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In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Love Story e le frasi d’amore più patetiche di sempre

Compie cinquant’anni il film che contiene la più svenevole e incongrua frase d’amore della storia del cinema.

17 Dicembre 2020

Compie cinquant’anni Love Story, contenitore della più svenevole e incongrua frase d’amore, spesa nei decenni a venire da scellerati che ne hanno dolosamente ignorato la colpa di aver inaugurato il più delittuoso bacioperuginismo relazionale: «Amare significa non dover mai dire “mi dispiace”». In Italia il film arrivò a luglio dell’anno dopo – per la precisione il 9 luglio. Purtroppo, lo ricordo benissimo benché seienne (capirete il crash psicologico): il 10 luglio, le mie sorelle maggiori, accessoriate di intere scatole di kleenex, mi trascinarono a vedere quel film di cui già tanto si parlava nella categoria “mi sono divertita tantissimo, ho pianto tanto”.

Da dieci lustri, quella frase non l’ho ancora capita bene. Che significa, davvero? Anche all’epoca, mi feci un sacco di domande: se sono in coppia, devo comportarmi talmente bene da non dover far dire al partner “mi dispiace”? Oppure: se tu affermi di amarmi e quindi, di conseguenza, non appartengono al nostro lessico di coppia i termini “mi” e “dispiace”, io posso fare tutto – ma proprio tutto – quello che mi passa per il capo e per il corpo, tanto conto sul tuo silenzio? E, se è così, il tuo sarà un silenzio-assenso o un silenzio-dissenso? O rovesciando la prospettiva (si gioca su piani paritari, siamo persone di mondo) se dai come scolpito nella pietra l’assioma di cui sopra, nel caso in cui tu partner facessi qualcosa che a me potrebbe causare dispiacere, tipo mettermi le corna, dovrei starmene zitto e muto?

Pensavo, a sei anni: mi è sempre stato detto che dovresti scusarti quando ferisci un’altra persona. Mi è stato anche insegnato a perdonare l’altra persona, se le scuse sono sincere e contrite: allora perché non devi scusarti quando ferisci le persone che ami? Non è che l’amore sarà quella roba per cui la quantità e la qualità delle cose che succedono tra due persone contempla solo l’approvazione, per accumulare i rancori nel Tfr emotivo di un reciproco rancore taciturno? Niente. Non ne sono mai venuto a capo: per mia consolazione, nel ’73, arrivò Guccini a percularli nell’LP Opera buffa, nella canzone La Genesi, in un litigio tra Dio e il principe dei diavoli: «Lucifero, è inutile che tu mi chiedi scusa: adorare significa non dovere mai dire mi dispiace».

La frase viene pronunciata due volte, nel film, scritto da Erich Segal, che durante le riprese scrisse in contemporanea il bestseller dalla sua stessa sceneggiatura (oggi la chiameremmo novelization): quando tra gli sventurati amanti Jennifer (Ali MacGraw) e Oliver (Ryan O’ Neal) lui a un certo punto, perde le staffe. E, nel finale (spoiler: lei è già morta, finalmente) lui la ripete al padre che si pente di averlo rinnegato, ma ahinoi, è troppo tardi: pare che Segal si fosse ispirato al suo amico d’infanzia Al Gore. Quell’Al Gore, il futuro vicepresidente degli States, si dice in rotta continua con il padre. Soddisfazione: Love Story, malgrado le sei nomination all’Oscar, ne vinse solo uno: quella per la colonna sonora, pure ad altissimo contenuto glicemico emozionale, di Francis Lai. Mica li intorti così, quelli dell’Academy. Ma ormai la stura era data, allo sciocchezzaio delle frasi d’amore a effetto, in più dotate del livello di comprensione di una pièce di Jonesco.

A superare lo shock di Love Story arrivò poi il film dei fratelli Taviani del ‘79 Il prato, dove un’Isabella Rossellini mai così bella e pessima nella recitazione, chiede a un Saverio Marconi mai così bello e pessimo nel tremolio: «Tremi? Hai freddo?» ottenendone in risposta: «Tremo perché ti amo». Nota a margine: sono a San Gimignano d’inverno, lui è stato morso dal cane idrofobo di lei ed è squassato dalla rabbia (nel senso di malattia), e naturalmente morirà perché si è rifiutato di farsi curare: ovvio che abbia freddo, che c’entra l’amore? A pensarci oggi, fa il paio con «Il solo momento in cui non ho freddo penso a te», in Pearl Harbour, del 2001No, dico: sono cose che segnano. E restano nel tempo. Come un mito. O come un copia-e-incolla di sceneggiatori svogliati che ispirano aspiranti incartatori di cioccolatini: ci credereste che «Siamo fatti della stessa materia dei sogni» è stata espiantata da La tempesta di Shakespeare per insinuarsi in Scusa se ti chiamo amore di Federico Moccia?

Il rischio è cadere nel Banal Grande per affogare in un mare di insensate melasse verbali da cui spettatori e spettatrici di scarsa fantasia traggono ispirazione, prendono appunti, fanno screenshot e post su Instagram come se fossero perle di verità assoluta e non hanno neanche la dignità di un post-it motivazionale. È vero: come dice Gabe-Woody Allen a Judy-Mia Farrow in Mariti e mogli, del ‘92, «la vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione». Pensare che avevamo iniziato così bene: «So solo che ti amo». «E questa è la tua disgrazia»: dialogo finale tra Rossella O’Hara (Vivien Leigh) a Rhett Butler (Clark Gable), in Via col vento, 1939. Molto, molto più di mezzo secolo fa.

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