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Nel 2017 il Giappone ha avuto 20 mila richieste di asilo ma ne ha accettate solo 20

Per essere precisi, la cifra record delle richieste di asilo ricevute dal Giappone nel 2017 ammonta a 19.628. Averne accettate soltanto 20 significa aver preso in considerazione lo 0,1% delle persone in difficoltà. Cos’è successo? Perché i giapponesi hanno deciso di chiudere le porte in faccia a chi ha bisogno di aiuto (e soprattutto, ha il diritto di riceverlo)? Il problema ha le sue origini nel 2010, l’anno in cui il Giappone ha iniziato a concedere permessi di lavoro ai richiedenti asilo con visti validi per lavorare mentre le loro richieste erano in corso di valutazione, un cambiamento che secondo il governo ha alimentato un drammatico aumento delle domande false da parte di persone semplicemente in cerca di lavoro.
La politica di accettazione delle richieste è diventata via via più severa e i criteri per valutare chi ha davvero bisogno di asilo sono diventati sempre più rigidi, tanto che, come riporta il Guardian, un ragazzo scappato dal Burundi nel 2001, dopo 17 anni in Giappone si trova ancora in un limbo e la sua richiesta di asilo non è mai stata accettata (nonostante la situazione nella sua terra natale, negli due ultimi anni, non abbia fatto che peggiorare). Ma c’è di peggio: i richiedenti asilo rischiano di rimanere intrappolati in centri di detenzione per gli immigrati finché non scade il loro permesso di rimanere in Giappone.
Secondo Eri Ishikawa, dell’Associazione per i Rifugiati, questo atteggiamento fa parte di un piano più ampio per contrastare l’immigrazione voluto dal primo ministro Shinzo Abe, le cui posizioni fecero già un certo scalpore già nel 2015, quando affermò che il Giappone avrebbe dovuto migliorare le vite della sua gente – in particolare le donne e gli anziani – prima di accettare i rifugiati siriani.
Una marcia di protesta per i diritti dei rifugiati a Tokyo, 2016 (Getty)

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