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Il nuovo sogno cinese

Com'è cambiata la percezione della Cina? Lo raccontano i migliori fumettisti del Paese nella collana di graphic novel dell’editore Bao.

23 Aprile 2019

Dobbiamo abituarci all’idea che quando qualcosa è di cattiva fattura e di cattivo gusto, smarcata e affine alla paccottiglia, il comodo aggettivo cinese sarà presto inservibile. L’idea del made in China plasticoso e tarocco, di gatti agita-zampa coi lustrini, dei cani in agrodolce, di ambienti perseguibili dai NAS, è ormai una vecchia barzelletta, perché la nazione che in pochi anni ha aumentato vertiginosamente il suo PIL è pronta a offrire al mondo il suo imprevedibile lato cool. In centro a Milano iniziano ad aprire piccoli negozi scarni con due o tre capi costosissimi appesi alle stampelle, e alla cassa un ragazzino che può permettersi anche di non parlare italiano, e comunque vederti un pellicciotto lilla con le borchie dorate e il volto di un vecchio manifesto della Cina maoista sul petto: io, per esempio, l’ho comprato.

Sembra ieri che, bambina, trascinavo i miei genitori al ristorante cinese, e brucavo bambù scongelato dal vassoio rotante per dieci mila lire. Il tempo di pelare la pastella attorno alla palla di gelato con la forchetta, e i figli di quei ristoratori che si affaccendavano nell’oscuro cucinino sono cresciuti, sono diventati millennials, hanno vissuto su Internet, e hanno aperto ristoranti d’autore. Nel frattempo, ero adulta anch’io, e un oscuro produttore di web-series mi commissionava una serie teen su un talent-show per chef in cui stravinceva un ragazzino cinese di seconda generazione. Avrei già dovuto intuire qualcosa, ma ero impegnatissima a scrivere cose che non sarebbero mai state lette, per un settore economico in tremenda depressione. La Cina, intanto, conquistava anche l’Africa, e forse Huawei ci spiava tutti.

Oggi, un grosso pezzo della fascinazione cinese è proprio il racconto di questo agguerrito ventennio di espansione economica incontrollata, per esempio attraverso le graphic novel dei giovanissimi autori cinesi, che stanno invadendo il mercato occidentale e italiano, come attesta anche l’intensissima programmazione di incontri sulla Cina alla Bologna Children Book Fair che si è svolta durante la prima settimana di aprile. Il presidente Xi Jinping, al quale siamo riusciti solo a vendere delle arance sicule a peso d’oro, destinate alla borghesia che fa la spesa ai supermercati high tech, lo chiama “il sogno cinese”.

Una pagina di Night Bus, di Zuo Ma

Questo sogno di prosperità, basatosi a lungo su uno sfruttamento delle risorse a basso costo e sul mercato nero – che da noi ha reso famosi i cinesi per i mini market mai chiusi, i massaggi, e i sarti stipati negli appartamenti – oggi ha prodotto una generazione di giovani intellettuali che sono pronti a raccontarci le mostruose trasformazioni di una società accelerata, proprio attraverso il linguaggio del sogno, inteso stavolta non come desiderio di benessere, ma come mondo onirico.

L’editore Bao, ha creato una collana apposta per loro, si chiama sempre Bao, ma scritto in caratteri cinesi, e significa tesoro. La sera, leggendole, con le mie nuove felpe griffate cinesi appese ai manichini che mi guardavano, facevo fatica a entrare nel flusso della storia, come se avessi sonno, ma non ero io che avevo sonno, erano i protagonisti che cadevano e riemergevano dai loro incubi, mentre ancora metabolizzavano la fine della loro infanzia, la pena orrenda di trasformarsi in adolescenti e adulti, allo stesso modo delle campagne che diventavano sgraziatamente città, al ritmo dello spuntare dei peli sotto le ascelle.

Cercavo il minimo comune denominatore tra quelle storie: forse erano quelle voci così grezze da sembrare immature, forse i protagonisti bambini, o la natura frammentaria del racconto. Poi, avendoli impilati sul comodino, ho notato i titoli: I racconti dei vicoletti, Vagabondaggi, Soul Guide, Night Bus. Avevano tutti a che fare con un viaggio, e iniziavo a pensare che quel viaggio non fosse un viaggio fisico, e nemmeno metaforico, ma un viaggio nel tempo, nel tempo iperaccelerato che sta vivendo la Cina odierna.

Una pagina di Vagabondaggi di Zao Dao

Vagabondaggi, di Zao Dao, è una serie di sogni spezzati d’infanzia, pieno di bambini dai tratti sgradevoli, nonnine cattive che soffiano torte tradizionali, ma ci nascondono i loro denti marci, con una piccola brutta, a cui tutti ricordano continuamente della sua bruttezza e inettitudine. Papà, voglio diventare una cuoca… Mangiare ti farà diventare pigra e grassa. Allora una principessa… Ma se siamo poveri in canna… Farò l’astronoma… Ma per questo bisogna essere intelligenti, figlia mia. E adesso dormi, altrimenti arriverà la scimmia che mangia i bambini! Ravioli a forma di testa, uomini sadici con animali e bambini, un gusto malevolo per il raccapriccio. E poi rane infilzate su spiedi, e un rospo che entra nella gola di un uomo con un salto per vendetta.

I racconti dei vicoletti di Mie Jun prova a raccontare l’infanzia rurale e perduta coi toni dell’incanto e della nostalgia, usando il viaggio nel tempo come sipario magico per incorniciare l’idillio di un nonno vedovo e di una nipote semi inferma. In uno dei racconti, la protagonista riesce a tornare nel passato e a scrivere una lettera dal futuro alla nonna morta, che viene consegnata dal nonno postino. In un altro racconto, la protagonista è preda di un gruppo di bulli di quartiere, quando un bambino misterioso e ciccione la difende: si scoprirà che è il nonno da bambino. In questo modo, passato e presente si compenetrano, ed escono l’uno dall’altro, portando frutti inaspettati, oltre i limiti della morte e del divario generazionale, alla ricerca di una vibrante vita da vicoletto di Shanghai, prima che anche questo si riempia di negozi con poche felpe griffate, affinché rimanga, ancora per un attimo, regno di poveri giochi da bambina zoppa sulle spalle del nonno coriaceo.

Anche Soul Guide di Golo Zhao, l’ultimissima uscita della collana, esplora le possibilità della fuga alle leggi del tempo: un misterioso spirito guida bambino ha sempre salvato una donna particolarmente sfortunata dal ripetuto rischio di finire investita, dopo che era morto sotto un’auto per salvarla la prima volta. A un certo punto della storia, è lo spirito guida stesso a manifestarsi e prendere parola, per augurare a tutti di stare sulla Terra solo per proteggere qualcuno che si ama. In un altro frammento, un uomo morto in uno tsunami torna indietro al momento della sua vita in cui poteva impedire alla sua compagna di classe di andare a studiare in America e diventare geologa. Se lo avesse fatto avrebbero passato la vita assieme, ma lei non avrebbe scoperto lo tsunami in tempo e sarebbero morti comunque entrambi. Quindi, non c’è davvero scampo al futuro e al progresso che incedono.

Reverie di Golo Zhao, pubblicato da Bao nel 201

Reverie, dello stesso autore, che è presentato come il principale fumettista cinese contemporaneo e ha solo trentaquattro anni, è una nuova lotta contro il tempo frettoloso, che dilata al massimo una giornata d’amore tra due giovani cinesi a Parigi. Ogni attimo del tempo trascorso dai ragazzi è interrotto continuamente dalle reverie del confuso innamorato: a cena, la ragazza si dice emofobica, ed ecco che tutti gli organi degli avventori del bar esplodono lanciando sangue ovunque; guardando il tatuaggio di lei, simile alla Notte Stellata di Van Gogh, parte una sotto-storia della presunta origine marziana della ragazza, che vediamo nuda volare con gli organi sessuali piatti di una bambola, smembrarsi, e cambiare forma. La stessa ragazza amata nel corso del libro compare a buchi, tagliata a metà, o trasformata in un pattern, in una sinfonia, in un Escher, in un mandala; l’autobus su cui il ragazzo viaggia esplode per aria, e lui immagina di incontrarla un attimo prima dell’apocalisse e dichiararle il suo amore. Il protagonista, infatti, aveva intravisto un uomo a casa di lei, e aveva frainteso tutto: era fuggito, passando la notte al bar con Edward Hopper, per poi scoprire che l’uomo sconosciuto era solo un cugino in visita dalla Cina. Ovviamente, quando ormai è troppo tardi.

Night bus è anch’esso un sogno, e di nuovo un sogno su un mezzo di locomozione; è un viaggio in terre dell’infanzia, che la protagonista riconosce, ma che sono trasfigurate, attraversate da ascensori nel nulla, funivie impossibile, popolate da uomini pesce, mostro a forma di insetti e alieni che si caricano le case sulle spalle. Si tratta di un sogno lungo, che attraversa grotte, giungle buie, fondali marini, regolato dal tipico meccanismo onirico per cui sei in un luogo, e contemporaneamente in un altro, ma non ti sembra poi così strano. Solo nell’ultimo capitolo del libro, scopriamo che eravamo nel sogno folle della nonna (di nuovo, una nonna) del protagonista, che prima di morire aveva perso la lucidità, la memoria, il senso dello spazio e del tempo. La seguiamo in casa e nel quartiere dove si aggira sperduta e come allucinata da fantasmi, riconoscendo nel paesaggio tanti elementi iconografici (gatti, pesci, maschere) che nel sogno erano presenti come creature magiche. E’ il nipote, aspirante artista, che sta cercando di ricordare gli ultimi giorni trasognati della nonna, mentre rincasa a salutarne il corpo, a bordo di un bus notturno.

L’addio alla nonna uscita di senno, così come il viaggio nel tempo per ritrovare il nonno che aveva animato un’infanzia nei vicoletti, o lo spauracchio dei denti di vecchia trovati nel dolce soffiato, sono modi per dire addio a una Cina che sta scomparendo, modi naturalmente cool, perché questi libri potranno essere venduti nelle librerie hipster dei nuovi vicoletti, letti su bus volanti che sfrecciano in paesaggi brutalmente antropizzati: bus che non investiranno i passanti, perché in giro, ancora per poco, c’è qualche spirito che ha conosciuto i campi di sorgo di Mo Yan, prima di buttarsi a capofitto nel futuro.

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