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23:08 martedì 23 dicembre 2025
Migliaia di spie nordcoreane hanno tentato di farsi assumere da Amazon usando falsi profili LinkedIn 1800 candidature molto sospette che Amazon ha respinto. L'obiettivo era farsi pagare da un'azienda americana per finanziare il regime nordcoreano.
È morto Vince Zampella, l’uomo che con Call of Duty ha contribuito a fare dei videogiochi un’industria multimiliardaria Figura chiave del videogioco moderno, ha reso gli sparatutto mainstream, fondando un franchise da 400 milioni di copie vendute e 15 miliardi di incassi.
A Londra è comparsa una nuova opera di Banksy che parla di crisi abitativa e giovani senzatetto In realtà le opere sono due, quasi identiche, ma solo una è stata già rivendicata dall'artista con un post su Instagram.
Gli scatti d’ira di Nick Reiner erano stati raccontati già 20 anni fa in un manuale di yoga scritto dall’istruttrice personale d Rob e Michele Reiner Si intitola A Chair in the Air e racconta episodi di violenza realmente accaduti nella casa dei Reiner quando Nick era un bambino.
Il neo inviato speciale per la Groenlandia scelto da Trump ha detto apertamente che gli Usa vogliono annetterla al loro territorio Jeff Landry non ha perso tempo, ma nemmeno Danimarca e Groenlandia ci hanno messo molto a ribadire che di annessioni non si parla nemmeno.
Erika Kirk ha detto che alle elezioni del 2028 sosterrà J.D. Vance, anche se Vance non ha ancora nemmeno annunciato la sua candidatura «Faremo in modo che J.D. Vance, il caro amico di mio marito, ottenga la più clamorosa delle vittorie», ha detto.
A causa della crescita dell’industria del benessere, l’incenso sta diventando un bene sempre più raro e costoso La domanda è troppa e gli alberi che producono la resina da incenso non bastano. Di questo passo, tra 20 anni la produzione mondiale si dimezzerà.
È appena uscito il primo trailer di The Odyssey di Nolan ed è già iniziato il litigio sulla fedeltà all’Odissea di Omero Il film uscirà il 16 luglio 2026, fino a quel giorno, siamo sicuri, il litigio sulle libertà creative che Nolan si è preso continueranno.

C’è ancora bisogno di Graham Greene

In occasione dei suoi 50 anni, Sellerio ha pubblicato Il console Onorario, rilanciando uno dei più grandi autori del Novecento.

12 Giugno 2019

Nell’universo immaginario (ma non troppo, poi vedremo perché) di Graham Greene, che un critico americano aveva ironicamente ribattezzato “Greenland”, non c’è mai stato spazio per le certezze. Al contrario, era sempre il dubbio a prevalere, a prescindere che si trattasse di discettare intorno a questioni di alta filosofia o di dar seguito a terrene vocazioni materialistiche. I suoi personaggi, a osservarli con attenzione, appaiono quasi sempre sul punto di implodere, sopraffatti come sono da una sorta di continuo conflitto morale interiore dal quale sembra impossibile divincolarsi. «Che Dio ci salvi dall’innocente e dal buono», dice a a gran voce Fowler, il reporter inglese, oppiomane, miscredente, sarcastico, meraviglioso protagonista di Un Americano tranquillo, il romanzo più politico di Greene, ambientato nell’Indocina della dominazione francese, dove l’autore era stato corrispondente nel ’54. Con un po’ di fantasia non è difficile immaginarlo seduto ad uno dei tavolini del Café de la Paix di Hanoi, intento a osservare lo scorrere della vita quotidiana sorseggiando un vermouth-cassis e giocando a quatre cent vingt-et-un. Graham Greene era uno che credeva letteralmente nel peccato, nell’inferno e nella redenzione, seppur non è dato sapere in quale ordine, e non faceva niente per nasconderlo. Detestava però l’etichetta di “scrittore cattolico”, che all’epoca condivideva con il suo caro amico Evelyn Waugh. «Io sono uno scrittore che si dà il caso sia un cattolico, non uno scrittore cattolico».

Tutta questa ambiguità greeniana, unito a uno stile di scrittura veloce, a tratti scarno, caratterizzato da dialoghi eccellenti e ritmi cinematografici, come dimostreranno le innumerevoli trasposizioni dei suoi romanzi, è rintracciabile nel Il Console Onorario, il libro con cui la casa editrice Sellerio prova a rilanciare, nell’anno del suo cinquantesimo compleanno, uno dei più grandi autori del Novecento, nelle ultime decadi colpevolmente scomparso dalle nostre librerie. Ambientato tra l’Argentina e il Paraguay ai tempi della dittatura di Alfredo Stroessner, che andrebbe ricordato anche per aver protetto criminali di guerra nazisti, il romanzo, «forse quello che preferisco a tutti gli altri», disse una volta l’autore, raconta la storia di un giovane medico, Eduardo Plarr, e di Charley Fortnum, console onorario britannico in una lontana località dell’Argentina, sfortunatamente rapito dai ribelli paraguayani in seguito ad uno scambio di persona. Ma al di la dello svolgimento della trama, nel libro si possono rintracciare due caratteristiche presenti in gran parte degli scritti di Greene. Una sordida ambientazione politica a fare da contesto, che l’autore seguiva cercando al tempo stesso di dar seguito all’insegnamento del suo amico Mario Soldati, «quando scrivi un romanzo, non devi mai includervi qualcosa che sia capitato a te senza modificarlo in qualche modo». E la sensazione di vivere sì «da spettatore della storia», ma sempre in un mondo dominato da tormenti interiori, spesso irrisolvibili in quella palude che è stato il secolo XX. Forse anche per questo, le pagine de Il Console Onorario hanno «il tono del dramma e della parodia insieme, ovvero del grottesco», come ha evidenziato nella postfazione Domenico Scarpa, curatore delle nuove pubblicazioni.

Nato a Berkhampstead, vicino Londra, figlio di genitori calvinisti, un’adolescenza sufficientemente noiosa al punto da ricorrere con una certa frequenza al divertissement della roulette russa, «fino a quando mi resi conto che stavo cominciando a premere il grilletto con la stessa approssimazione con cui potrei prendere una compressa di aspirina», Greene lavorò prima al Times come critico letterario e successivamente al settimanale Spectator come critico cinematografico. «L’idea di recensire i film – ha ricordato nella sua autobiografia Vie di scampo – mi venne ad un cocktail party dopo il pericoloso terzo martini». Celebri alcuni suoi giudizi non particolarmente lusinghieri, «sull’inadeguato senso della realtà di Hitchcock» o su “Monsieur Truffaut”: «I suoi film consistono in una serie di piccole situazioni melodrammaticamente divertenti».

Saggista, drammaturgo, sceneggiatore, «odio gli adattamenti dei miei libri, tranne quando li faccio io stesso», instancabile viaggiatore, «spesso dai peggiori viaggi posso venir fuori i migliori racconti», disse una volta di lui lo scrittore Paul Theroux, va sempre ricordato che Graham Greene prestò anche servizio per sua Maestà britannica. Con l’aiuto della sorella Elisabeth infatti nel ‘42 entrò a par parte del Foreign office, il temuto servizio segreto inglese, e come prima destinazione venne spedito in Africa con l’incarico di introdurre agenti nelle colonie del Governo Vichy. «Futili tentativi», commenterà anni dopo. Il suo capo a Londra fu un certo Kim Philby, uno delle famigerate spie di Cambridge (noti come Cambridge Five: gli altri erano Guy Burgess, Donald Maclean, Antonhy Blunt e John Cairncross), fuggito a Mosca nel ’63 appena prima di evitare l’arresto per tradimento. I contatti di Greene con i Servizi Segreti ufficialmente cessarono con le sue dimissioni dal MI6, nel 1944, ma i dubbi e le ambiguità sono proseguiti per decenni. Norman Sherry, autore della biografia piu’ autorevole, concluse che Greene fungeva da spia britannica in Indocina durante la guerra francese contro Ho Chi Minh, anche se si presentava come giornalista e romanziere. E quando Philby nel ’68 pubblicò le sue memorie, l’autore di Un Americano Tranquillo scrisse una fervida introduzione che gli procurò non pochi fastidi. D’altronde tracce che possano ricondurre al personaggio Philby sono rintracciabili in piu’ di un lavoro di Greene, dal Terzo Uomo a Fattore Umano fino al quel divertentissimo racconto di entertainment che è Il nostro Agente all’Havana, dove un modestissimo rappresentante di aspirapolveri finirà costretto a fingersi improbabile agente segreto nella Cuba di Batista, pur di evitare guai peggiori.

Ma se davvero Greene avesse continuato a collaborare con i servizi per tutto il periodo della guerra fredda, allora la sua adesione alla causa di Philby potrebbe anche essere letta come l’ennesima copertura, un’altra operazione funzionale a ottenere informazioni dal grande disertore. Qui però si entra in un labirintico e perverso gioco di specchi contrapposti che sembra venir fuori proprio da un romanzo di Greene. Come recita l’epigrafe di Thomas Hardy, posta dallo scrittore inglese all’inizio del Console Onorario, «tutte le cose si fondono l’una con l’altra, il bene e il male, la generosità e la giustizia, la religione e la politica».

Alla fine viene il sospetto che quello che interessava davvero Graham Greene era più che altro raccontare storie. «Scrivere – disse una volta – è una forma di terapia. A volte mi domando in quale modo tutti coloro che non scrivono, non compongono musica o non dipingono, riescano a sottrarsi alla pazzia, alla malinconia, al timor panico che sono impliciti nella situazione umana».

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