Cultura | Dal numero

E/O, fare libri in famiglia

Conversazione con Sandro, Sandra e la loro figlia Eva, la famiglia che regge una delle più rilevanti case editrici europee e che ha costruito i rapporti con le sue autrici e i suoi autori, compresi grandi nomi della letteratura come Elena Ferrante o Christa Wolf, proprio come se fossero legami famigliari.

di Davide Coppo

Dietro la scrivania di Sandra Ozzola sono appese tre fotografie di Alice Sebold, Eric-Emmanuel Schmitt, Christa Wolf. Dietro a quella di Sandro Ferri c’è una libreria zeppa di volumi e grandi faldoni rossi e verdi dedicati alla contabilità. Eva Ferri è collegata da Londra, dove dirige Europa Editions, la sorella di E/O che pubblica libri in lingua inglese. E/O è una casa editrice con l’accento sulla prima delle due parole: il timone è, dal 1979, saldamente nelle mani della famiglia Ferri, a cui si è aggiunta Eva in anni recenti, con una sensibilità simile eppure nuova rispetto a quella familiare. I “sandri”, come qualcuno li chiama, hanno iniziato a pubblicare letteratura dell’Europa dell’Est, mettendo a segno colpi poi storici. Poi si sono inventati il “noir mediterraneo”, e di nuovo altri colpi. Poi è arrivata Elena Ferrante, Muriel Barbery, Valérie Perrin, e pure Mathias Énard. Sandro Ferri ha raccontato questa epopea romantica, un po’ sgangherata e molto europea nel libro L’editore presuntuoso, uscito nel 2022, e in quelle pagine vivaci si respirano avventure editoriali e umane che rendono E/O un progetto unico, in Italia. Per il catalogo, per l’ostinata indipendenza, e per il rapporto così intimo che si è creato tra la famiglia Ferri e le autrici e gli autori che sono entrati nella loro casa.

È difficile separare i libri, gli autori e le autrici della casa editrice dalla famiglia Ferri, e infatti in questa conversazione non parliamo solo di libri e di editoria, ma anche di ricordi, bisticci, affetti. Ho scoperto anche che i ruoli che avevo immaginato, tra Sandro e Sandra, sono nel privato invertiti: e cioè lui, così espansivo nei suoi libri, parla poco poi dal vivo; mentre lei, che non ha mai pubblicato un libro a suo nome, è un vulcano di ricordi e di parole. Così l’intervista si trasforma presto in un pranzo della domenica, esce dai binari professionali ed è alla fine meglio così. Succede subito, praticamente, da quando Eva, all’inizio, dice a sua madre Sandra: «Mamma, ma ti sei tagliata i capelli?».

Entrare in una famiglia è un processo lungo, che richiede anni di amicizia, per il tipo di intimità che va poi a toccare. Cosa succede quando invece è un autore a entrarci, per motivi lavorativi?
Eva: Sembrano sempre un po’ delle sessioni di terapia familiare. Io non credo che ci sia una grande differenza tra professionale e privato nella nostra famiglia. Il nostro lavoro editoriale è completamente innervato nella vita familiare e viceversa. Quindi vengono continuamente fuori delle dinamiche familiari, dei temi familiari: bisticci, liti, gelosie. Io sono cresciuta come bambina intorno ad autori amatissimi, che per me sono stati come zii o membri della famiglia. Un aneddoto su tutti: Edna O’Brien in visita nella nostra casa di campagna in Umbria, in piscina. Parliamo di 30 anni fa.

Sandra: Edna voleva mettersi i braccioli di Eva perché non sapeva nuotare. Eva aveva sei, sette anni, e si sono messe a litigare.

Eva: La lite per i braccioli è un episodio fondativo di E/O.

Sandra: Penso anche a Christa Wolf e al marito, che era adorabile. Faceva ridere da morire senza parlare una parola di inglese. La prima volta in cui ci siamo incontrati, nell’83 o ’84, siamo andati a prenderli in aeroporto, noi avevamo una macchina un po’ indecente, e loro quando l’hanno vista hanno detto: ma è come la nostra! È anche sporca come la nostra!

Sandro: Noi abbiamo avuto sempre un rapporto importante con le famiglie degli autori. Abbiamo visto come alcune autrici si sono fidanzate, come hanno trovato marito. Oppure come si sono separate. Come hanno avuto i figli. È sempre un affare di famiglia. Anche quando hai un rapporto con un autore, tu editore pensi sempre alla sua famiglia. Noi abbiamo riso per anni della moglie di Kundera che gli ha impedito di darci L’insostenibile leggerezza, perché noi all’epoca eravamo piccolissimi. Ciò detto, ha fatto benissimo, facevamo solo libri dell’Est e lui giustamente voleva uscire dall’Est.

Eva: «Il nostro lavoro editoriale è completamente innervato nella vita familiare e viceversa. Quindi vengono continuamente fuori delle dinamiche familiari, dei temi familiari: bisticci, liti, gelosie»

Eva, da bambini si ha sempre questo paragone continuo tra la tua famiglia e le famiglie altrui, e ti chiedi sempre se le altre famiglie sono più normali della tua, migliori della tua. Com’è stato crescere in una famiglia di editori?
Eva: Mi sembra di non aver capito a lungo che cos’era un editore. Ci sono arrivata tardi, nonostante vivessi nella casa editrice. Io non ricordo a 7, 8 anni una comprensione profonda del mestiere dell’editore. Mi sembrava semplicemente che ci fossero intorno a noi tante persone, rispetto alle altre famiglie. Poi, quando ero adolescente, c’è stato un allargamento e un’espansione della casa editrice quando sono arrivati i primi importanti successi commerciali. Mi ricordo Amabili resti, quando avevo tredici, quattordici anni, poi più avanti L’eleganza del riccio. E secondo me è stato lì che ho iniziato a rendermi conto che c’era una voragine di privilegio tra me e molte persone che cercavano di accedere al mondo dell’editoria e dovevano fare delle gavette spaventose, mentre io invece c’ero nata dentro.

Sandra: Però io penso che Eva non sia cresciuta in un mondo editoriale. Noi qui siamo sempre stati abbastanza isolati. Magari vedevamo qualche editore romano, Sandro andava a bere con Fanucci e Carratello, ma non c’era un ambiente editoriale.

Eva: Ma infatti io mi ricordo i discorsi con Carratello, da adolescente, e quando avevo diciott’anni i primi discorsi con Antonio Sellerio, ma lui ne aveva dieci, quindici in più di me, e io cercavo di capire cosa significasse essere un editore. È stato molto utile parlare con lui all’inizio, ricordo che mi ripeteva che si doveva avere una grande pazienza. Poi la storia di E/O e la storia di Sellerio sono molto diverse, così come sono diverse le due famiglie.

Eva: «Mi sembra di non aver capito a lungo che cos’era un editore. Ci sono arrivata tardi, nonostante vivessi nella casa editrice. Io non ricordo a 7, 8 anni una comprensione profonda del mestiere dell’editor»

Ne L’editore presuntuoso, Sandro, indugi spesso in descrizioni molto dettagliate delle case in cui avete vissuto. Luci, ombre, atmosfere, suoni. Quanto sono importanti le case in questa vostra storia editoriale?
Sandro: Direi molto importanti. Tutti questi rapporti avvengono nelle case, sia nelle nostre che in quelle degli autori, soprattutto con quelli in cui il rapporto è cresciuto e siamo diventati amici. Noi poi essendo dei privilegiati abbiamo la fortuna di avere più di una casa, per cui la scena cambia spesso. E poi l’ufficio noi lo trattiamo un po’ come una casa, lo dicono tutti. Sembra abbastanza un appartamento di Prati, c’è un’atmosfera da casa. Perché poi ritorniamo sempre a quel discorso lì: il modo di fare questo lavoro come un prolungamento della vita personale e familiare.

Nel libro descrivi la vostra famiglia, e anche E/O, come “anti-intellettuale”. Come siete riusciti a rimanere sempre così? Eva è come voi, in questo?
Eva: Questa cosa i miei genitori me l’hanno molto trasmessa, e io sono d’accordo con loro: come editore non devi fare l’intellettuale, ma devi fare un’altra cosa. Anche se avere un catalogo è un gesto creativo e artistico. Ma devi fare anche un passo indietro, perché sei un contenitore e facilitatore di idee.

Sandra: Ma poi noi non abbiamo simpatie per gli intellettuali. Spesso sono così poco originali. No? Che dite voi? Tu sei un intellettuale?

No, direi di no. Poi come voi io sono cresciuto in una famiglia in cui i libri non erano la cosa più importante. Una famiglia che si è emancipata dalla vita contadina tardi, negli anni Sessanta.
Sandro: Questa è una chiave: quella della generazione da cui anche noi veniamo. I nostri genitori non erano degli intellettuali. E io qui vedo una differenza. Le persone che conosco che sono nate in case di intellettuali, che avevano i genitori o i nonni che stavano all’università, sono veramente diversi da noi. Nel bene e nel male.

Sandra: Poi sono, quegli intellettuali che non piacciono a noi, poco coraggiosi. Ma è il conformismo il guaio principale. Nessuno di noi aveva idea di cosa fosse una casa editrice, prima di cominciare. Io ho studiato letteratura, però è un’altra cosa: non ha a che fare col mondo intellettuale. E ho sempre letto cose molto alte, di livello, ma anche molto basse. Sono sempre stata una lettrice accanitissima di best-seller e continua a piacermi leggere alcuni libri che alcuni intellettuali giudicano meno raffinati. Non me ne importa neanche niente.

In cosa l’editrice Eva è simile agli editori Sandro e Sandra, e in cosa no?
Sandra: Di sicuro frequenta più gente, è più conosciuta, più amata anche. Noi siamo sempre stati molto orsi, siamo sempre stati contenti di essere a Roma perché eravamo fuori dai giri, eravamo più asociali. Forse quando andiamo all’estero siamo un po’ più vivaci.

Sandro: Ma nemmeno, io a Francoforte ogni volta rimango a bocca aperta: io ci sono stato per 45 anni di seguito, ed Eva conosce molta più gente di me!

Eva: Secondo me non è che sia così necessariamente utile, avere tutti questi rapporti nell’editoria. Il fatto che tu abbia tanti amici ti può anche portare ai libri e alle cose con conformismo. Ci sono dei gruppi di editor e di agenti che pubblicano sempre le stesse cose, parlano tutti degli stessi libri… Per carità, ti può dare dei vantaggi strategici, però non è interessante pubblicare libri in quella maniera. Ho tanti amici perché mi piace la gente, mi piacciono le lucine, mi piace il fatto che delle volte ancora si abbia la sensazione che il mondo del libro sia uno spazio libero, bohémien, di sperimentazione.

A proposito di amici e non: ne L’editore presuntuoso c’è un intero capitolo su Goffredo Fofi, in cui si racconta di tutti gli scazzi, i litigi, e però anche della stima e dell’amicizia che continuamente legano lui e Sandro. Mentre lo leggevo, pensavo: che bello se ci fossero più rapporti così. Persone con cui discutere, essere in disaccordo, litigare, eppure continuare a parlare. La generazione mia e di Eva (nati entrambi negli anni ‘80) invece soffre principalmente questo: non c’è più spazio per scontrarsi e poi incontrarsi, e poi di nuovo scontrarsi e così via. Perché la modalità di confronto, soprattutto sui social, funziona che se dici una cosa giudicata sbagliata, tutto ciò che hai fatto prima viene eliminato, e vieni definito per sempre da quell’errore. Era più bello litigare prima?
Sandro: È vero, questa cosa non c’era prima. Con Fofi le liti c’erano, ci sono anche adesso, il rapporto cresce fintanto che uno accetta che l’altro ti dice pure che sei un cretino. Però se tu accetti e cerchi di prendere il meglio dall’interlocutore, e accetti la diversità di opinione, che a volte è enorme, allora il rapporto veramente può diventare fruttuoso.

Eva: Ti racconto una cosa che mi succede con Lillian Fishman, la nostra autrice americana che ha scritto Servirsi. Ogni tanto io le dico una frase, lei mi guarda e dice: Eva, ma ti rendi conto che hai detto una cosa veramente stupida? E io le dico: ma perché mi dici così? Però a me importa molto quello che dice lei. Sui social, invece, uno non si mette mai nella posizione di farsi dire che è un cretino, perché in realtà degli altri, sui social, dopo che esprimi la tua micro-opinione di venti battute, non te ne frega niente. Non stai cercando un interlocutore che ti testi, che ti metta in difficoltà. Il problema dell’essere intellettuali circondati da intellettuali sui social media, è che ci sono infiniti spazi che incoraggiano l’espressione delle idee, ma il risultato è che un sacco di gente pensa di dover dire la sua su tutto continuamente.

Che succede quando non siete d’accordo su un autore?
Sandra: Abbiamo gusti abbastanza diversi, ma direi che a tutti e due piacciono anche i libri che sceglie l’altro. Sandro ha una sua ricerca profonda sulla quale delle volte io non lo seguo, mi piacciono un altro tipo di libri. Ma anche con Eva è la stessa cosa: le autrici giapponesi che ha deciso di fare lei io non le avrei mai lette se lei non le avesse scelte, e invece poi mi sono piaciute. Delle volte uno si può incapricciare di una cosa che non venderà niente, quello succede. E allora poi quell’altro gli dirà: certo quello non ha venduto proprio niente. (ridono)

Sandro: È anche una questione di tolleranza. Ci sono dei libri che io li leggo, mi piacciono, e so benissimo che a Sandra non interessano. Non la affliggo nemmeno. Però in genere c’è lo spazio per ognuno di scegliere le cose in cui veramente crede.

Sandra: Io ho un gusto più popolare. Soprattutto, io sono 35 anni che convivo con Elena Ferrante.

Eva: Quello che a me capita è di avere delle idee maniacali di quello che un libro può avere sul mercato, e il compito di papà in particolare è di dire: guarda che quel libro non venderà mai le copie che pensi tu. Quindi io adesso ho deciso che quella che trova i libri che vendono tanto è la mamma.

Sandro: «Ci sono dei libri che io li leggo, mi piacciono, e so benissimo che a Sandra non interessano. Non la affliggo nemmeno. Però in genere c’è lo spazio per ognuno di scegliere le cose in cui veramente crede. Io ho un gusto più popolare»

Come si accompagna un libro, una volta che è uscito dalla tipografia?
Sandro: Publishing! (tutti ridono) C’è chi ci crede di più, c’è chi ci crede di meno. In America da noi c’è Michael Reynolds, e lui crede molto nel publishing. Ma anche perché il mercato americano lo richiede di più. Qui in Italia possiamo più affidarci ai librai, al cosiddetto mercato, ai lettori che ci amano, alle recensioni. Lì invece ci lavorano come pazzi. Certo un po’ di marketing ci sta e io ci credo, per esempio parlavamo de La cartolina: quello era un libro che all’inizio vendeva proprio poco. Poche recensioni, poche vendite. Però ci credevamo tutti tantissimo, e lì abbiamo fatto molto publishing. Cioè abbiamo insistito, abbiamo fatto i concorsi in libreria, l’abbiamo invitata due o tre volte in Italia, abbiamo risentito i recensori, e alla fine, siccome quello è un libro forte, la differenza l’ha fatta. Alla fine quando hai un libro buono, perché poi è quello che è decisivo, questa cosa paga.

Oggi, nel mercato editoriale, ci sono certi libri “imposti” dai social, libri di influencer e figure del genere. Non vi chiedo cosa ne pensate, ma: ogni epoca ha avuto i suoi influencer, i suoi libri imposti?
Sandro: Beh per esempio noi l’abbiamo avuto, in dimensioni molto diverse e minori, con l’Europa dell’Est. Quando abbiamo iniziato c’erano “gli slavisti”, e forse erano peggio degli influencer di adesso. Contavano mille volte di meno, ma per noi contavano. Se non facevi quel dato libro, voleva dire che eri un degenerato, un eretico.

Sandra: Oppure se traducevi uno che non era quello giusto.

Eva: Qui in Inghilterra sta succedendo da anni questa cosa che bisogna pubblicare in maniera molto sensibile ai diritti, alla questione razziale, molto più che in Italia. Quindi si crea una situazione stranissima per cui i libri scritti da autori che appartengono a certe categorie, indipendentemente dalla qualità del libro, sono costosissimi da acquisire. Una casa editrice come la nostra oggi non si può permettere di comprare un libro scritto da una donna nera queer. Siamo fuori da quel mercato.

Leggere la storia di E/O è emozionante, oltre che interessante, anche dal punto di vista geopolitico: forse non c’è un editore in Italia il cui percorso accompagna così a lungo e con precisione la storia dell’Europa.
Sandro: A me questo fa piacerissimo. Io sono molto europeista. Già fin dalla nascita, se pensi che facevamo i libri dell’Europa dell’Est, per noi quella era Europa, anche se all’epoca non veniva vista così. La Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria…

Sandra: Erano un buco nero.

Sandro: E invece da noi c’era questo senso di un’appartenenza allo stesso posto: una cultura varia ma comune. Anche quando siamo andati in America è stata un po’ la stessa cosa, abbiamo detto: portiamo lì i libri europei.

Sandra: Noi siamo molto legati anche alla geografia dei posti. Siamo andati quindi un po’ per zone geografiche, e oltre all’Europa penso si possa dire che ci interessi molto il Mediterraneo. L’abbiamo seguito con Carlotto, con Izzo, e poi anche l’altra parte del Mediterraneo. Ultimamente siamo molto concentrati sull’Africa. Devo dire che fare i libri così, in modo geografico, aiuta anche noi a capire di più quei posti.

Nel libro di Sandro si parla spesso di “comunità dei lettori”. È un bel concetto, ma questa comunità oggi, rispetto a ieri, come si è trasformata? Riuscite ancora ad avere il polso di chi siano i vostri lettori?
Sandra: Io direi che all’inizio c’è stata più una comunità di persone che già conoscevano le letterature dell’Europa Orientale, e che si è molto indignata quando ci siamo permessi di fare il “noir mediterraneo”. Ci dicevano: ma cosa fate, i gialli? Sembrava un delitto. Poi siamo diventati, col tempo, un editore eclettico. Se uno va in libreria e guarda i nostri libri, dice: ma com’è che questi fanno un libro sul fantastico, e poi fanno Elena Ferrante, e poi Mathias Énard, e poi Mieko Kawakami? Abbiamo interessi diversi, e li seguiamo tutti. Avendo questa fortuna di poter scegliere quello che ci piace, andiamo in molte direzioni.

Eva: Non tutti i libri funzionano per tutti. Il minimo comune denominatore è che sono libri scelti con amore che vogliamo condividere perché ci hanno emozionato. Io penso che ci sia quindi una comunità più affettiva, e meno intellettuale, di quella di altri editori. Ti devi fidare, dici: questi sono pazzi, chissà che faranno la prossima volta.