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21:51 martedì 18 novembre 2025
Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.
Per la prima volta è stata pubblicata la colonna sonora di Una mamma per amica In occasione del 25esimo anniversario della serie, su tutte le piattaforme è arrivata una playlist contenente i migliori 18 brani della serie.
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.

Il (bio) dinamismo del gelato

18 Maggio 2011

Una montagna di stracciatella vi sommergerà. A seguire soffici pezzi di brownies incastrati tra nuvole di crema al mascarpone. Per finire una granatina che al posto della vetta conquista il fondo per un effetto sorpresa. Il sistema geometrico delle tre palle che capeggiano il cono-cialda è solo un ricordo. Per chi riesce (davvero) a sostituirlo a un pranzo intero, per chi ne è “ghiotto” solo perché la predilezione per gianduia&bacio lo autorizza a usare ancora la parola “ghiotto”.  I gelati diventano sensazionali.  Ogni estate con l’aumento della sete aumenta quello per infinite leccate a coni gelati sempre più architettati. E segna un nuovo capitolo che fa retrocedere sempre più quella banalissima scelta: frutta o crema? Per quanto molti si attacchino alle mono manie infantili (l’accoppiata fragola-limone rimane perversa e acida come poche altre cose al mondo, il gusto puffo non esiste, è solo colorante, e quello big bubble era solo la variante femminile del precedente) l’imposizione del gelato “riarrangiato” conosce nuove frontiere.

In tempi non sospetti  l’arrivo ufficioso di HäagenDazs era stato salutato come la fine dell’embargo (al frappuccino di Starbucks, che finge di essere cappuccino ma è tutto gelato/panna al caramello, ci avevamo rinunciato da tempo): arrivava un gelato esterofilo in grado di farci dimenticare il faccione romagnolo di Accorsi, il gelato non era più solo il cono socialista del Cornetto Algida, e il Twister, perduto esempio di grafismo dadà anche tra gli ice-creaming, era già rétro.  Il gelato danese con il formato coppetta e maxi coppetta famiglia apriva il Sesamo della gelateria: gusti inaspettati dal cioccolato variegato con fragole al caramello e mandorle, fino a prototipi di zuppa inglese in formato cestello. Costosi sopra la media, il che li rendeva davvero un oggetto d’importazione e per questo desiderabili. Placate le voglie per la versione butter pecan e yogurt frozen, sono rimasti uno dei pochi motivi per entrare ancora da BlockBuster.

Ma per i più attenti l’accoppiata cinema multisala  e gelati aveva già dei concorrenti: da qualche anno, misteriosamente più in provincia che in città, sono comparsi barattolini di gelato al cioccolato con morbidissimi quadrotti di brownies dalle grafiche alla Yellow Submarine (mucche dagli occhiali Lennon, colline di panna e autobus gialli che le portano in gita nel Vermont). Cremosissimi e anche meno gelidi, sono i gelati Ben&Jerry’s che per quest’estate decidono di lasciare il mondo del multisala e puntare al negozio in Italia (il primo aperto in aprile a Firenze) La prima volta che si mangia un B&J’s si capisce da che parte stare. Magari se si opta per quello Bohemian Raspberry ancora di più. A differenza di HäagenDazs smaccatamente neo borghesi (per gusti/accoppiate/packaging) i gelati nati in America negli anni Sessanta da un duo (Ben Cohen e Jerry Greenfield amici di liceo che per il primo anno sabbatico della loro attività hanno chiuso la gelateria ex stazione di servizio lasciando il cartello “Siamo chiusi per cercare di capire se ci stiamo guadagnando”, salvo tornare poco dopo con la teoria del Fair Trade e del Happy Cow, mucche serene che fanno buon latte) sono più pop, nella confezione. E nel passare per finti junk food – con maxi pezzi di coockies.  Ma soprattutto, trascinando nella festante attesa di scoprire i gusti per chi non avesse ancora (ottimo debutto a Berlino quando il Checkpoint  Charlie è vuoto prima di salire sulla mongolfiera ) la corazzata del gelato Usa arriva a conquistare un terreno già fertile in Italia, quello del gelato bio-consapevole.

I gelati Ben&Jerry’s fatti con amore anche da ex carcerati che lavorano nelle Bakery (di NYC), privi di aria e con latte km 0 di mucche molto felici di vivere tra i pascoli del Vermont, tentano di sfondare un mercato già avvezzo al Pistacchio Smeraldo coltivato solo a Bronte, fiore all’occhiello che per alcuni giustifica code estenuanti da Grom. La gelateria che per prima in Italia ha portato la concezione della mantecatura costante, della crema battuta più volte – infinite- prima di toccare la cialda (e anche qui quale, quella con cioccolato, granella, minimal?) e soprattutto della frutta di stagione convertita in gelato “solo quando c’è”. Che si è inventata un gusto, la crema di Grom, che per colore e mistero sembra il non bianco di Martin Margiela. Ma filosofia del caso, la catena di gelati italiani è riuscita a imporre il bio-desiderio come un lusso per tutti, popolare, inconsapevole delle volte, forte del fattore (tutto made in Italy) che “se c’è coda vuol dire che si mangia bene”.

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