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Hbo ha svelato le prime immagini di Euphoria 3 ma della trama di questa nuova stagione non si capisce ancora niente Ben 13 secondi di video che anticipano la terza stagione, in arrivo nel mese di aprile, in cui si vedono tutti i protagonisti e le protagoniste.
Nel 2026 OpenAI lancerà una modalità di ChatGPT per fare sexting Sarà una funzione opzionale e disattivata di default, che rimuoverà i limiti attualmente imposti al chatbot sui prompt con contenuti sessuali.
Una ricerca ha dimostrato che la crescita economica non è più legata all’aumento delle emissioni di CO₂ E, di conseguenza, che la transizione energetica non è un freno all'aumento del Pil, neanche nei Paesi più industrializzati.
Reddit ha fatto causa al governo australiano per aver vietato i social ai minori di 16 anni La piattaforma è convinta che la legge anti soci isoli i minorenni e limiti la loro voce politica nella società, fornendo benefici minimi.
La casa di Babbo Natale in Finlandia quest’anno è piena di turisti ma anche di soldati Nato L’escalation al confine russo ha trasformato la meta turistica natalizia della Lapponia in un sito sensibile per l’Alleanza Atlantica.
Il governo americano vuole che i turisti rivelino i loro ultimi 5 anni di attività sui social per ottenere il visto Vale anche per i turisti europei che dovranno consegnare la cronologia dei loro account su tutte le piattaforme social utilizzate.
Ora su Letterboxd i film si possono anche noleggiare e sono già disponibili molte chicche introvabili altrove I titoli disponibili saranno divisi in due categorie: classici del passato ormai introvabili e film recenti presentati ai festival ma non ancora distribuiti su altre piattaforme.
Da quando è stata introdotta la verifica dell’età, nel Regno Unito il traffico dei siti porno è calato ma è anche raddoppiato l’utilizzo di VPN Forse è una coincidenza, ma il boom nell'utilizzo di VPN è iniziato subito dopo l'entrata in vigore della verifica dell'età per accedere ai siti porno.

Filippo Ceccarelli e il racconto del potere

È stato uno dei più bravi giornalisti politici, adesso con Invano analizza il mutamento della politica da De Gasperi a Salvini: lo abbiamo intervistato.

15 Novembre 2018

L’ispirazione originaria non è di tipo politico, bensì spirituale. E muove da una domanda solo apparentemente semplice: che cosa rimane di questo benedetto potere? Per Filippo Ceccarelli, scrittore e giornalista, autore di uno sterminato archivio sulla politica italiana donato nel 2015 alla Biblioteca della Camera dei Deputati, non rimarrà niente, perché il potere è per sua natura invano. «In fondo non è che un modo per ingannare la morte», dice sorridendo, cercando di fornire una spiegazione antropologica al titolo del suo ultimo libro, Invano. Il Potere in Italia da De Gasperi a questi qua (Feltrinelli), meraviglioso racconto tribale di quasi mille pagine che ripercorre le vicende e le disavventure delle varie tribù politiche italiane che hanno maneggiato il potere, prediligendo però sempre la dimensione umana, a volte tragica, spesso grottesca, alla rilevanza immediatamente politica. E quindi maschere, idiosincrasie, stili di vita, aneddoti, costumi, Andreotti certo ma anche Franco Evangelisti («a Fra che te serve»), Craxi ma anche Umberto Cicconi, il fotografo personale dell’ex leader socialista che a un John Gotti che lo voleva al suo servizio rispose con un lapidario «ho già un boss», Bossi ma anche i giovani padani che provarono invano a marciare su Roma con indosso magliette dove s’intravedeva il Leone di San Marco intento a ingropparsi una malcapitata lupa.  Leggendo il libro si ride, molto, si scoprono storie straordinarie e, man mano che scorrono i decenni, un po’ ci si dispera: per come eravamo, per come siamo diventati e forse un po’ anche per le occasioni perdute. Ho contattato l’autore per fargli un po’ di domande.

 Un libro di mille pagine in un’epoca in cui viviamo sopraffatti dai social, dalle immagini, dalle frasi brevi. Qualcosa di molto vicino alla follia

È sicuramente una follia. Quello che la giustifica è la perdita di memoria. Viviamo in un tempo dove è come se fosse sparito il prima, sembra che tutto sia accaduto la settimana scorsa. Nessuno già più si ricorda di Bossi o di una figura come quella di Bondi, fenomenale archetipo di sudditanza e servilismo. Ma la memoria è connessa con la democrazia. Senza rischiamo di ripetere gli errori commessi nel passato.

 Partiamo dall’attualità, da quelli che tu definisci «questi qua, i ragazzotti del cambiamento». Nel libro accomuni Renzi a Salvini e Di Maio. Cosa hanno secondo te in comune al di là delle rispettive appartenenze politiche?

Direi che hanno moltissimo in comune, oltre al dato generazionale. Sono un po’ sirenetti e un po’ lupi mannari, rapidi, volitivi, vivono appiccicati ai social, la loro verità è chiaramente penultima quando non terzultima, nel senso che cambiano idea con una facilità disarmante. Sono autodidatti, senza maestri politici, a meno di non voler chiamare Grillo o Bossi maestri, mentre sono certamente figli della televisione, non a caso sia Renzi che Salvini hanno esordito con i quiz, con quei programmi dai nomi strani, La Ruota della fortuna nel caso di Renzi, Doppio slalom e il Pranzo è Servito nel caso di Salvini. Si vestono addirittura allo stesso modo, camicia bianca d’ordinanza e maniche rimboccate. E anche il linguaggio utilizzato, dal maalox ai popcorn, i selfie, le frasi fatte, “ci metto la faccia”, tutto rimanda a un immaginario generazionale. Sono una nuova razza di animali politici, anche se dal punto del pensiero politico onestamente c’è ben poco.

ⓢ All’indomani delle elezioni politiche dell’83, Luigi Pintor, uno dei fondatori del Manifesto, titolò a tutta pagina «non moriremo democristiani». Trentacinque anni dopo, osservando i nuovi governanti, qualcuno comincia già a rimpiangere il partitone bianco. È solo consueta nostalgia del passato?

Un raffronto tra De Gasperi e i ragazzetti sarebbe naturalmente impietoso. Con tutti i suoi limiti e difetti, che non vanno assolutamente dimenticati, possiamo dire che quella era una classe dirigente di Governo, nel senso che dietro esisteva un mondo di interessi, di radicamenti, di appartenenze, ma anche di ispirazioni e di idealità. Questo è quello che rende tale una classe dirigente. Non si tratta tanto di rimpiangere un periodo storico quanto di riconoscere che dietro a quelle persone c’era una cultura politica ben definita. Per ritornare alla metafora della morte, la classe dirigente che si ritrova nell’immediato Dopoguerra non ha bisogno di ingannarla, perché l’ha vista, è successivamente che il potere diventa un modo per ingannarla. Ma questo lo possiamo dire oggi, perché il presente fa sì che si possa riguardare al passato in un certo modo, è il regalo che ci concede la storia.

Craxi nel 1987, anno in cui era primo ministro (Getty)

 A proposito di storia. Nel tuo dettagliato racconto su ascesa e caduta del craxismo emerge la figura di un leader sospeso tra tradizione e modernità. C’è stato un prima e un dopo Craxi nella politica italiana?

Più passa il tempo e più si capisce che Craxi è una figura di cerniera. Per certi versi rimane un socialista, con un piede nella Prima Repubblica, uno che viene dal partito, è stato segretario della sezione di Sesto San Giovanni, ha fatto l’assessore, con l’altro piede invece sta nella modernità, individua per primo la crisi dei vecchi modelli di partito e accompagna il potere e quindi la politica in una direzione che arriva fino a oggi. Penso all’utilizzo dei sondaggi, all’arruolamento di professionalità specifiche, alle agenzie di pubblicità o al partito inteso come un marchio. In questo è stato un anticipatore.

È stato anche il primo a mostrare il corpo, una pratica oggi particolarmente abusata

In realtà il torso nudo si era già visto con il fascismo, lui in qualche modo recupera quella tradizione. Però è vero, la politica della Prima Repubblica, quella democristiana, è stata una politica disincarnata, astratta, mentre con Craxi comincia, o ricomincia, a essere figurativa. E non è certo un caso che questo avvenga in coincidenza con l’espansione dei mezzi di comunicazione. Di fatto negli anni Ottanta assistiamo a una sorta di resurrezione della carne, questo non vale solo per Craxi, dopo decenni in cui sembrava che questi democristiani non avessero un corpo, o se l’avevano era deformato. Da qui la lunga serie di soprannomi, il gobbo, il nano…

11 maggio 2001, Berlusconi fotografato durante l’ultimo giorno di campagna elettorale in piazza del Popolo (ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)

 Da Craxi a Berlusconi il passo è brevissimo. Che cosa pensi rimanga del famigerato ventennio berlusconiano?

Rimane un ventennio, che non è poco. Possiamo tranquillamente dire che in questo Paese c’è stata un’età giolittiana, il fascismo, una età democristiana e una berlusconiana, che ha aperto la strada a tutto quello che è venuto dopo. La sua leadership per certi versi è stata antichissima, e si è configurata come quella di un re con la sua corte, i palazzi personali, il buffone, i servi, i ruffiani, le cortigiane, il poeta e il musicista. Al tempo stesso però è stato il più moderno di tutti nell’innovare il modo di far politica. Forse anche troppo. Al punto che dopo venti anni di comicità berlusconiana, caratterizzata da un continuo di battute, barzellette, corne e doppi sensi, alla fine è arrivato un comico di professione.

Un’ultima domanda te la vorrei fare sulla (ex) famiglia comunista. Dai tuoi racconti emerge il quadretto impietoso di un ribaltone culturale, di un lungo processo di scomunizzazione portato a compimento

La storia ha dimostrato che l potere corrompe anche le culture politiche più restie a lasciarsi corrompere. Gli eredi del Pci non fanno eccezione. Il disvelamento simbolico di questo processo per quanto mi riguarda avviene al Lingotto di Torino, durante il famoso discorso di Veltroni segretario. Si spengono le luci e partono commoventi immagini del Novecento, video di Bartali, foto di Nilde Jotti e del neorealismo, le facce del popolo. Tutto bellissimo e molto veltroniano. Poi si riaccendono le luci e improvvisamente scopri che sono diventati come gli altri. C’è Cesare Salvi che si fa mettere il cappotto sulle spalle da un cameriere, c’è Minniti con la pashmina, l’ex compagno di tante lotte sindacali che ti mostra orgoglioso il Rolex aggiungendo, «è tanto che lo desideravo», e c’è Massimo D’Alema che saluta tutti con un «ciao caro». Non so quanta consapevolezza ci fosse, ma è come se si fossero lasciati togliere l’anima e avessero smarrito le idealità, quella che Berlinguer chiamava la fedeltà agli ideali della propria giovinezza.

Domenica 25 novembre Filippo Ceccarelli sarà presente a Studio in Triennale 2018 per un dialogo con Michele Masneri.

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