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18:28 martedì 15 luglio 2025
Il figlio di Liam Gallagher si sta facendo bello ai concerti degli Oasis indossando le giacche del padre Gene Gallagher è stato pizzicato a indossare una giacca Burberry di papà al concerto di Manchester: l’ha definita un «cimelio di famiglia».
In una piccola città spagnola, una notizia che non si sa se vera o falsa ha portato a una caccia all’immigrato lunga tre giorni Tutto è partito da una denuncia che ancora non è stata confermata, poi sono venute le fake news e i partiti di estrema destra, infine le violenze in strada e gli arresti.
Una ricerca ha scoperto che quando sono stressate le piante ne “parlano” con gli animali Soprattutto con gli insetti, attraverso dei suoni specifici. Gli insetti però non sono gentilissimi: se una pianta sta male, loro la evitano.
Hbo ha pubblicato la prima foto dal set della serie di Harry Potter e ovviamente ritrae il nuovo Harry Potter L'attore Dominic McLaughlin per la prima volta volta in costume, con occhiali e cicatrice, sul set londinese della serie.
Nel nuovo disco di Travis Scott c’è un sampling di Massimo Ranieri In uno dei più improbabili crossover di sempre, nella canzone "2000 Excursion" di Scott si trova anche "Adagio Veneziano" di Ranieri.
L’annuncio dell’arrivo a Venezia di Emily in Paris lo ha dato Luca Zaia Il Presidente della Regione Veneto ha bruciato Netflix sul tempo con un post su Instagram, confermando che “Emily in Venice” verrà girato ad agosto in Laguna.
Ancora una volta, l’attore Stellan Skarsgård ha voluto ricordare il fatto che Ingmar Bergman era un ammiratore di Hitler «È l’unica persona che conosco ad aver pianto quando è morto Hitler», ha detto. Non è la prima volta che Skarsgård racconta questo lato del regista.
Superman non ha salvato solo la Terra ma anche Warner Bros. La performance al botteghino dell'Uomo d'acciaio è stata migliore delle aspettative, salvando lo studio dalla crisi nera del 2024. 

Forse non abbiamo mai capito Gesù

Due nuovi libri avanzano delle ipotesi interessanti, e lontane da quelle dogmatizzate nel catechismo, sulla sua vicenda storica.

25 Dicembre 2020

Non tutti hanno avuto la fortuna di sentirsi dire all’età giusta, da una persona autorevole, con tono lievemente allibito, «Guarda che Gesù è un personaggio storico». Sappiamo che capitò a Hegel, Bulgakov e all’inventore dell’Lsd, e che l’esperienza costellò di germogli le loro personalità ancora acerbe e piene di sogni. Molti non hanno avuto questa fortuna. Moltissimi, ancora oggi, non hanno che un’immagine vaga e dubbiosa della differenza tra l’identità storica di Gesù e quella del Figlio di Dio fatto uomo. C’è chi pensa che Gesù sia più verso Babbo Natale che verso Alessandro Magno. Il motivo più evidente è che Gesù, a differenza di Alessandro, non si studia nell’ora di storia, ma in quella di religione. Eppure non è irragionevole dire che il suo impatto storico sia stato maggiore. Non solo: le fonti che parlano di Gesù (tra attendibili e leggendarie) sono più numerose e più precoci delle fonti (attendibili o leggendarie) su Alessandro. In effetti, su nessun personaggio dell’antichità disponiamo di tante informazioni, a eccezione di Giulio Cesare.

Eppure, Gesù non si studia a scuola. Pare sia un’esigenza di questo tempo purgare il sapere storico e scientifico da ogni barlume di mistero, e anche chi parteggia per il mistero (la Chiesa) non ha piacere a confondere i due piani: chiedetelo a chi ha fatto catechismo. Colgo l’occasione del Natale (e di una nuova, autorevole pubblicazione sul cosiddetto Gesù storico) per raccontare ciò che sappiamo di lui con ragionevole certezza. La vecchia tesi riproposta dal filosofo Michel Onfray (Decadenza, 2017) secondo cui Gesù sarebbe un personaggio di fantasia ispirato dalla mitologia persiana e mesopotamica, non viene più presa seriamente in considerazione. Il motivo (a parte l’inverosimiglianza storica della “teoria mitista”) è che abbiamo le fonti. Il numero di quelle considerate attendibili varia a seconda degli studiosi, per lo più esegeti e biblisti. Uno dei più noti è Daniel Marguerat, di cui Claudiana ha appena pubblicato Gesù di Nazareth. Per un approccio veramente laico, però, si deve vedere Giorgio Jossa, di cui di recente è uscito per Paideia Voi chi dite che io sia?. 

Veniamo ai fatti. Nel 28 d.C. appare nel deserto di Giudea un ebreo chiamato Yehoshua ben Yosef, Gesù figlio di Giuseppe. Ha all’incirca trentacinque anni e si è appena unito al movimento penitenziale di Giovanni detto il Battista. In un deserto brulicante di profeti, Giovanni annuncia che «il tempo è finito» e invita gli ebrei a cambiare vita. I suoi argomenti sono tassativi: dividere i beni con i poveri, lottare contro la corruzione dei funzionari. Ma prima di tutto pentirsi: non con i soliti sacrifici al tempio, ma con un lavacro battesimale nel fiume Giordano. Gesù è tra i suoi discepoli. Ed è probabile che al momento del battesimo abbia fatto un’esperienza non ordinaria. È col battesimo, comunque, che quest’uomo esce dall’oscurità per entrare nella storia, prima come seguace e collaboratore di Giovanni, poi come profeta itinerante. Della sua vita di prima non possiamo dire molto, perché le fonti che raccontano l’infanzia di Gesù (nello specifico Matteo e Luca) sono tardive e hanno un intento teologico. È improbabile che fosse nato a Betlemme (alcuni, non Marguerat, propendono per Nazareth), primo di cinque fratelli e di un numero imprecisato di sorelle. Forse un mamzer, un figlio illegittimo, forse figlio di un padre morto prematuramente. Era celibe, condizione davvero eccezionale per un ebreo della sua età: il perché rimane un enigma. Forse aveva fatto il falegname. Di più non possiamo dire.

Ma sappiamo che ben presto quest’uomo si separò dal suo maestro e partì per la Galilea. Il punto è: per predicare cosa? La tesi di Jossa è interessantissima: Gesù, almeno nella prima fase del suo breve ministero (un anno circa), non si è presentato come il Messia, e quando parlava del regno di Dio non alludeva a un regno celeste, ma terreno: una trasformazione radicale della società in senso egualitario, l’utopia di un mondo senza sopraffazione né ingiustizia. La predicazione non andò come sperato. Anche perché il seguito di Gesù, in vita, fu scarso: dodici discepoli – il numero è verosimile – a cui occasionalmente si univano gruppi più numerosi. Certamente compì un certo numero di esorcismi e guarigioni, fatti non rari nel mondo antico (se costituissero una “prova” della sua realtà sovrumana è un fatto che non riguarda gli storici). A un certo punto, però, dovette rendersi conto che il ministero era fallito: che il contenuto della sua predicazione doveva cambiare. Perché di fatto, cambiò. Arrivato a Gerusalemme, dove sa di rischiare la vita, Gesù inizia a parlare della sua morte come necessità salvifica. Ed è solo davanti al sinedrio che dirà esplicitamente, per la prima volta, di essere il Figlio di Dio. Il sinedrio lo invia a Pilato, che lo condanna a morte. Procuratore e imputato si incontrarono all’alba. E l’episodio di Barabba potrebbe essere vero. 

Questa la vicenda. Che però, così ricostruita, crea un problema storico: come si spiega che quest’uomo incompreso, che aveva avuto così poco seguito in vita, solo cinquant’anni dopo era al centro di un culto diffuso in tutto l’Impero romano? Ho fatto questa domanda a Jossa, che mi ha risposto così: «È successo qualcosa dopo la sua morte. Per il credente, Gesù è risorto. Lo storico può limitarsi a dire: i discepoli hanno avuto un’esperienza straordinaria. Deve essersi verificato un evento che ha ridato senso alla loro missione». Quanto a Hegel, Bulgakov e Hofmann, non è accertato che abbiano avuto l’esperienza di cui parlavo all’inizio. Ma è comunque possibile. 

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