Cultura | Arte

Francis Bacon è il pittore perfetto per raccontare questo momento

Le sue figure possono essere lette come un resoconto della nostra vita in pandemia. Non è un caso che nel 2021 nuovi libri e una mostra lo celebreranno.

di Germano D'Acquisto

"Crouching Nude" di Francis Bacon mostrato durante l'asta di Sotheby's del 17 giugno 2011 a Londra (Foto di Oli Scarff / Getty Images)

Non esiste pittore o scultore che meglio di lui avrebbe potuto raccontare questi nostri tempi fragili e privi d’orizzonte. Nessuno più di lui sarebbe riuscito a dare densità e materia ad elementi per loro natura intangibili come sono i tumulti dell’anima, l’incertezza e l’inquietudine. Elementi che da mesi ormai avvolgono le nostre giornate, trascorse dentro scatole di cemento armato, incorniciate da angoli chiusi, senza aperture verso l’esterno e verso il mondo. Francis Bacon ha raccontato tutto questo nelle sue tele, in anticipo di cinquant’anni ma al passo con i suoi tempi. È stato il più grande di tutti, perché meglio di chiunque altro ha saputo raccontare ciò che nessuno aveva mai osato mostrare. E cioè, il disfacimento del corpo con i suoi umori senza controllo, il piacere animale, la fragilità dello spirito e l’assenza totale di luce. A guardare oggi i suoi dipinti sembra quasi siano stati realizzati poche settimane fa. Tutto lì è oppresso, come oppresso è il contesto in cui siamo costretti noi da mesi e mesi. Le sue figure deformate, prigioniere di quinte senza sbocchi, rappresentano il resoconto perfetto della vita al tempo della pandemia. Quasi una cronaca espressionista del nostro quotidiano, o almeno del quotidiano di molti di noi.

D’altronde Bacon è sempre stato un artista esistenziale. Ha ritratto soggetti dai corpi malati, dai lineamenti scarnificati e decomposti. Sesso, violenza e solitudine: sono questi gli elementi che per lui delineavano l’uomo moderno, rappresentato spesso come un animale senza pace, in balia del dolore e della paura. Pioniere della cosiddetta Nuova Figurazione inglese animata, il pittore britannico ha raccontato il suo tempo devastato dagli orrori della Seconda guerra mondiale e assediato dagli effetti estranianti del dopoguerra. Ma il suo ritratto si è rivelato quanto mai attuale. Se la modernità, infatti, ha segnato prodigiose accelerazioni che ci hanno condotto sulla luna e su avveniristiche navigazioni ipertestuali, l’uomo in fin dei conti è rimasto sempre lo stesso.

Non è dunque un caso che per molti il 2021 sarà l’anno di Francis Bacon. Lo dice l’editoria, lo dicono i musei, lo ribadisce l’atmosfera delle nostre giornate cupe passate fra smart working e cattivi pensieri. Stanno per essere pubblicati diversi libri dedicati al maestro originario di Dublino. Come The Death of Francis Bacon di Max Porter, pubblicato da Faber & Faber, in cui l’autore immagina gli ultimi sei giorni di vita dell’artista. Quelli in cui, sul letto dell’ospedale di un convento spagnolo, ripercorre la sua vita nel corso di una confessione immaginaria con suor Mercedes. In realtà Bacon, nelle sue ultime ore non incontrò nessuno. Né amici, né amanti, né altri. Un paio di giorni dopo la morte il suo corpo fu cremato in un cimitero municipale, senza cerimonie o persone in lutto. «Una vita dedicata alle emozioni umane più estreme espresse sempre con la massima forza si è conclusa, quasi anonimamente, nel silenzio più assoluto», ha detto il suo biografo Michael Peppiatt, che a gennaio pubblica il volume Francis Bacon: Studies for a Portrait (Thames & Hudson). Un viaggio attraverso saggi e interviste in cui lo scrittore compone l’intricato macramè umano e artistico del pittore. Sempre per Thames & Hudson e sempre a gennaio arriva anche Shadows, di Martin Harrison, che invece ne esplora la poetica, perfettamente applicabile ai giorni nostri.

Study of Nude with figure in a mirror viene mostrata durante un’anteprima per la stampa dell’asta serale di arte contemporanea di Sotheby’s il 21 febbraio 2008 a Londra (Foto di Daniel Berehulak / Getty Images)

Tutto questo mentre la Royal Academy of Arts di Londra si prepara, coronavirus permettendo, ad omaggiarlo con una spettacolare retrospettiva dal titolo “Francis Bacon: Man and Beast” (30 gennaio – 18 aprile). In scena 45 opere, realizzate dagli anni Trenta agli anni Novanta, in cui l’artista fonde l’essere umano all’animale. Nelle sale del museo di Burlington House è infatti esposto anche “Study of a Bull”, l’ultimissimo lavoro del 1991, quasi un testamento spirituale dove il crinale che separa l’ uomo dalla bestia, è talmente flebile da dubitare della sua esistenza.

Ma la lezione che Bacon ci offre è più ampia delle sue stesse tele. Occorre andare un po’ più in là. Oltre quelle figure umane smarrite e sfigurate, costrette all’interno di spazi angusti. La chiave ci arriva  rileggendo gli ultimi giorni della sua vita. Bacon morì nel 1992 a Madrid. Aveva deciso di volare in Spagna nonostante i problemi renali e respiratori, nonostante il parere negativo dei medici. Lo aveva fatto contro tutto e contro tutti solo, per incontrare un’ultima volta il suo grande amore dell’epoca, il giovane banchiere José Capelo, a cui aveva dedicato un meraviglioso e sconvolgente trittico. Lui 82 anni, ormai alla fine, l’amante 36. Una liaison in perfetto stile baconiano che nasconde il messaggio più spiazzante di tutti: l’artista più pessimista di sempre, quello dell’angoscia e del tormento, aveva continuato a credere nell’amore fino all’ultimo. Nonostante tutto. Probabilmente dovremmo fare anche noi lo stesso. Nonostante tutto.