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Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Decalogo del dictator chic, gli interni degli autocrati

13 Marzo 2017

Una decina di anni fa Peter York, autore britannico appassionato di design, ha coniato il termine “dictator chic” per indicare lo stile di arredamento prediletto dai dittatori contemporanei: sontuoso, pacchiano e studiato per intimorire i visitatori. Nel suo saggio Dictator Style: Lifestyles of the World’s Most Colorful Despots, passava in rassegna le abitazioni di alcuni dei tiranni più celebri della storia recente, da Ceausescu a Perón, da Stalin a Idi Amin. Più recentemente, gli è capitato di vedere delle fotografie della abitazione privata di Donald Trump, senza sapere che appartenevano alla famiglia dell’attuale presidente: fin dalla prima impressione, York ha avuto l’idea che «il posto trasudasse di dictator chic», ha scritto in un recente articolo sul magazine di Politico.

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Gli interni dell’appartamento della famiglia Trump sono stati curati da Henry Conversano, un designer noto soprattutto per il suo lavoro con i casinò: «La cosa che vuole dirti è “sono tremendamente ricco e potente», parla la lingua dei nuovi ricchi dell’Europa dell’Est e del Medio Oriente», scrive York. Soprattutto, continua, la casa risponde al decalogo del dictator, ovvero le dieci regole osservate durante la stesura del libro Dictator Style. La prima regola è “fare tutto in grande”; la seconda è copiare dagli stili passati senza però includere pezzi antichi originali perché «tutto deve essere nuovo e luccicante»; la terza è “think French”, cioè riprendere l’atmosfera di Versailles; la quarta è creare l’atmosfera di un hotel, più che di una casa. Segue l’utilizzo disinvolto di oro, marmi e specchi (regole 5, 6 e 7 rispettivamente). Il decalogo si conclude poi con la messa in mostra di complementi d’arredo sontuosi (8), di ritratti giganti del padrone di casa (9) e, infine, di animali e mostri araldici che trasmettano l’idea di un ego spropositato, come aquile e leoni.

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Trump utilizza uno stile che «lo mette più nella tradizione visiva del presidente del Turkmenistan che in quella dei leader democratici occidentali», nota l’autore. Aggiungendo che non si tratta solamente di una faccenda estetica: «Gli interni rivelano come le persone desiderano essere viste, dicono qualcosa sulla vita dei proprietari, sui loro punti di riferimento culturali e sul loro rapporto con le altre persone». York nota inoltre che il gusto di Trump rappresenta una rottura con l’estetica presidenziale americana: «È lontano anni luce dalla tradizione architettonica della città di Washington, i cui edifici pubblici in stile neoclassico evocano fiducia e moderazione, proiettando un messaggio di semplicità, democrazia ed egualitarismo».

 Nelle immagini: dettagli del palazzo di Ceausescu (Getty)
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