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Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 
Una editorialista del Washington Post è stata licenziata per delle dichiarazioni contro Charlie Kirk Karen Attiah ha scoperto di essere diventata ex editorialista del giornale proprio dopo aver fatto sui social commenti molto critici verso Kirk.
In Nepal hanno nominato una nuova Presidente del Consiglio anche grazie a un referendum su Discord Per la prima volta nella storia, una piattaforma pensata per tutt'altro scopo ha contribuito all'elezione di un Primo ministro.
Amanda Knox è la prima ospite della nuova stagione del podcast di Gwyneth Paltrow Un’intervista il cui scopo, secondo Paltrow, è «restituire ad Amanda la sua voce», ma anche permetterle di promuovere il suo Substack.
Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

Fratelli di Cannes

Moretti, Sorrentino, Garrone. Voci degli e sugli italiani sentite in questi giorni sulla Croisette.

18 Maggio 2015

Alternative View - The 68th Annual Cannes Film Festival«C’è anche Alba Rohrwacher, giusto?» «Sì, ma per fortuna si vede poco: non la sopporto». Diceva così, l’altro giorno, uno spagnolo a un altro spagnolo, commentando Il racconto dei racconti di Matteo Garrone. Io origliavo dal tavolino accanto, mangiando quinoa (succede anche questo, a Cannes: di mangiare quinoa). Avrei volentieri approfondito, non fosse che poi – da quel che ho capito – i due spagnoli si son messi a dire che il film sì, insomma, boh, e io ci avrei di sicuro litigato. Tale of Tales, come lo chiamano da queste parti, è bellissimo.

Si fa un gran parlare degli italiani a Cannes edizione numero 68. Si riempiono finalmente le pagine dei quotidiani di bandiera per un motivo sensato, e non con le stellette e le palline assegnate a film rumeni visti solo da un gruppetto di critici spiaggiato qui intorno a metà maggio e che probabilmente nelle sale italiane non usciranno mai. I tre italiani sono già al cinema (Moretti, Garrone) o quasi (Sorrentino esce mercoledì), creano inevitabili tifoserie, suscitano quel poco di dibattito che è rimasto oggi dentro e fuori dalle sale.

Fanno parlare anche qui sulla benedetta, stanca, russa Croisette. Garrone piace agli anglosassoni e viene inspiegabilmente demolito dai francesi, Nanni ha avuto la solita accoglienza trionfale, Sorrentino passa tra un paio di giorni (e passa agguerrito: La grande bellezza, nell’anno della Vie d’Adèle, non beccò nulla, e poi fu Oscar). Michel Ciment, Venerato Maestro della critica francese, dà nei pagellini di Screen International la famigerata croce nera al Racconto dei racconti, un suo connazionale ignoto registrava l’altra mattina in sala stampa la sua recensione per la radio a Mia madre, invocando la Palma d’oro (sarebbe la seconda dopo La stanza del figlio). Gli italiani, che Nanni l’han visto già un mese fa, sabato hanno potuto dormire fino alle nove per l’unica mattina del Festival.

Di italiani, si sa, è piena Cannes. Italiani cinematografari, italiani presenzialisti, italiani wannabe critici di quotidiano di prestigio campioni di autoconvincimento («M’hanno passato dalla carta al sito ma son contento: è seguitissimo»: è la sinistra brasserie). Dicono tutti «i soldi sono finiti», e poi eccoli puntuali nei soliti accrocchi fuori dalla Salle Debussy, sempre quelli, come ogni primavera. Certo i tempi dei bei bivacchi son passati, gli uffici stampa ormai si fermano giusto il tempo della proiezione del loro film e poi tutti a casa di corsa, tutti a Roma. I distributori comprano i titoli mesi prima, sulla fiducia, stare qui durante il Festival a vederne e opzionarne altri è una spesa che non si può più permettere quasi nessuno. L’Italia festivaliera arranca, ci vorrebbe Matteo Renzi a dare 80 euri per la nota spesa da Croisette (pain au chocolat, coquillages, quinoa) del povero giornalista medio, oggi vivace sessantacinquenne ancora abituato ai bengodi che furono.

"Mia Madre" Premiere - The 68th Annual Cannes Film FestivalAll’esterno/estero, però, l’effetto a questo giro pare diverso. C’è un gran rispolvero di quella che una volta si chiamava internazionalità del nostro cinema. Persino Moretti, da sempre tutto Silvio Orlando, in Mia madre ha voluto John Turturro. Sorrentino ha fatto star fermo un turno il suo Servillo e viene con le vecchie glorie Michael Caine, Harvey Keitel e Jane Fonda, già passata dai red carpet L’Oréal con abiti blu elettrico che solo lei può permettersi. Garrone li ha voluti più giovani e fighi, ha preso Salma Hayek per fare la regina borbonica e Vincent Cassel in un ruolo che una volta sarebbe andato a Vittorio Gassman, e via così fino a tale Bebe Cave (la principessina coi ricci sposata a un orco) che dà la merda – pardon – a una qualsivoglia attrice italiana.

Tre giorni fa su Instagram la top-delle-top del momento Cara Delevingne postava una foto della regina Salma Hayek che si mangia il cuore di un drago nel Racconto dei racconti, apponendo come didascalia: «Come mi sento oggi». Delevingne ha dodici milioni e mezzo di follower: che un fotogramma di Cinema Italiano arrivi a tanta gente non è cosa che succede spesso. Diciamo che ad Alessandro Siani non succede.

Gli italiani urlano, schiamazzano, si sbracciano da un estremo all’altro delle code (ancora ci sono, per la capacità che hanno solo i francesi di mantenere intatta la grandeur di casa anche in tempo di crisi). S’infilano dappertutto. Sul tappeto rosso del solito Garrone c’era anche Massimo Ceccherini, che nel film compare, sì, e però non dice nemmeno una battuta: ma si vorrà mica negare la Montée des Marches a qualcuno. Gli italiani vanno alle feste. A quella del solito Racconto giovedì scorso non si entrava. La Villa Schweppes (sic), nascosta in un anfratto del Palais, avrebbe dovuto contenere centinaia di persone di varia nazionalità, la proiezione è finita tardi, ci si accalcava (dicono) per un gin tonic (almeno l’acqua tonica era assicurata), molti se ne sono andati a notte inoltrata ma a bocca asciutta, sommessamente, col loro badge pronto per un’altra coda il giorno dopo. Nanni Moretti alla festa sulla spiaggia per Mia madre non ha ballato sui tavoli come ai tempi di Habemus Papam, del resto stavolta era tutto un altro film, tutta un’altra musica, là c’era Mercedes Sosa e qui Arvo Pärt. Però c’è stato il tenero boogie woogie con Margherita Buy, debitamente ripreso dai cronisti in cerca di scoop da profilo Facebook, e poi si è fatto i selfie (anche con me: pover’uomo).

Una volta qui era tutto Truffaut.

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