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04:39 giovedì 23 ottobre 2025
Anche quest’anno, il solito Tommaso Debenedetti ha diffuso la solita fake news sull’improvvisa morte del vincitore del Nobel per la Letteratura L'autodefinitosi «campione italiano della menzogna» prosegue così la sua lunga striscia di bufale a tema letterario, stavolta la vittima è László Krasznahorkai.
ChatGPT ha lanciato il suo browser con il quale vuole fare concorrenza a Google Chrome Si chiama Atlas, integra l’AI sin dalla barra di ricerca e aspira a insidiare il primato del web browser più utilizzato al mondo di Chrome.
Per due volte la Rai ha prima annunciato e poi cancellato la trasmissione di No Other Land e non si sa ancora perché È successo il 7 ottobre e poi di nuovo il 21. Al momento, non sappiamo se e quando il film verrà reinserito nel palinsesto.
A causa del riscaldamento globale, per la prima volta nella storia sono state trovate delle zanzare in Islanda Era uno degli unici due posti al mondo fin qui rimasto libero dalle zanzare. Adesso resta soltanto l'Antartide.
È uscita una raccolta di racconti inediti di Harper Lee scoperti nella sua casa di New York dopo la morte Si intitola La terra del dolce domani e in Italia l'ha pubblicata Feltrinelli.
A Teheran hanno inaugurato una stazione della metropolitana dedicata alla Vergine Maria La stazione si chiama Maryam Moghaddas, che in persiano significa proprio Vergine Maria, e si trova vicino alla più grande chiesa della città.
Cercando di uccidere una blatta, una donna in Corea del Sud ha scatenato un incendio in cui è andato distrutto un appartamento ed è morta anche una persona La donna ha usato un lanciafiamme fatto in casa con un accendino e un deodorante spray. La sorte della blatta al momento non è nota.
Si è scoperto che l’AI viene usata anche per produrre poverty porn, cioè immagini piene di stereotipi sulla povertà utilizzate poi nella campagne di sensibilizzazione Si trovano in vendita sulle piattaforme di foto stock, costano poco, non danno problemi di licenza né di consenso: è per questo che sono sempre più diffuse.

Il (bio) dinamismo del gelato

18 Maggio 2011

Una montagna di stracciatella vi sommergerà. A seguire soffici pezzi di brownies incastrati tra nuvole di crema al mascarpone. Per finire una granatina che al posto della vetta conquista il fondo per un effetto sorpresa. Il sistema geometrico delle tre palle che capeggiano il cono-cialda è solo un ricordo. Per chi riesce (davvero) a sostituirlo a un pranzo intero, per chi ne è “ghiotto” solo perché la predilezione per gianduia&bacio lo autorizza a usare ancora la parola “ghiotto”.  I gelati diventano sensazionali.  Ogni estate con l’aumento della sete aumenta quello per infinite leccate a coni gelati sempre più architettati. E segna un nuovo capitolo che fa retrocedere sempre più quella banalissima scelta: frutta o crema? Per quanto molti si attacchino alle mono manie infantili (l’accoppiata fragola-limone rimane perversa e acida come poche altre cose al mondo, il gusto puffo non esiste, è solo colorante, e quello big bubble era solo la variante femminile del precedente) l’imposizione del gelato “riarrangiato” conosce nuove frontiere.

In tempi non sospetti  l’arrivo ufficioso di HäagenDazs era stato salutato come la fine dell’embargo (al frappuccino di Starbucks, che finge di essere cappuccino ma è tutto gelato/panna al caramello, ci avevamo rinunciato da tempo): arrivava un gelato esterofilo in grado di farci dimenticare il faccione romagnolo di Accorsi, il gelato non era più solo il cono socialista del Cornetto Algida, e il Twister, perduto esempio di grafismo dadà anche tra gli ice-creaming, era già rétro.  Il gelato danese con il formato coppetta e maxi coppetta famiglia apriva il Sesamo della gelateria: gusti inaspettati dal cioccolato variegato con fragole al caramello e mandorle, fino a prototipi di zuppa inglese in formato cestello. Costosi sopra la media, il che li rendeva davvero un oggetto d’importazione e per questo desiderabili. Placate le voglie per la versione butter pecan e yogurt frozen, sono rimasti uno dei pochi motivi per entrare ancora da BlockBuster.

Ma per i più attenti l’accoppiata cinema multisala  e gelati aveva già dei concorrenti: da qualche anno, misteriosamente più in provincia che in città, sono comparsi barattolini di gelato al cioccolato con morbidissimi quadrotti di brownies dalle grafiche alla Yellow Submarine (mucche dagli occhiali Lennon, colline di panna e autobus gialli che le portano in gita nel Vermont). Cremosissimi e anche meno gelidi, sono i gelati Ben&Jerry’s che per quest’estate decidono di lasciare il mondo del multisala e puntare al negozio in Italia (il primo aperto in aprile a Firenze) La prima volta che si mangia un B&J’s si capisce da che parte stare. Magari se si opta per quello Bohemian Raspberry ancora di più. A differenza di HäagenDazs smaccatamente neo borghesi (per gusti/accoppiate/packaging) i gelati nati in America negli anni Sessanta da un duo (Ben Cohen e Jerry Greenfield amici di liceo che per il primo anno sabbatico della loro attività hanno chiuso la gelateria ex stazione di servizio lasciando il cartello “Siamo chiusi per cercare di capire se ci stiamo guadagnando”, salvo tornare poco dopo con la teoria del Fair Trade e del Happy Cow, mucche serene che fanno buon latte) sono più pop, nella confezione. E nel passare per finti junk food – con maxi pezzi di coockies.  Ma soprattutto, trascinando nella festante attesa di scoprire i gusti per chi non avesse ancora (ottimo debutto a Berlino quando il Checkpoint  Charlie è vuoto prima di salire sulla mongolfiera ) la corazzata del gelato Usa arriva a conquistare un terreno già fertile in Italia, quello del gelato bio-consapevole.

I gelati Ben&Jerry’s fatti con amore anche da ex carcerati che lavorano nelle Bakery (di NYC), privi di aria e con latte km 0 di mucche molto felici di vivere tra i pascoli del Vermont, tentano di sfondare un mercato già avvezzo al Pistacchio Smeraldo coltivato solo a Bronte, fiore all’occhiello che per alcuni giustifica code estenuanti da Grom. La gelateria che per prima in Italia ha portato la concezione della mantecatura costante, della crema battuta più volte – infinite- prima di toccare la cialda (e anche qui quale, quella con cioccolato, granella, minimal?) e soprattutto della frutta di stagione convertita in gelato “solo quando c’è”. Che si è inventata un gusto, la crema di Grom, che per colore e mistero sembra il non bianco di Martin Margiela. Ma filosofia del caso, la catena di gelati italiani è riuscita a imporre il bio-desiderio come un lusso per tutti, popolare, inconsapevole delle volte, forte del fattore (tutto made in Italy) che “se c’è coda vuol dire che si mangia bene”.

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