contro le donne che va oltre gli omicidi, oltre i mariti violenti, le famiglie omertose, oltre gli inquirenti e i giornalisti, fino a inghiottire l’Italia intera.

I “mostrologi” hanno trasformato il caso del Mostro di Firenze nel multiverso della follia italiano

Il trailer della serie di Stefano Sollima ha riacceso la discussione in una comunità che in 40 anni ha prodotto un'immensa mole di mitologia, tra teorie alternative, radio private, blog, forum, social, romanzi, podcast, e talvolta veri e propri deliri.

Il nuovo trailer del Mostro conferma che la serie di Stefano Sollima è uno dei titoli imperdibili della Mostra del cinema di Venezia

Dopo la prima a Venezia sarà disponibile su Netflix a partire dal 22 ottobre.

Leggi anche ↓
Orfeo di Virgilio Villoresi è un’altra prova del fatto che un nuovo cinema italiano sta nascendo davvero

L’opera prima del regista, adattamento del Poema a fumetti di Dino Buzzati, mescola live action, animazione e musica per creare un mondo e un linguaggio con pochi eguali nella storia recente del nostro cinema.

L’età dell’oro del cinema italiano non sarebbe stata la stessa senza le fotografie di Tazio Secchiaroli

Del leggendario fotografo abbiamo parlato con il figlio Davide, in occasione dell'inaugurazione della mostra dedicata a suo padre al Festival del Cinema di Porretta Terme.

La leggendaria collezione d’arte di Ileana Sonnabend è arrivata a Mantova

Ha aperto nel Palazzo della Ragione un nuovo museo dedicato a una delle collezioni private più importanti del Novecento: 94 opere che hanno cambiato la storia dell'arte.

L’acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix sta mandando nel panico tutta l’industria dell’intrattenimento

La geografia del cinema e dalla tv mondiale cambierà per sempre, dopo questo accordo da 83 miliardi di dollari.

Arabella, un film, due amiche

Carolina Cavalli e Benedetta Porcaroli, rispettivamente regista e attrice de Il rapimento di Arabella, al cinema dal 5 dicembre, sono le protagoniste della nostra nuova digital cover.

L’unica tappa italiana del tour di Rosalìa sarà a Milano, il 25 marzo

Sono uscite le date del tour di Lux: partirà il 16 marzo 2026 da Lione e si chiuderà il 3 settembre a Portorico.