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La riscoperta di un grande fumetto, intervista a Chris Reynolds

Tunué pubblica finalmente la versione integrale di Un mondo nuovo, precursore della serie tv distopica Black Mirror.

18 Dicembre 2019

Nella sovrabbondante produzione fumettistica che raggiunge –grazie alla distribuzione – gli scaffali italiani, non mancano ultimamente quei titoli cult che nessuno si aspetta. Un mondo nuovo di Chris Reynolds è tra questi: dalla sua ha innanzitutto una lunga e travagliata storia editoriale; un mero recupero paleontologico che merita delle giuste premesse. Perché la pubblicazione di Reynolds in Italia (e non solo) rappresenta un grande evento nel mondo del fumetto? In parte lo si deve appunto alla complicata vita editoriale e a partire dai tardi anni Ottanta, risalente a quando si potevano leggere i primi episodi del mito seriale (squisitamente carbonaro) Mauretania Comics; di cui si sono perse misteriosamente le tracce qualche lustro dopo. La più celebre storia lunga Mauretania, salutata come opus magnum, è stata pubblicata negli anni Novanta dalla Penguin (Regno Unito), e in Italia da Feltrinelli sotto la collana I Canguri; primo e tuttora unico antesignano di un titolo Feltrinelli Comics.

Seth, autore di Clyde Fans (un lavoro giunto sugli scaffali dopo vent’anni), ha scritto sul The Comics Journal (2005) un pezzo che oscilla tra l’agiografia e il riconoscimento accademico nei confronti di Reynolds; lodandone il lavoro svolto sulle pagine di quei tanto ricercati racconti di Mauretania Comics. Solo nel 2017, grazie ancora all’endorsement di Seth e in veste eccezionale di editor e designer del volume Un mondo nuovo (New York Books Review), ha contribuito definitivamente a far emergere il nome del fumettista gallese al di là del circuito indipendente. Da lì Reynolds è stato presente su tutti i radar dei lettori più esigenti e degli addetti ai lavori più curiosi. Ma ad alimentarne ancora l’aura di mistero sono le poche informazioni che circolano sulla biografia, come ha scritto Raffaele Alberto Ventura su Tuttolibri: «Difficile dire cosa rappresenti oggi Chris Reynolds per il fumetto contemporaneo: un outsider assoluto o un pioniere? Sicuro uno dei segreti meglio custoditi del fumetto indipendente degli ultimi decenni».

Le storie a fumetti recuperate e contenute nel volume, molte delle quali brevi (una manciata brevissime perché da una tavola), e un paio medio-lunghe, sono un ibrido tra l’ermetismo narrativo di Winding Refn e le atmosfere rarefatte di Twin Peaks. Altro fattore che eleva Un mondo nuovo ad antologia culto è senza dubbio il tratto con cui ha saputo incidere nettamente, grazie anche all’uso del contrasto tra bianco e nero che campeggia in ogni tavola. Tra gli elementi di spicco c’è il personaggio emblematico di Monitor: il ragazzo (o uomo?) giustiziere che interviene nei racconti dal climax più denso. Ogni storia si sbarazza delle soluzioni di trama, concentrandosi in primis sulle atmosfere e sui monologhi dei personaggi che vivono nella gabbia fumettistica; per loro una mera finestra che si affaccia su mondi lontanissimi. Gli abitanti della fantomatica Mauretania, terra lontana dalle carte geografiche del nostro mondo, sono spettatori immalinconiti di un futuro che non arriverà mai nelle loro mani, e qui Reynolds ha anticipato e a sua insaputa il discorso hauntology con il linguaggio della nona arte. Da osservare qui come i personaggi («The characters themselves are creatures of intuition», scriveva Seth) vagabondino tra le rovine architettoniche di una civiltà apparentemente futuristica.

L’editore di Latina Tunué, con la pubblicazione nostrana di Un mondo nuovo (traduzione di Matteo Gaspari), colma finalmente una grande lacuna. Chris Reynolds è stato da poco protagonista a Bologna al festival Bilbolbul, con due incontri e una mostra a lui dedicata, e a Più libri più liberi di Roma. Nell’ultima tappa di presentazioni abbiamo incontrato il fumettista, il quale ci ha parlato di isolamento, di uomini che indossano caschi e dell’accoglienza nostrana che sta ricevendo in questi giorni.

Il Dial è il racconto lungo che apre l’antologia. Il plot è dei più enigmatici: Reg perde la sua abitazione a causa di una ditta che sta portando avanti degli scavi in zona. Più avanti l’uomo fa la scoperta di una chiesa, quest’ultima sembra appartenere a un misterioso ordine religioso. La storia, più che indagare sulla natura della setta, segue da vicino la vita di Reg immerso nel contesto quotidiano. Se è così, perché?
Il personaggio di Reg è instabile, da cui possono scaturire diverse insicurezze e visioni. La maggior parte dei miei racconti parla appunto di questo: della perdita di un mondo nuovo. Il tema dell’illusione è ricorrente in tutte le mie storie. Per quanto riguarda la summenzionata è stata aggiunta l’ultima interpretazione da parte dei lettori: che in realtà sia tutto frutto dell’immaginazione di Reg che riversa in una condizione psicologica precaria (e non sembra nemmeno accorgersene). O che invece sia una presa di coscienza di Reg, rassegnato dal fatto che dovrà lasciare prima o poi questa terra? Chi può dirlo.

Le storie brevi, così come le opere lunghe (Il Dial e Mauretania), lavorano sugli ambienti e sull’atmosfera. Hai avuto dei riferimenti in particolare?
L’ambientazione presente in ogni storia non è una mera ripresa dei luoghi reali, ma è solo una proiezione che manifesta i sentimenti dei personaggi.

Appunto i palazzi, e in genere le abitazioni, si prendono la scena. Nella serie di racconti L’età d’oro (promozionale di Bilbolbul disponibile nel tour italiano, nda) ne amplifica il sense of wonder e il fascino. E qui possiamo avere un riferimento storico architettonico ben preciso (un grande arco costruito in età romana), dove in realtà è tutto indefinito nel mondo nuovo.
L’attenzione che c’è stata per i luoghi e le strutture testimonia la mia passione per l’architettura. La scelta in L’età d’oro è ricaduta sull’impressionante arco romano perché pensavo fosse adatto a suscitare stupore in chi la guarda. L’antichità romana arriva a tutti per la sua bellezza senza tempo.

Il ricordo è il filo rosso che lega tutto il volume Un mondo nuovo. I personaggi – compreso Monitor – ci si avvicinano, ma mai mostrando veramente dei flashback al lettore. Questo come per dire: che è una pratica ormai remota quella della memoria?
Il flashback è un tema che non viene mai mostrato nel corso delle storie, ma suggerito o immaginato. L’intento era quello di raccontare la memoria che nel mondo nuovo confluisce in qualcosa di vago se non confuso.

Sempre Tunué ha pubblicato in Italia Quello che voleva essere (2019, trad. Omar Martini), un’opera della sua connazionale Carol Swain. L’elemento in comune tra le due opere è il senso di inadeguatezza che pervade ogni pagina.
L’ho conosciuta qualche anno fa, ed è secondo miglior fumettista dopo di me (ride). In comune abbiamo dei personaggi che soffrono perché altamente vulnerabili. I protagonisti provano sentimenti contrastanti davanti al nuovo, e questo li rende insicuri e fragili perché tutto ciò che accade loro intorno li può prendere alla sprovvista; e fa veramente del mondo nuovo un contesto reale per non dire tridimensionale.

Chris Reynolds (fotografia dell’autore)

2005: Seth ha dato il via alla riscoperta della tua produzione a fumetti. Dodici anni dopo interviene come editor e designer sul volume che stai presentando. Da allora quali sensazioni ti hanno accompagnato fino ad oggi?
Assolutamente estasiato dal lavoro di Seth, anche perché c’è stata una forte sinergia. Posso anche confermare che non c’è stata nessuna interferenza sulle mie decisioni. In Francia uscirà a breve una selezione simile di storie, una nuova antologia in grado di far conoscere racconti che altrove sono rimasti inediti.

Oggi quali sono gli autori che apprezzi del panorama indipendente?
Ultimamente non riesco a seguire le nuove uscite editoriali, ma a chiunque legga questa intervista auguro sempre un buon lavoro; e di cercare sempre il risultato desiderato!

La tecnologia fa capolino in un racconto particolare. La tua produzione può essere accostata alla serie tv antologica Black Mirror, anche se non c’è una presenza soffocante della tecnologia moderna. Con Un mondo nuovo anticipa negli anni Ottanta il discorso dell’hauntology (più avanti battuto dal critico Mark Fisher).
Sì, l’hauntology è un argomento da me affrontato e in maniera del tutto accidentale. Riguardo la presenza della tecnologia: mi interessava dare un ruolo a questa con lo scopo di tirare avanti le fila della narrazione. Nell’ultima settimana ho parlato con diverse persone, e ho avvertito una forte inquietudine, una paura che posso comprendere. La preoccupazione mista a nostalgia per il futuro è una tematica più che attuale. Il consiglio che sento di dare agli aspiranti fumettisti è di farsi forza da soli, sarà sempre interessante capire come reagire davanti agli stravolgimenti del nostro tempo.

Monitor, presente nelle storie più cruciali del volume, sembra proteggersi con il suo casco da un mondo che non riconosce più. Che significato ha essere alienati nel 2019?
Il sentirsi alienati in questo momento storico è un sentimento che può essere superato, a differenza di chi lo era negli anni Ottanta.

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