Hype ↓
08:21 martedì 2 dicembre 2025
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.
La Tv argentina ha scambiato Gasperini per il truffatore delle pensioni che si era travestito da sua madre Un meme molto condiviso sui social italiani è stato trasmesso dal tg argentino, che ha scambiato Gasperini per il Mrs. Doubtfire della truffa.
La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.
A giudicare dai nomi in gara, Carlo Conti vuole che Sanremo 2026 piaccia soprattutto ai giovani Tanti nomi emergenti, molto rap e veterani al minimo: è questo il trend di Sanremo 2026, pensato per un pubblico social e under trenta.
I dazi turistici sono l’ultimo fronte nella guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa Mentre Trump impone agli stranieri una maxi tassa per l'ingresso ai parchi nazionali, il Louvre alza il prezzo del biglietto per gli "extracomunitari".
Papa Leone XIV ha benedetto un rave party in Slovacchia in cui a fare da dj c’era un prete portoghese Il tutto per festeggiare il 75esimo compleanno dell'Arcivescovo Bernard Bober di Kosice.
I distributori indipendenti americani riporteranno al cinema i film che non ha visto nessuno a causa del Covid Titoli molto amati da critici e cinefili – tra cui uno di Sean Baker e uno di Kelly Reichardt – torneranno in sala per riprendersi quello che il Covid ha tolto.
La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan ha nominato il nuovo governo e ha fatto ministri tutti i membri della sua famiglia In un colpo solo ha sistemato due figlie, un nipote, un genero, un cognato e pure un carissimo amico di famiglia.

Il culto di Dragon Ball

Il 29 settembre è uscito il nuovo film, ultimo capitolo di un franchise infinito il cui successo continua da ormai quarant'anni, senza che nessuno sia riuscito davvero a capire cos'è che lo renda così affascinante.

03 Ottobre 2022

Sono quarant’anni che Akira Toriyama, in un modo o nell’altro, con questo o quel ruolo, lavora a Dragon Ball. Ma se fosse stato per lui, Dragon Ball sarebbe finito dopo tre anni dalla pubblicazione del primo capitolo del manga sulla rivista Shonen Jump. È che Toriyama è un pigro o, come ha sempre amato definirsi, un «campagnolo»: uno che lavora seguendo il movimento del sole e il trascorrere delle stagioni, mai prima dell’alba e mai dopo il tramonto, impedito tanto dal freddo invernale che dall’afa estiva. La pigrizia di Toriyama è una delle cose che rendono il successo di Dragon Ball così difficile da spiegare: come può uno dei prodotti pop culturali più amati, longevi e influenti essere frutto dell’immaginazione di un uomo che non ha mai programmato nulla oltre la settimana successiva? In una maniera che ha del mistico, Toriyama è riuscito a trasformare tutte le sue pigrizie in tratti caratteristici, cifre stilistiche. Scrivere i dialoghi lo annoia da morire ed è per questo che la maggior parte degli scambi tra i suoi personaggi sono urla. Disegnare gli sfondi è per lui una fatica insopportabile: è per questo che ogni volta che può disegna un’esplosione, è per questo che tutti i cattivi di Dragon Ball muoiono saltando in aria. Il famosissimo gi – l’uniforme da combattimento – blu arancio di Goku esiste solo perché Toriyama si era scocciato di sentire le lamentele del suo editor, che dopo l’uscita dei primi capitoli del manga continuava a ripetergli che alla gente non piaceva perché il protagonista era «piatto». Le urla, le esplosioni, il gi blu arancione sono diventati simboli riconosciuti in tutto il mondo, segni di un successo che probabilmente non ci sarebbe mai stato senza l’indole “campagnola” di Toriyama. In questi giorni è arrivato anche in Italia – in Giappone è arrivato al cinema lo scorso 11 giugno – il film Dragon Ball Super: Super Hero, ultimo tassello di un universo narrativo in costante espansione dal 1984 a oggi, ultima dimostrazione della buona stella sotto la quale è nato Toriyama. Il titolo lo ha scelto lui in persona, che nelle interviste fatte per la campagna promozionale del film si è sentito spesso porre la stessa domanda: ma in quella ripetizione della parola “super” c’è un messaggio da cogliere e che nessuno sta cogliendo? E ogni volta Toriyama risponde alla stessa maniera, senza mostrare alcun imbarazzo: «Quando ho scelto Super Hero come sottotitolo non mi sono ricordato che il film si intitola Dragon Ball Super. Non me lo ha ricordato nessuno ed è venuta fuori una cosa piuttosto ridondante. Colpa mia».

Dragon Ball Super: Super Hero è uscito in Giappone l’11 giugno: nella prima settimana di programmazione è stato in cima al botteghino, nella seconda ha ceduto il passo a Top Gun: Maverick come tutti gli altri film in tutti gli altri Paesi del mondo. Ad agosto Super Hero è arrivato in Nord America, distribuito dalla piattaforma di streaming di anime Crunchyroll: all’esordio nelle sale di Usa e Canada è stato il film più visto di tutti. La stessa cosa è poi successa in altri undici Paesi tra America del Sud, Europa e Medio Oriente. Nessuno riesce a spiegare esattamente di cosa sia fatto il successo perpetuo di Dragon Ball (Toriyama non ci ha mai nemmeno provato, figurarsi): Super Hero è il ventunesimo film della serie – a cui vanno aggiunte quattro serie animate, manga, vari spinoff e infinito merchandise – il primo realizzato interamente con animazione 3D e solo il secondo appartenente all’universo Super (il titolo dato all’operazione di rebranding del franchise cominciata nel 2015 con un nuovo manga), certo, ma pur sempre il ventunesimo film che racconta la storia di tizi ossessionati dalle arti marziali che passano tutto il loro tempo ad allenarsi e urlarsi addosso e pestarsi a vicenda fino allo sfinimento. In questo successo c’entra sicuramente la nostalgia, perché per i millennial occidentali Dragon Ball è il ricordo di quel momento di sospensione che esiste nella giornata di tutti i ragazzini: quello tra il pranzo e il pomeriggio, tra il cibo e i compiti, che in Italia era riempito da un’oretta di animazione nippo-americana (prima veniva Dragon Ball, poi i Simpson) offerta da Italia 1. C’entra anche il successo dei manga-anime, che hanno infiltrato ogni parte della cultura pop contemporanea, anche occidentale. Ma con Dragon Ball è difficile usare questo momento come spiegazione del successo eterno: Goku è artefice o beneficiario di questo successo? Probabilmente entrambe le cose, impossibile rispondere con certezza, di certo Dragon Ball è arrivato prima e resterà anche dopo.

Ma c’è di più. Dragon Ball è forse il primo prodotto d’intrattenimento a godere di una popolarità nuova – o rinnovata, quantomeno – grazie alla cosiddetta influencer economy. Anche in questo caso, non esiste una spiegazione vera e propria che chiarisca perché così tante “persone influenti” – atleti, artisti, musicisti – si ritrovano unite in questa passione per quello che, in fin dei conti, resta un prodotto pensato per i bambini. «Sono un fan da così tanto tempo, e conosco un sacco di gente che condivide con me questa passione. È come se facessimo parte di una setta religiosa», ha detto De’Aron Fox, ventenne guardia dei Sacramento Kings, che tra i suoi tesori vanta un paio di scarpe da basket a tema Dragon Ball. «Ci sono un sacco di citazioni di Dragon Ball nelle canzoni, soprattutto in quelle hip-hop e rap. Tantissimi atleti sono fan, sento le persone che dicono di voler diventare come Goku. È una cosa importante», spiega Fox. Non esagera: Chris Brown si è fatto tatuare una sfera del drago sulla gamba e ha fatto dipingere il volto di Goku sulla sua Lamborghini Rossa; Chance the Rapper ha citato Dragon Ball in due canzoni, “Blessings” e “Juice” (in cui si produce in un’imitazione delle urla di cui sopra); Big Sean, Lil Uzi Vert, The Weeknd, Childish Gambino, Frank Ocean, Soulja Boy hanno tutti affermato in loro canzoni di essere ascesi allo stato di super saiyan nei rispettivi campi di competenza; A$AP Rocky ha detto che lui non guarda anime ma «I fuks wit cartoons heavy, Dragon Ball Z is the shit tho imma come clean»; RZA del Wu-Tang Clan ha scritto in The Tao of Wu che «Dragon Ball Z racconta il viaggio dell’uomo nero in America»; Denzel Curry ha detto che Goku e Gesù per lui pari sono; Ronda Rousey più di una volta è entrata sui ring Ufc indossando gadget di Dragon Ball e in un’intervista disse – con la faccia seria – di avere una cotta per Vegeta, prima villain e poi eroe co-protagonista della saga; in un Ama su Reddit, un fan ha chiesto a Snoop Dogg la sua opinione su Dragon Ball e lui ha risposto che «Gogeta [il personaggio frutto della fusione tra Goku e Vegeta, nda] è un g[angsta, nda]». Michael B. Jordan ha raccontato che il costume di Killmonger in Black Panther è un omaggio a Vegeta. Negli ultimi anni, la popolarità di Dragon Ball è arrivata a tal punto che Goku è stato inserito tra i protagonista della Macy’s Thanksgiving Day Parade che si tiene ogni anno a New York. E questo vale solo per l’Occidente: l’influenza che Dragon Ball ha avuto sul fumetto giapponese – in particolare sullo shounen, quello per i ragazzini – è impossibile da misurare. Quando si prova a misurarla, questa influenza, si fa il paragone con quello che sono stati i Beatles per la musica pop: tutto, dopo, si è formato per adesione al o rifiuto del canone stabilito da loro.

Nessuno sa esattamente di cosa sia fatto il successo perpetuo di Dragon Ball, una storia nata come poco più di un divertissement per un mangaka pigro che voleva provare ad ambientare un film di Jackie Chan nella Cina del Viaggio in Occidente e trarne un fumetto che nelle sue intenzioni doveva durare tre anni al massimo. Quasi quarant’anni dopo, il culto di Dragon Ball sta nelle parole di Sean Schemmel, la voce americana di Goku sin dal 1999: «In questi anni stanno arrivano moltissimi anime dal Giappone, io lavoro su molti di essi. Ma in termini di fascinazione, di presa sul pubblico, sarà difficile che ne arrivi uno capace di battere Dragon Ball. Credo che tra cento anni, Dragon Ball sarà ancora l’anime più importante di tutti».

Articoli Suggeriti
Leggi anche ↓
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop

Noto al grande pubblico come vincitore di un Oscar e di un Golden Globe per la sceneggiatura di Shakespeare in Love.

A Sanremo tiferemo per Sayf

Padre italiano, madre tunisina, una vita tra Rapallo e Genova, non riesce a scegliere chi preferisce tra Bob Marley e Fabrizio De André, ma soprattutto è una delle più interessanti novità del rap italiano: la nostra intervista dal numero di Rivista Studio.

La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait

Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.

A giudicare dai nomi in gara, Carlo Conti vuole che Sanremo 2026 piaccia soprattutto ai giovani

Tanti nomi emergenti, molto rap e veterani al minimo: è questo il trend di Sanremo 2026, pensato per un pubblico social e under trenta.

di Studio
I libri del mese

Cosa abbiamo letto a novembre in redazione.

La vita vera, istruzioni per l’uso

L'uso dei dispositivi, i social, l'intelligenza artificiale ci stanno allontanando dalla vita vera. Come fare allora a ritrovare una dimensione più umana? Un viaggio tra luddisti, nuove comunità e ispirazioni, nel nuovo numero di Rivista Studio.