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20:13 lunedì 18 agosto 2025
A quanto pare Lana Del Rey è molto arrabbiata con Ethel Cain, ma nessuno ha ancora capito perché Le ha lanciato una frecciatina in una traccia del nuovo album e l'ha bloccata su Instagram: perché ce l'abbia così tanto con Cain, però, non è chiaro.
La sinistra mondiale va così male che è riuscita a perdere le elezioni anche nella Bolivia socialista Il Movimiento al Socialismo governava dal 2005, ma al primo turno è arrivato a malapena quarto. Al ballottaggio vanno un candidato di centro e uno di centrodestra.
A Liam Gallagher hanno vietato di lanciare tra il pubblico tamburello e maracas alla fine dei concerti perché le persone si picchiavano pur di accaparrarseli È stata l'organizzazione del concerto a dirglielo, per evitare che i fan si «strizzino i capezzoli a vicenda, si tirino le orecchie, si prendano a ginocchiate nelle parti basse».
È morto Ronnie Rondell, l’uomo che andava a fuoco sulla copertina di Wish You Were Here dei Pink Floyd Ci vollero 15 tentativi per ottenere lo scatto perfetto, un'impresa che mise a dura prova anche uno stunt man come lui, sopravvissuto alle riprese più spericolate della storia del cinema.
Sally Rooney ha detto che donerà i proventi degli adattamenti Bbc dei suoi romanzi a Palestine Action Lo ha scritto in un articolo pubblicato sull'Irish Times, in cui attacca (di nuovo) il governo inglese per le sue posizioni filoisraeliane.
Terence Stamp è stato l’attore inglese più amato dal cinema italiano Teorema di Pasolini, Tre passi nel delirio di Fellini, Una stagione all'inferno di Nelo Risi e molti altri: negli anni '70 Stamp, morto il 17 agosto a 87 anni, fu "adottato" dal cinema italiano.
È morto a 94 anni Gianni Berengo Gardin, uno dei più grandi fotografi italiani Con i suoi scatti in bianco e nero ha raccontato l’Italia nel pieno dei suoi cambiamenti: dal boom industriale alle grandi navi a Venezia.
Instagram si è “ispirato” di nuovo a TikTok e ha introdotto la funzione repost Tra le nuove funzioni introdotte dall’ultimo aggiornamento ce n’è una che lo farà somigliare ancora di più al social rivale.

Che arte sarebbe senza gallerie d’arte?

La mostra ARCHIVIALE_001 al Museo del Novecento, perfetta da visitare durante l'Art Week, riunisce documenti, fotografie, inviti, articoli e riviste di ottant’anni di arte (e artisti) passati per le gallerie di Milano.

11 Aprile 2024

Hanno inaugurato il 10 aprile al Museo del Novecento quattro progetti espositivi parte di Milano Art Week, ribollente calderone milanese “dedicato all’arte e ai linguaggi contemporanei”. Settimana in cui tutto inaugura, apre e succede, dal micro al macro, spianando poi la strada al Salone del Mobile e poi via via dritti verso la Biennale di Venezia. Tre di questi sono opere pensate e realizzate per gli spazi del museo da artisti contemporanei e molto viventi. La cipriota Haris Epaminonda (che nome meraviglioso!) installa nella galleria del Futurismo, movimento di cui il Museo del Novecento è la casa milanese, essendo poi iniziato un po’ tutto con quella rissa in galleria su cui oggi il palazzo dell’Arengario affaccia, una riflessione su quegli spavaldi che vollero cantare l’amor del pericolo ma soprattutto sulla figura più inafferrabile di Medardo Rosso, che i futuristi magnificarono ma che mai al movimento fu organico.

Salendo si incontra Off Script, dell’olandese Magali Reus, con momenti di nostalgia pop che prendono la forma di barattoloni fuori scala di marmellata finiti e sbrodolati appesi alle pareti. Un piano più su e ci si imbatte in Ritratto di città (20/20.000Hz), grande video-installazione multicanale di primario chic ed eleganza compositiva, tra silenzi e rumore e città e architettura, Luciano Berio e lo Studio di Fonologia della RAI di Milano, che incuriosisce e fa venire voglia di conoscerle tutte queste storie e di leggere di più, e di uscire a di guardare con occhi nuovi per la milionesima volta la Torre Velasca e di conoscere meglio i BBPR per esempio, o anche solo di guardarsi attorno e studiarsi bene tutto il lavoro di Italo Rota che ha progettato gli spazi del Museo del Novecento in cui ci si trova e che è morto solo qualche giorno fa.

Ad emozionare e a far perdere il senso del tempo è però l’ultima grande sala, in cui si srotola davanti agli occhi ARCHIVIALE_001. Dal 1940 a oggi – Istantanee dalle gallerie d’arte di Milano, a cura di Mariuccia Casadio che insieme alla nipote Dora Casadio ha collezionato e rimesso insieme documenti, fotografie, inviti, articoli, riviste, cataloghi e frattaglie di ottant’anni di arte passata per le gallerie della città: «Un percorso diacronico, fatto di impressioni, rimandi, collegamenti, ascendenze e discendenze», dice la cartella stampa, e infatti così è. Uno sparigliare i documenti salvati dagli archivi che qui sembrano riprendere respiro e un loro posto, alle pareti come nelle teche, rimettendosi insieme per conto loro senza l’impiccio della cronologia o della priorità o anche solo del tema.

Un caos preparato con attenzione che diventa un grande gioco del Memory in cui una didascalia rimanda a un catalogo che rimanda a una foto che ricorda un testo e allora si torna indietro e si rilegge e ci si lascia affascinare e poi qualcos’altro richiama l’attenzione e allora ci si perde e poi via di nuovo dall’inizio e virtualmente all’infinito. Quel che l’esperienza restituisce è un fervore, un brulicare, un vibrare di quasi un secolo di Milano che attraverso le sue gallerie è stata e forse sa essere ancora anche se probabilmente potrebbe esserlo meglio, come la descriveva Pierre Restany che nel 1972 scriveva: «La tradizione dei milanesi non consiste nel conservare, ma nel prevedere. E se il gusto dell’innovazione si manifesta a volte in modo abusivo, questo eccesso non fa altro che tradurre lo stato d’animo di una popolazione attiva, dinamica, decisamente rivolta al futuro».

E allora si trovano foto di Carla Pellegrini seduta su una sedia furni-fetish di Allen Jones accanto a quella di un Massimo De Carlo esausto spiaccicato contro il muro con lo scotch da pacchi di Maurizio Cattelan. E le rivistine della Galleria del Milione, e il manifestino di una mostra di Pinot Gallizio, e la falce e il martello di Enzo Mari, e Keith Haring, e Urs Luthi, e Robert Longo nel 1980 con dei capelli ancora più pazzeschi di quelli che ha oggi che chiacchiera con una Helena Kontova giovanissima. C’è Hermann Nitsch che affetta un pesce nel 2000 da Enzo Cannaviello e c’è Luciano Inga Pin elegantissimo. C’è tutto quello che le gallerie private sono state, hanno fatto, il ché include certo anche un sacco di soldi, e potrebbero ancora essere e dare a chiunque superi quel senso di inadeguatezza che spesso si prova varcata la soglia.

Se questo succede poco, e succede poco soprattutto a Milano rispetto ad altre grandi città, per pudore o per snobismo è questione aperta. Ma a rivedere insieme tutto questo materiale vien proprio da pensare che anche qui non si è mica scherzato per niente, e anzi che gran secolo che è stato. E magari viene voglia di smuoverlo un po’ quel sistema, e di farne parte, fregandosene del pudore o dello snobismo. Perché, come dice Casadio «le gallerie non dovrebbero essere boutique di lusso o spazi inespugnabili, dovrebbero essere come quel bar o quel nightclub in cui ti senti al tuo posto, che se sei in giro e piove, puoi entrarci e vedere una bella mostra, che ti viene raccontata bene, e sederti a bere un tè».

Immagine: Massimo De Carlo con Maurizio Cattelan. Mostra A Perfect Day, Galleria Massimo De Carlo, Milano, 1999. Courtesy Massimo De Carlo
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