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Come la geologia ha influenzato la storia: le foibe in mostra a Roma

Quando si parla di “foibe”, generalmente s’intendono i massacri in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia condotti tra il 1943 e il 1945 dalle formazioni partigiane fedeli a Tito, futuro presidente della Repubblica Socialista di Jugoslavia: è una parola carica di connotazioni emotive e politiche, che ritorna frequentemente nel dibattito italiano, perché molte delle vittime erano italiane e perché alcuni vedono nella vicenda un esempio di violenze di matrice comunista “cadute nel dimenticatoio”. Letteralmente però “foibe” è un termine geologico, che indica un tipo di voragini assai profonde e diffuse nelle aree carsiche: «inghiottitoi naturali», come li definisce l’enciclopedia Treccani.

Le foibe, intese come formazioni geologiche, si prestavano particolarmente bene a nascondere i corpi, data la loro profondità e la natura del terreno, che essendo interamente roccioso è difficile da scavare: tra le quattromila e le cinquemila persone sono state uccise e gettate nelle foibe, secondo la ricostruzione giudicata «più attendibile» sempre dalla Treccani.
A partire da questa sovrapposizione tra storia e geografia, la fotografa italiana Sharon Ritossa ha realizzato il progetto “Foibe”, una serie di scatti che puntano a essere una riflessione sulle «ripercussioni di una particolare conformazione geologica sulle vicende sociali e storiche». Il lavoro sarà esposto dal 15 settembre al 26 novembre alla Galleria del Cembalo di Roma, parte del progetto espositivo di Fabrica “Identità negate” (che include anche “Lingering Ghosts”, mostra fotografica di Sam Ivin dedicata ai richiedenti asilo).
Nelle immagini: foto di Sharon Ritossa, pubblicate con il consenso di Fabrica.

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