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Nel cerchio magico di Assad

Il regime siriano visto da Ayman Abdel Nour, ex consigliere di Bashar al-Assad: "Se lo conosci, lo eviti"

09 Luglio 2012

Su Manaf Tlass, il più importante generale che finora abbia disertato l’esercito siriano, abbondano gli aneddoti agiografici. L’ultimo è stato diffuso da Joshua Landis, forse il massimo esperto americano di Siria, che sul suo blog lo definisce “bello come una star del cinema” e racconta come, ogni volta che Tlass entra in una stanza, si voltino d’istinto non soltanto le donne, ma persino gli uomini.

Classe 1964, Manaf Tlass (nella foto) era uno dei vertici della Guardia Repubblicana, le truppe di élite che a partire dal marzo del 2011 stanno reprimendo le rivolte nel sangue. La scorsa settimana ha lasciato in gran segreto la Siria, rifugiandosi prima in Turchia e poi a Parigi, dove la famiglia l’aspettava: una fuga bene organizzata. Quello che rende importante, più di molte altre, la defezione di Tlass, non è tanto il suo alto grado. Quanto piuttosto il fatto che, prima delle rivolte, era il migliore amico di Bashar al-Assad.

Per discutere dell’impatto – politico, strategico e soprattutto simbolico – della defezione di Tlass, abbiamo contattato un altro ex confidente di Bashar al-Assad che ha deciso (in questo caso molto prima) di voltare le spalle al regime, convinto che non potesse essere riformato dal suo interno: Ayman Abdel Nour, ex consigliere, nonché compagno di università, del presidente, che ha lasciato la Siria dal 2007 e oggi dirige, dagli Emirati Arabi, il sito All4Syria, uno degli organi d’informazione dell’opposizione siriana.

Come cambiano le cose adesso che Tlass se n’è andato?
Per la struttura del regime, non cambia niente. Bisogna tenere conto di come funziona la il potere in Siria: c’è Bashar, che crede di essere Dio, e sotto di lui non c’è alcun numero due, ci sono soltanto vassalli che si odiano a vicenda, grazie a una strategia “divide et impera” che è una specialità di Assad. Il risultato è che nessuna singola defezione è in grado di fare crollare il sistema: se anche Maher Assad [fratello minore del presidente, nonché comandante della Guardia Repubblicana, NdR] defezionasse domani, non cambierebbe nulla, sul campo.

E allora perché la stampa sta dando tutto questo peso alla vicenda?
Perché tutti sanno che Manaf Tlass era il migliore amico di Bashar: facevano persino le vacanze insieme! E quando anche il tuo migliore amico ti abbandona, significa che qualcosa non va. Agli occhi dei sostenitori, Bashar si presenta come un Dio. Come spiegherà la decisione di Tlass? Adesso persino i suoi fanno stanno cominciando a rendersi conto che, be’, Assad non è un Dio. Questa defezione manda un messaggio ai supporter della dittatura: non c’è un futuro per il regime, è tutto un bluff.

Fonti dell’opposizione hanno detto ai media che nella nuova Siria ci sarà un posto per Tlass. Però fino a ieri era un intimo di Assad. Come è possibile accettare una cosa del genere?
Prima di tutto, fin dall’inizio Manaf ha tentato la strada del dialogo: questo ha fatto infuriare Bashar, che per questo l’aveva messo da parte, finché non è fuggito. Se n’è andato proprio perché non ha voluto prendere parte nelle uccisioni e nelle torture.
Detto questo, è facile criticare da fuori. Chi meglio di persone come me o come Manaf possono sapere quanto è marcio il regime di Assad? Noi l’abbiamo visto da vicino, lo conosciamo e per questo la nostra decisione ha valore.

Quando Bashar è salito al potere, dodici anni fa, in molti si erano illusi che fosse un riformatore. La stampa occidentale aveva addirittura parlato di una Primavera di Damasco…
Bashar ha fatto delle riforme, ma poi ha cominciato ad ascoltare gli uomini dell’intelligence, che da un lato gli dicevano di reprimere l’opposizione, dall’altro lo adulavano senza ritegno. E lui ha cominciato a vivere in una specie di involucro, si è bevuto le loro lusinghe e si è convinto di essere l’uomo più intelligente del mondo, una specie di messaggero di Dio: io stesso, che a quei tempi ero uno dei suoi massimi consiglieri, ricordo bene di averlo visto cambiare profondamente. Si è montato la testa.

Però lei se n’è andato soltanto nel 2007. Cos’era successo in quel periodo?
Come le dicevo, il cambiamento era cominciato nel 2001, ma sono stati gli anni successivi a segnare una svolta ulteriore, e in peggio. Dopo l’assassinio di Rafiq Hariri nel 2005 [il politico libanese ucciso da un’autobomba, secondo alcuni una decisione siriana, NdR], la Siria si è trovata sotto una enorme pressione internazionale. Il regime, tuttavia, è riuscito a uscirne, e ha persino ottenuto che la Francia revocasse le sanzioni economiche.
Una volta superate queste pressioni, Bashar ha cominciato a sentirsi veramente invincibile. Diceva: “sono più grande di mio padre” [il suo predecessore, Hafiz al-Assad, NdR], pensava di potere fare qualsiasi cosa senza pagarne il prezzo. Dopotutto, aveva sconfitto Bush e Chirac!
Non sentiva più il bisogno di avere consiglieri e tecnocrati. Ha affidato l’esercito a suo cognato, Assef Shawkat, la sicurezza a suo cugino Hafez Makhlouf, a intasare l’economia coi progetti del suo altro cugino Rami Makhlouf e di sua moglie Asma. La Siria era diventata un’azienda famigliare.
Non tollerava più il dissenso. Io, che ero una voce critica, a quel punto non potevo fare più il mio mestiere. Ho ricevuto minacce pesanti dall’intelligence, e ho deciso di andarmene.

Eppure durante la primissima fase delle proteste, nel marzo del 2011, lei rilasciò un’intervista alla TV francese in cui invitava Assad a riformare il sistema. Cosa la spingeva, allora, a credere che il regime fosse riformabile?
Dal 2000 io sono stato il leader dell’ala riformista all’interno del partito Baath. Certo, sappiamo che purtroppo in Siria il Baath era soltanto una maschera utilizzata dalla famiglia Assad per governare il Paese e mobilitare giovani poveri e entusiasti, ma io ero anche fermamente convinto che una riforma interna avrebbe avuto un costo minore in termini di vite umane, anche se avrebbe richiesto più tempo.
Ancora oggi credo che ci siano delle bravissime persone all’interno dell’amministrazione pubblica e che dovremmo includerle nel dopo-Assad: conoscono la nazione, le sue risorse e le sue necessità, le riforme di cui ha bisogno e il modo di implementarle.

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