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La danzatrice del ventre è diventato un mestiere molto pericoloso da fare in Egitto Spesso finiscono agli arresti per incitazione al vizio: è successo già cinque volte negli ultimi due anni, l'ultima all'italiana Linda Martino.
Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
Trump si è complimentato con il Presidente della Liberia per il suo inglese, non sapendo che in Liberia l’inglese è la prima lingua Joseph Boakai, nonostante l'imbarazzo, si è limitato a spiegargli che sì, ha studiato l'inglese nella sua vita.
Ed Sheeran si è dato alla pittura e ha provato a imitare Jackson Pollock con risultati abbastanza discutibili Ma almeno si è sforzato di tenere "bassi" i prezzi delle sue "opere": meno di mille sterline a pezzo, che andranno tutte in beneficienza.
Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

Il mondo visto da una finestra

Una mostra ripercorre la storia della finestra, oggetto amato dagli artisti, protagonista dell’architettura da Oriente a Occidente e più che mai simbolica nell'era dei lockdown.

27 Novembre 2020

Ne Il mio anno di riposo e oblio la scrittrice americana Ottessa Moshfegh descrive con caustica freddezza l’esperimento di “ibernazione” narcotica di una ventiseienne dai molti privilegi e gli altrettanti guai. Rinchiusa in un lussuoso appartamento dell’Upper East Side di Manhattan, imbottita di psicofarmaci dai nomi altisonanti – Lunesta, Placidyl, Silencior, Infermiterol – la giovane vede «l’estate morire e l’autunno diventare freddo e grigio da una stecca rotta nella veneziana». Che giorno era? Era l’alba o stava tramontando? Non le importava.

Per i pittori romantici una finestra aperta simboleggia il desiderio di essere contemporaneamente dentro e fuori, su una soglia ambigua che confonde incertezza e familiarità. Spoglie o incorniciate da tende di tulle e mussola bianca, le immagini di finestre riempiono le pagine di agende e quaderni d’artista, moltiplicano con le loro vedute prospettiche gli spazi di musei e gallerie in Germania, Danimarca, Francia e Russia. «In lontananza tutto diventa poesia», scrive Novalis. «In lontananza», immagina attraverso un vetro la protagonista senza nome de Il mio anno di riposo e oblio, «la gente viveva la sua vita, si divertiva, imparava, guadagnava, litigava, camminava, si innamorava e si lasciava». Tutto diventa romantico. Oltre un secolo dopo, la finestra dipinta dai surrealisti è già rivelazione di un inganno, prova visibile della nostra incapacità di distinguere reale e immaginario: è “la condizione umana”, cui ironicamente allude l’omonimo quadro di Magritte del 1933. In modo analogo, negli stessi anni, l’architettura incornicia lo spazio esteriore, lo introietta con il selezionarne gli scorci da mettere in scena. Accade a Villa Malaparte, dove le grandi finestre del salone sono varchi per un paesaggio sublimato, quello scosceso e inaccessibile di Capri che lo scrittore Curzio Malaparte, proprietario e ideatore dell’opera con Adalberto Libera, inquadra in vedute abbacinanti – «ho comprato la casa già fatta», racconta, mentendo, ne La pelle, «io ho disegnato il paesaggio». La stessa terrazza diventa piattaforma di fruizione di un Mediterraneo mitico, finestra aperta su un panorama che di lì a poco catturerà anche Godard, il quale nel 1963 vi gira Il disprezzo: dove un tempo aveva passeggiato Malaparte sfolgorava ora il corpo statuario di Brigitte Bardot.

L’origine del paesaggio occidentale è qui, nell’invenzione della finestra come un quadro che si apre verso l’esterno e si lascia osservare. Alla Japan House di Los Angeles – ma anche online, prima di spostarsi a San Paolo e Londra – fino al primo marzo una mostra ne ripercorre la storia, in un confronto inedito con l’Oriente e le sue tradizioni. Curata dal Window Research Institute di Tokyo con la regia dello storico e critico dell’architettura Taro Igarashi, Windowology: New Architectural Views from Japan si apre con le immagini del Pantheon e della Vocazione di san Matteo di Caravaggio accanto a quelle realizzate in Giappone durante il periodo Heian con una tecnica chiamata fukinuki yatai, consistente nel “soffiare via il tetto” – letteralmente – dalla rappresentazione della casa per mostrare da una prospettiva aerea la vita che si svolge entro le sue mura. Un posto speciale nella trattazione del tema occupano le finestre rotonde, presenti tanto nelle case del tè quanto nelle cattedrali medievali, nonché nelle esortazioni moderniste di Le Corbusier a cercare ispirazione nei transatlantici. L’immagine dei veicoli progettati per solcare il mare viaggia attraverso i continenti insieme a quella delle navette spaziali e modella l’utopia metabolista dell’architetto giapponese Kisho Kurokawa e della sua Nakagin Capsule Tower, realizzata a Tokyo nei primi anni ‘70. Ironia di Jacques Tati, le gigantesche finestre a oblò di Villa Arpel nel film Mio zio (1958) ricordano gli occhiali di Le Corbusier e le stravaganze dell’architettura moderna.

A New York, intanto, dalla finestra del suo studio di Tribeca, il fotografo Arne Svenson ritrae il quotidiano degli inquilini del palazzo di fronte, un moderno condominio fatto interamente di vetro e acciaio. Il progetto, iniziato nel 2012 e intitolato The Neighbors, gli è valso diverse mostre – l’ultima alla Robert Klein Gallery di Boston – e una causa per violazione della privacy intentata da due inconsapevoli protagonisti. Data la natura artistica dell’opera, il giudice ha finito con il dare ragione a Svenson: per i soggetti immortalati non esiste privacy, i loro corpi appartengono al pubblico.

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