2025: la prima estate senza pop

Quest’anno la stagione dei tormentoni scorre stranamente lenta e affaticata, priva di momenti e figure pop che potranno essere ricordati negli anni successivi e non c'è neanche un trend a cui aggrapparsi.

29 Luglio 2025

Siamo già a metà estate, eppure tutto sembra immobile. Quest’anno l’estate scorre lenta, priva di momenti e figure pop che potranno essere ricordati negli anni successivi. Un fatto piuttosto strano, soprattutto per l’Italia, per cui questo tempo è da sempre contraddistinto da un simpatico e tronfio anti-intellettualismo, con una colonna sonora di canzoni leggere da far risuonare alle sagre di paese e sulle spiagge. 

Se nell’estate 2023 la guerra che tutti avevano in mente era quella tra i film Barbie e Oppenheimer, il 2024 è stato invece un tripudio di pop star e momenti che hanno plasmato la cultura pop: da Charli XCX con l’album Brat (e l’annuncio “Kamala is Brat”), all’ascesa di Chappell Roan e la consacrazione effettiva di Sabrina Carpenter a popstar, fino all’Eras Tour di Taylor Swift che ha mosso capitali e milioni di donne e ragazze in tutto il mondo. 

Quest’estate però non sembra avere trovato un suo ritmo. Non solo a livello internazionale, nonostante le uscite recenti degli album di artisti come Lorde, Miley Cyrus, e Justin Bieber, ma soprattutto in Italia, in cui i tormentoni estivi hanno fatto parte delle ritualità della stagione fin dagli anni Sessanta. Da Edoardo Vianello con “Abbronzatissima”, a Paola e Chiara, fino alla più recente Baby K con “Roma-Bangkok”, abbiamo sempre avuto una canzone che ha delineato l’estate. 

Stanchezza da hit

Quest’anno però non ce n’è una capace di assurgere al titolo di hit: non “Sto bene al mare” di Marco Mengoni con Sayt e Rkomi, o “Scelte Stupide” di Fedez e Clara, e neppure le più fortunate “Désolée” di Anna Pepe e “Me Gustas Tu” di Alfa, rielaborazione del brano di Manu Chao. Neanche chi, come Jovanotti e Annalisa, ha sempre invaso spiagge e radio sembra capace di rimanere in cima alla classifica delle canzoni estive. Qualcuno accusa Sanremo e la conseguente stanchezza da hit che porta con sé e esaurisce l’interesse del pubblico prima che inizi l’estate, ma le ragioni dietro a questa mancanza sconfinano oltre l’Italia e alle dinamiche interne dell’industria musicale. 

Quest’estate sobria e silenziosa sembra quindi una delle tante conseguenze dei tempi di tensione che stiamo vivendo – guerre disseminate e senza fine, Donald Trump come presidente nonostante la brat era di Kamala Harris, e una generale stagnazione economica. In un mondo sempre più caldo e scosso da guerre, sembriamo ormai incapaci di creare e individuare dei momenti capaci di darci un po’ di leggerezza. La fatica dell’essere ipernormalizzati ha raggiunto anche l’estate, forse tra i pochi, ultimi baluardi di spensieratezza rimasti nell’immaginario comune.

Ritorno al passato 

Non a caso, gli unici trend e momenti canonici che possiamo individuare sono legati al passato, in linea con il sentimento nostalgico che contraddistingue i nostri anni: la reunion degli Oasis è il solo evento che sembra unire diverse generazioni tra bucket hat, impermeabili e adidas Spezial. A questo si può aggiungere una serie di micro trend dovuti al ritorno degli anni 10, come le gonne a palloncino, l’indie sleaze e la white girl music di Kesha e Katy Perry — pallidi e insapori come il giallo burro, il colore di questa stagione. 

Ma la nostalgia ha preso forma anche nel desiderio dei Millennial, ormai genitori, di dare ai propri figli un’estate anni Novanta, proponendo quello che su The Cut Kathryn Jezer-Morton definisce “kid-rotting”. L’estate anni Novanta è un tempo senza schermi, in cui i figli non hanno il tempo calendarizzato in mille impegni e corsi ricreativi, in cui hanno la possibilità di annoiarsi. Ma sul Guardian Van Badham ricorda che i nostri tempi ebbri di nostalgia si sono dimenticati che sugli schermi delle tv guardate dai bambini di quegli anni scorrevano le notizie della guerra in Iraq, le rivolte a Los Angeles, la guerra in Jugoslavia e il genocidio di Srebrenica, per nominarne alcune. 

Quest’estate nostalgica, in cui la ripetizione senza fine della nostra epoca sembra essersi consumata su se stessa, avrebbe di certo deliziato Kant: tutto si ripete uguale a se stesso, finché non rimane nulla, neppure un tormentone estivo. La cultura pop si è fermata, sospesa e disorientata, e sembra non trovare il posto dove stare in un mondo ossessionato e consumato dal passato e impaurito dal presente. 

L’estate 2025, se messa a confronto con le precedenti, appare affaticata e pallida, in postumi, come sottolineato dal dirigente discografico Kayode Badmus-Wellington. L’estate era l’isola utopica in cui concentrare le nostre illusioni di mantenimento dello status quo, ma ora è una distesa sempre più vasta e torrida in cui si abbatte tutta la violenza inesorabile del cambiamento climatico, delle guerre, della nostra spossatezza che non riusciamo a cancellare neanche nella stagione più calda dell’anno. 

Forse, però, questa potrebbe essere l’estate di slittamento da un paradigma di vacanze lunghe e spensierate (che nessuno fa più), a una concezione nuova, più ancorata alla realtà sfilacciata che viviamo ora. Quest’estate senza senso potrebbe servirci per trovarne uno diverso per il prossimo anno e per quelli a venire. Checché ne dicano Kant, i Millennial, e chi qui scrive. 

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