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Elogio dell’usa e getta

La campagna grillina sulla Mooncup parte da un'equazione sbagliata tra «donne» ed «ecologia». E prende di mira uno strumento di emancipazione.

21 Marzo 2013

Sul forum italiano di una fashion community giapponese, incontro e chiacchiero con un gruppo di ragazze che ha iniziato a sperimentare Mooncup nel 2012. Si definiscono nella totalità, per quanto piccolo il campione, vegetariane, ecologiste, votanti partiti minori e, se può dirvi qualcosa, “femministe.

La teoria del tabù della sessualità mi è sembrata anacronistica, a meno di non rivolgersi alle adolescenti afghane: non dico alle iraniane, perché quelle già da tempo hanno letto Lolita.

Una di queste utenti entusiaste è Chiara, autrice di un manuale comico autoprodotto sulla vagina che ha per titolo il nomignolo del suo organo genitale. Chiara dice che l’idea del libro è nata dall’urgenza di abbattere un TABÚ, poiché – prima del suo libello, sottintende – l’unico canale che le giovani avrebbero avuto per informarsi sulla sessualità, fatto salvo per le pubblicazioni mediche, sarebbe stato il porno. La teoria del tabù, avvalorata anche dal sito italiano di Mooncup, mi è sembrata anacronistica, a meno di non rivolgersi alle adolescenti afghane: non dico alle iraniane, perché quelle già da tempo hanno letto Lolita senza mai pensare che fosse un porno.

È singolare che Luciana Littizzetto, la comica a cui sta più a cuore l’orgoglio delle Iolande italiane, sia stata attaccata sul blog di Beppe Grillo per il suo pezzo comico contro la coppetta vaginale, della quale diceva solo che fosse “comoda quanto trasportare il pentolone delle lenticchie a capodanno”. In effetti, penso anch’io che se vi piacesse camminare con della roba lì dentro, fareste prima a fare i corrieri della droga per 22 giorni al mese, e col ricavato comprarvi dei buoni assorbenti anallergici.

Ma tornando seri. Dico che è strano vedere la Littizzetto tra i nemici delle donne coppettizzate, perché sono sicura che se Su Hardy, la somma capa di Mooncup, si fosse mai imbattuta in una sua performance comica le avrebbe già chiesto di farle da portabandiera. L’anno scorso, infatti, il sito della ditta inglese ha lanciato una campagna molto “lucianesca” per censire i nickname con cui le utenti Mooncup nel mondo chiamano la loro vagina. La cosa ha spopolato, e i nomi adesso scorrono sull’homepage, accanto al calendario lunare downloadabile, in grafiche floreali a forma di pube (perché dopo ore a navigare sui siti specialistici, non ragiono più in termine di triangoli, ma di pubi).

Quei brutti ingellati fedifraghi dei pubblicitari di Madison Street decisero di mettersi in combutta con gli alieni (maschi) dell’area 51… la storia è esposta in maniera un tantino complottista.

La storia della coppetta vaginale è antica e tremendamente affascinante, ma, sul sito del suo principale produttore, è anche esposta in maniera un tantino complottistica (proprio come l’idea che nell’immaginario collettivo la vagina sia raccontata solo dai maschi, scusa con la quale Eve Ensler, autrice dei Monologhi della vagina, è diventata milionaria ormai una ventina d’anni fa. E poi, anche qualora ne parlassero i maschi, che problema ci sarebbe? Come dico sempre alla mia estetista in sede di ceretta, io non ne vedo molte. Anzi, nessuna.)

Pare che la prima coppetta vaginale sia nata negli anni Trenta dalla mente dell’attrice americana Leona Chalmers, più o meno in contemporanea con la diffusione dei primi tamponi interni (romanticamente ideati, secondo altra fonte, da un medico per la moglie ballerina). Negli anni successivi – dice, circa, il sito di Mooncup Italia – quei brutti ingellati fedifraghi dei pubblicitari di Madison Street decisero di reclamizzarli massicciamente poiché quei mostri degli industriali maschi, in combutta con gli alieni maschi dell’area 51, si fregavano le mani all’idea di indurre le povere casalinghe cornificate a diventare dipendenti dall’acquisto mensile di tamponi. Naturalmente, scherzo.

Una strana «cultura che associa l’usa e getta alla praticità» per cui gli alberghi forniscono spazzolini usa e getta, i dentisti calzano guanti usa e getta, i barbieri gettano lamette usa e getta.

Ma c’è davvero questa frase: «la coppetta mestruale ha faticato a competere con una cultura che associava l’usa e getta alla praticità». Una strana cultura che associava l’usa e getta alla praticità. Una strana subdola cultura per cui gli alberghi forniscono spazzolini e cuffie usa e getta, i dentisti calzano guanti usa e getta, i barbieri gettano lamette usa e getta, e voi tutti alle feste dei vostri bambini comprate piattini di carta (se siete ricchi e buoni, di mais).

Dagli anni Trenta gli assorbenti, e dagli anni Sessanta anche i pannolini per bimbi, hanno dato un impulso determinante all’emancipazione femminile. Hanno permesso alle donne di uscire di casa durante i giorni del ciclo, e di uscire poi di casa coi loro bebè. Il resto, è rilettura strumentale, è credere che nel suo cieco, famelico movimento il mercato non parli di niente, se non della disonestà dei produttori e dell’estro dei pubblicitari.

Una cosa su cui la Littizzetto ha sbagliato è stato pensare che l’inventore di questa coppetta fosse un maschio “abituato a svuotare le coppe d’olio” (pensiero peraltro tipicamente neofemminista in linea con le fan di Mooncup). È stata invece Su Hardy, in viaggio in Australia con la figlia neonata negli anni Ottanta, a scoprire questo piccolo imbuto in lattice, e a iniziare a importarlo in Inghilterra in piccoli quantitativi, per poi capire che il silicone era il materiale ideale in cui realizzarlo, e lanciare finalmente Mooncup nel 2002.

Sulla pagina Facebook di Mooncup, vediamo Su avvolta nel capello lungo bianco e hippy che ci aspettiamo, giocare con un cane che si narra abitare negli headquarters della coppetta. La comunicazione di Mooncup è curata anche sui social fino in questi piccoli dettagli.

Il marketing incomincia dal nome. Poteva essere un simpatico bloody period, o un ironico cocaine case. Ma il richiamo alla natura sembrava effettivamente l’elemento più pregnante per quello che si presumeva sarebbe stato il target del prodotto. E, senza nessuna offesa alle amiche lettrici che si chiamano Luna, che vogliono chiamare la figlia Luna o che hanno una cagna Luna (beh, voi lo meritate), i nomi imparentati col satellite si portano dietro un ingombrante alone sixties e mestruale. D’altro canto, devo ammettere che nessun oggetto più di questo ha diritto di attingere con garbo all’area semantica dell’astro femminile.

Comunicare, in musica, la sensazione dell’amorevole cura di sé è una buona strategia per una certa fetta di consumatrici. Un esempio di comunicazione emozionale.

Studiando la recente campagna di comunicazione di Mooncup su Youtube, mi ha colpito come un prodotto che ha dalla sua parte una quantità di innegabili vantaggi razionali (ambientali, igienici), miri spesso a fare leva su moti irrazionali delle utenti.Un esempio di comunicazione emozionale è l’inno del popolo Mooncup, una canzone realizzata al termine della campagna sui nomi – insomma – delle fighe, dal titolo Love your vagina, che intona love that special place inside you (ma che bisogno c’è di amarla? niente contro l’autoerotismo, ma, non sarebbe meglio farla amare?).
Comunicare, in musica, la sensazione dell’amorevole cura di sé è una buona strategia per una certa fetta di consumatrici. Carla è un’amica single che siede abitualmente nel bar dove sto scrivendo; staziona da molto in Saturno aspettando che Saturno (già che c’è) le compili il curriculum, e frattanto, ha tempo sciacquare la sua coppetta più volte al dì. Pare che Carla percepisca le notti di luna piena con ciascuna tuba di Falloppio e che Mooncup la metta in armonia coi cicli celesti. Ci sarebbero forti motivi razionali per cui Mooncup potrebbe rappacificarla col pianeta, ma lei preferisce sentirsi licantropo.

Dedicata alle consumatrici più engagé è la pubblicità “battle rap”, dove, nel set molto grounge di un bagno pubblico (luogo dove l’impossibilità di sciacquare con agio mooncup è quasi scientificamente attestata), due bionde grintose si sfidano in uno slam pro/contro assorbenti.

Qualunque sia la motivazione di ciascuno per simpatizzare per l’una o per l’altra (we love the Earth and you make it ill o you are gross and weird and we don’t understand you), il nodo che sta alla base delle contraddizioni filosofiche di chi produce e usa Mooncup, è l’abbaglio ideologico che “femminismo” ed ecologismo siano membri di una equazione; che natura e femminilità siano sinonimi. Non lo sono. Non lo sono per lo stesso motivo per cui è stato coniato il binomio uomo contro natura.

E no, non è perché uno di Procter & Gamble un giorno inventò i pannolini.

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