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Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.
Per la prima volta è stata pubblicata la colonna sonora di Una mamma per amica In occasione del 25esimo anniversario della serie, su tutte le piattaforme è arrivata una playlist contenente i migliori 18 brani della serie.
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.

His House è un horror sulle tragedie del Mediterraneo

Il film d’esordio di Remi Weekes, su Netflix, trasforma le difficoltà di una coppia sudanese in cerca di asilo in una variazione sul genere "casa infestata".

07 Gennaio 2021

In His House, lo straordinario film d’esordio del regista britannico Remi Weekes, da pochi giorni su Netflix, l’orrore si concentra nei contorni. Non abita la cantina, non è conseguenza di un vecchio esorcismo o di un antenato pittore impazzito e cementato nel muro, sta invece in tutto quello che è accaduto prima che venga raccontata la storia – la scoperta da parte di due coniugi sudanesi di trovarsi a vivere in una casa infestata – si muove sempre dietro di loro, alle spalle, sussurra, occupa le sedie vuote e i sogni. Costruendo un film dell’orrore che tematizza l’orrore reale di una bambina che annega nel Mediterraneo, un lungometraggio straziante che riprende il sottogenere della casa piena di fantasmi e lo rivitalizza attraverso le difficoltà di una famiglia di migranti in cerca di asilo nel Regno Unito.

Non vediamo molto del pericoloso viaggio con cui Bol e Rial hanno rischiato la vita per salvarsi la vita, lontani dai violenti conflitti della Guerra civile in Sudan del Sud, ma vediamo abbastanza per chiederci se le umiliazioni che subiscono una volta arrivati in Gran Bretagna possano essere più disumane del processo per arrivarci. Dopo un periodo imprecisato di tempo in un centro di detenzione, viene loro concessa una casa comunale, sporca e lontana da Londra, eppure va benissimo per riiniziare tutto, ma il sollievo si trasforma in paura quando si accorgono di non essere da soli.

Per quanto di Weekes si possa lodare l’uso delle luci (e dell’interruttore della luce, probabilmente con l’esito più spaventoso dopo Lights Out) o delle ambientazioni spoglie, con quella sensazione di disagio costante ottenuta con pochissimi elementi, un tavolo, un divano, le pareti che si scrostano, per quanto esteticamente creativi possano essere i fantasmi, le sequenze più logoranti sono quelle girate fuori dalla casa, non hanno nulla a che fare con i mostri come ce li immaginiamo quando pensiamo a un film di paura. Gli orrori, in His House, sono quelli pragmatici. Quando Rial si perde nel suo nuovo quartiere, torna più volte davanti allo stesso incrocio, o quando Bol implora l’assistente sociale di trasferirlo con la moglie in una casa diversa, e lui gli ricorda che non è opportuno agitarsi, alle autorità basta una scusa piccolissima per negarti definitivamente una sistemazione, sei troppo vulnerabile, non sei ancora un membro della società, non rischiare di chiedere aiuto. E non c’è caricatura né retorica (quella ingombrantissima di Get out), c’è una casa che è solo una casa e il dolore vero, tangibile, tanto da farci piangere, di chi dopo aver perso tutto prova a ricominciare in un luogo che potrebbe non volerlo mai.

Una scena da His House, su Netflix

Non è la prima volta che il genere sfrutta il soprannaturale per trasmettere orrori reali. Dopo quello più estetico, pittorico, di Robert Eggers (The Lightouse, The Witch), quello definito “elevated” di Ari Aster (Hereditary, Midsommar) e di Jennifer Kent con Babadook, che si è addentrato in turbe sociali e familiari, o ancora It Follows di David Robert Mitchell con probabilità dedicato alle malattie sessualmente trasmissibili, ciò che fa His House è paragonabile a quanto realizzato nel 2016 da Babak Anvari con Under the Shadow (bellissimo, sempre su Netflix): ambientato nel 1980 a Teheran, capitale dilaniata dalla guerra con l’Iraq, mentre imperversano i bombardamenti e la protagonista, a cui è stato impedito di proseguire con gli studi in Medicina, si ritrova sola con la figlia in una casa infestata da un demone della cultura araba. Allora il male diventava manifestazione della guerra e di quello che la guerra in Iran ha fatto alle donne, così in His House diventa il peso devastante della colpa di essere sopravvissuto, «io li vedo tutti, li vedo sempre», dice Bol, nei confronti di tutti quelli che sono stati lasciati indietro.

Quando lo scorso anno è stato presentato The Invisible Man, in cui l’uomo invisibile altro non era che la personificazione di una struttura/stortura sociale che accetta la mascolinità tossica, Tim Grierson su Mel Magazine ragionò sulla rilevanza di alcuni nuovi film horror per spiegare le conseguenze psicologiche su una vittima di stupro o di stalking, «più che spaventarci, ci distruggono emotivamente, ci intristiscono essendo cose vere». Perché guardare film come The Invisible Man ma soprattutto come Under the Shadow e His House, che fanno paura ma anche versare tantissime lacrime, richiama la nostra attenzione laddove non dovrebbe aver bisogno di essere risvegliata. E in His House il mostro alla fine arriva davvero, lo vediamo, sembra quello di Guillermo del Toro, ma non ci fa quasi niente. Lo dice anche Rial, «dopo che abbiamo visto cosa può fare un uomo, credi che io abbia paura degli spettri?».

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