Hype ↓
04:28 mercoledì 3 dicembre 2025
Anche stavolta il premio di Designer of the Year l’ha vinto Jonathan Anderson È la terza volta consecutiva, stavolta ha battuto Glenn Martens, Miuccia Prada, Rick Owens, Martin Rose e Willy Chavarria.
L’Oms ha detto che i farmaci come Ozempic dovrebbero essere disponibili per tutti e non solo per chi può permetterseli Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, in futuro bisognerà garantire l'accesso a questi farmaci a chiunque ne abbia bisogno.
Aphex Twin ha caricato a sorpresa su SoundCloud due nuovi brani ispirati a una vacanza in Sicilia Le tracce sono comparse a sorpresa e sarebbero state ispirate da una vacanza italiana del musicista, intristito dalla pioggia autunnale.
Il sindaco di Pesaro si è dovuto scusare perché ha coperto di ghiaccio la statua di Pavarotti per far spazio a una pista di pattinaggio Ma ha pure detto che Pavarotti resterà "congelato" fino a dopo l'Epifania: spostare la statua o rimuovere la pista sarebbe troppo costoso.
Siccome erano alleati nella Seconda guerra mondiale, la Cina vuole che Francia e Regno Unito la sostengano anche adesso nello scontro con il Giappone Indispettita dalle dichiarazioni giapponesi su Taiwan, la diplomazia cinese chiede adesso si appella anche alle vecchie alleanze.
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.
La tv argentina ha scambiato Gasperini per il truffatore che si era travestito da sua madre per riscuoterne la pensione Un meme molto condiviso sui social italiani è stato trasmesso dal tg argentino, che ha scambiato Gasperini per il Mrs. Doubtfire della truffa.
La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.

Giornalismo anglosassone in quattro frasi

20 Giugno 2011

Giornalismo anglosassone. Dalle nostre parti se ne torna a parlare ciclicamente, in genere (ma non necessariamente) per due motivi: 1) gli attacchi a Berlusconi e 2) le lamentele sulla stampa nostrana, che generalmente non regge il confronto con quella straniera – assumendo che quando si parla di “stampa straniera” in modo generico, come accade un po’ troppo spesso in Italia, ci si riferisca soprattutto a quella nordamericana ed europea, non al Khayan, quotidiano ufficiale degli ayatollah iraniani.

Ora, chi scrive appartiene a quel numero di italiani che trovano nella stampa anglosassone una fonte di lettura utile e stimolante, ma che non per questo la vedono come un simulacro intoccabile. Da qui l’idea di sottoporvi quattro frasi che – nella mia personale esperienza di lettrice e, in misura minore, di corrispondente – riassumono almeno in parte alcune caratteristiche del giornalismo anglofono.

Schadenfreude sells newspapers
The Economist
Schadenfreude, uno dei termini tedeschi più frequentemente reperibili sui giornali in lingua inglese (forse a parimerito con Zeitgeist), significa, banalmente, “piacere provocato dalla sfortuna altrui”. come “guardare una vegetariana cui è appena stato detto che quello che ha mangiato era pollo.”
“La Schadenfreude fa vendere i giornali.” Lo spiega, papale papale, il giornalista anonimo che ha recensito Babysitting George Best, diario in cui Cecilia Walden, al tempo junior reporter per il Mail On Sunday, racconta gli ultimi giorni della leggenda del calcio inglese, ormai ridotto a uno straccio intriso d’alcool. In quei giorni la Walden ricoprì l’ingrato, duplice compito di fare da badante a George Best e produrre articoli da dare in pasto ai lettori: “It comes with a pang of conscience, but Schadenfreude sells newspapers and she had a job to do.”
Curiosamente, la massima è uscita proprio su quel numero dell’Economist. Dove si sbatteva lo sconfitto Berlusconi in prima pagina, con il titolo: “L’uomo che ha fottuto una nazione intera.”

It would be unfortunate if “Tahrir Square” were turned into the 21st-century equivalent of the Che Guevara T-shirt.
Joshua E. Keating su Foreign Policy
In questo articolo l’associate editor di Foreign Policy ironizza sul vizio da parte della stampa di appiccicare il termine “primavera” a ogni forma di protesta di massa, che sia ad Atene o in Messico, da quando è cominciato il tam-tam della “primavera araba” (lo ha fattopure Foreign Policy, peraltro). Tahrir è il nome della piazza da cui è partita l’insurrezione popolare che ha portato alla deposizione del dittatore egiziano Hosni Mubarak e ora il rischio, sostiene Keating, è che si trasformi in un cliché alla maglietta con Che Guevara.
Il fatto è che quello dell’etichettamento rivoluzionario è un cliché che affligge da decenni la stampa anglofona, e non solo. Basta pensare agli gli anni Duemila, ricorda Keating, quando andava di moda associare a ogni rivoluzione un colore o un elemento floreale: rosa per la Georgia, arancione per l’Ucraina, il tulipano per il Kyrgyzstan, i cedri per il Libano. “Oh, how quickly our all-purpose metaphors change…”

Quote-the-cabbie”
Liz Cox Barrett su The Columbia Journalism Review
Citare il tassista è una pratica comune tra i giornalisti particolarmente pigri e/o sani di mente quanto basta da non avventurarsi a piede libero fuori dal proprio albergo in zone di guerra. E lo era ancora di più prima che Twitter e Facebook offrissero fonti di citazioni a calorie-zero. Recentemente The Atlantic ha pubblicato un pezzo al vetriolo contro Thomas Friedman, editorialista del New York Times, considerato uno dei maestri del giornalismo da hotel e/o tassì. Ma a coniare la formula “quote-the-cabbie”, apposta per Friedman, è stata Liz Cox Barrett della Columbia Journalism Review nel lontano 2006. Anzi, già nel 2004 Cox Barrett ironizzava sui “reporter in ritardo con la deadline” costretti a trovare una fonte dell’ultima ora nel tassista. Citando Friedman: “Everything I needed to know about outsourcing I learned from Harish, who drove me to my Mumbai hotel …”

If it cannot be explained in a paragraph, it’s not a story
Un mio vecchio editor
Quando ho cominciato a scrivere dall’Italia per qualche testata americana, un editor ha risposto così a un mio pitch: “Pensaci bene, spiega tutto in un paragrafo, quel paragrafo è ciò di cui la storia deve parlare.” È la cosiddetta regola del nut graph, ossia il paragrafo (di solito il secondo o il terzo di un articolo, che viene dopo l’attacco e dopo la prima citazione) che deve essere in grado di esporre da solo il valore di una storia, almeno secondo la scuola di pensiero anglo.

Adesso che ci penso, non sono sicura che questo articolo possa essere riassunto in un paragrafo.


Articoli Suggeriti
Social Media Manager

Leggi anche ↓
Social Media Manager

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.