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Tutta la vita in un bullet journal

Un modo per organizzare il tempo libero che è diventato esso stesso riempimento del tempo libero: dal numero di Rivista Studio in edicola, come i diari e le liste di to do sono diventate contenitori delle nostre ansie e manie.

di Clara Mazzoleni

Sul mio comodino riposano due diari identici, entrambi neri tipo moleskine: uno è stato gravemente maltrattato, l’altro no. Quello maltrattato è il mio diario “normale”, dove scrivo i miei pensieri: le pagine strappate costituiscono quasi metà dello spessore. Il secondo è il mio Bullet Journal. Nessuna pagina strappata: leggere lunghe liste di azioni non fatte, appuntamenti saltati, tabelle mai compilate, orari non rispettati, progetti rimasti perennemente in sospeso, obiettivi non raggiunti (sono 10 anni che devo perdere 7 kg) è triste e frustrante, ma almeno non è imbarazzante quanto le riflessioni di un’ubriaca. Anzi, mentre lo ripercorro a ritroso, cercando spunti per questo articolo, noto che gli elenchi, in realtà, dicono tantissime cose sulle mie giornate, anche se in negativo, come delle orme impresse nella neve.

Le liste di cose che non ho fatto ma che avrei voluto fare parlano dei miei desideri (o meglio, della loro preoccupante assenza): le attività che improvvisamente scompaiono per non tornare mai più, e non certo perché sono state portate a compimento (un secondo di silenzio per la sparizione del bullet denominato «scrittura libro»), quelle che mi ostino a riproporre per mesi, magari anni, senza mai riuscire a sviluppare quella che i teorici del journaling chiamano consistency («skin care»: riesco a spuntare questa casella tre-quattro volte al mese), quelle che compaiono all’improvviso (“correre”: è quando avevo appena comprato le Asics per pronatori che non ho mai usato). E poi, rarissime, le caselle spuntate, quelle che mostrano le vere priorità, gli impegni improrogabili. «Sabato, ore 11: ricostruzione unghie Queen Nail». Analizzando la ripetitività degli impegni, delle liste e delle caselle rimaste vuote si evincono due aspetti: prima di tutto la totale incapacità dell’autrice di gestire il tempo libero e sviluppare una sana routine di self care, poi il ritratto di un’esistenza tanto privilegiata e priva di responsabilità quanto monotona e ripetitiva, senza obiettivi né glow up (ovvero un sorprendente miglioramento esteriore e magari anche interiore). L’incubo di ogni appassionata di journaling.

Lo strumento del Bullet Journal esisteva anche prima dei social, ovviamente: te lo consigliavano gli stessi psicologi, youtuber e blogger che ti invitavano a provare la mindfulness, quella pratica di meditazione che punta al raggiungimento della consapevolezza di sé e della realtà nel momento presente. Cercando su Google «bullet journal» si finisce per forza sul sito di Ryder Carrol, un digital product designer di New York che dopo anni di sperimentazioni sostiene di aver individuato il metodo per creare un Bullet Journal perfetto sui taccuini con le pagine bianche. Il video per imparare dura 15 minuti, è stato caricato su YouTube 8 anni fa e ha accumulato 14 milioni di visualizzazioni. Carrol ci ha scritto pure un libro: Il metodo Bullet Journal. Tieni traccia del passato. Ordina il presente. Progetta il futuro dove nell’introduzione si legge: «Erano gli anni Ottanta quando mi fu diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Per anni ho provato innumerevoli sistemi per organizzare il tempo, online e offline, ma nessuno di questi si adattava al funzionamento della mia mente. Spinto quindi dalla necessità, ho ideato un metodo chiamato Bullet Journal per essere sempre concentrato ed efficiente, ma soprattutto meno stressato. Non appena ho iniziato a condividere il metodo con chi si trovava nella stessa situazione, con mia grande sorpresa, il Bullet Journal è diventato virale. E oggi, solo qualche anno dopo, è un movimento globale. Il Bullet Journal è molto più che un metodo per organizzare i tuoi appunti e preparare liste di cose da fare. Riguarda quello che io chiamo “vivere consapevolmente”: liberarsi dalle distrazioni e utilizzare il tempo e le energie nel perseguire ciò che ha davvero importanza, nel lavoro e nella tua vita privata. È un formidabile aiuto per imparare a passare più tempo a fare quello che ami, riducendo drasticamente il numero delle cose di cui occuparti. Ho scritto questo libro per i creatori di liste frustrati, i multitasker sconfitti, i creativi che hanno bisogno di un po’ di organizzazione. Sia che tu abbia usato un Bullet Journal per anni o che non ne abbia mai visto uno, Il metodo Bullet Journal ti aiuterà a passare da comparsa a protagonista della tua stessa vita». Ryder Carrol ha anche aperto un profilo TikTok dove, purtroppo, non se lo fila nessuno. 

Se il maggiore esperto di Bullet Journal viene snobbato su TikTok non è soltanto perché la sua aesthetic è decisamente boomer, ma anche perché la pratica è stata fagocitata dalle cosiddette “That Girl”. Non più informatici muscolosi che si svegliano alle 5 (il cosiddetto “5 AM Club”, una pratica resa famosa da Robin Sharma, ex avvocato autore di Il monaco che vendette la sua Ferrari (Tea), che consiste nell’alzarsi alle 5 del mattino per completare una serie di 20/20/20: 20 minuti di esercizio intenso, 20 minuti per riflettere sui propri obiettivi e 20 minuti per apprendere una nuova abilità), ma ragazze dai lunghissimi e lucenti capelli color miele in pigiama di seta rosa che accendono candele profumate e sorseggiano beveroni ipocalorici color caffelatte.

Se il maggiore esperto di Bullet Journal viene snobbato su TikTok non è soltanto perché la sua aesthetic è decisamente boomer, ma anche perché la pratica è stata fagocitata dalle cosiddette “That Girl”

Il Bullet Journal allora diventa uno strumento fondamentale per programmare e organizzare il proprio tempo libero, ovvero la self care (con la lista dei “to do”), il glow up e il manifesting (cioè impegnarsi a realizzare il futuro dei propri sogni col potere del pensiero e dell’intenzione, scrivendo chiaramente come dovrà essere). Lo spiega bene una creator bionda che si chiama Nora in un ”tutorial sul journaling” che realizza con in faccia dei patch per le occhiaie a forma di avocado: ci sono tre esercizi principali, il journaling della gratitudine, lo shadow work e gli esercizi di manifestazione. Nel primo devi ringraziare per 5 o più cose fanno parte della tua realtà, «amo ti assicuro che se non impari a essere grata ora per ciò che hai, quando sarai milionaria o miliardaria e avrai tutto ciò che desideri, comunque non riuscirai a essere grata per ciò che hai!». Il secondo è lo shadow work: analizzi li tuoi pensieri limitanti (quelli che ti impediscono di diventare “la versione migliore di te stessa”) e le tue ombre (ad esempio prendi una cosa che ti ha ferito durane la giornata e ti chiedi: perché mi ha dato così fastidio?), e poi gli esercizi di manifestazione che servono per incanalare le energie nel sapere esattamente cosa desideri, il primo e importantissimo passo per ottenerlo.

Nora dice che le note del telefono vanno evitate, così come journal online e app: perché la pratica del journal sia davvero terapeutica è necessario usare un diario vero, di carta, e una penna. Oppure, se sei un principiante, puoi acquistare un “journal guidato”, ovvero un diario già impostato per essere compilato con gli esercizi giusti. Per aiutarci Nora ne ha pubblicato uno, si chiama: Becoming That Girl Journal. Per aiutarci ancora di più ha realizzato anche un podcast che si chiama Solo – Glow Up. E anche un libro di crescita personale, che si chiama Manifesta la versione migliore di te (Vallardi). Sulla copertina c’è una farfalla.

@soloeleonoraslife IL Tutorial sul journaling che stavi aspettando!!!🎀🛁🧖🏼‍♀️💅🏻🧘🏼‍♀️🍓☕️ #journaling #journalingtutorial #howtojournal #backtoschoolglowup #glowuptipsbeforeschool #journalingtips ♬ original sound – ʚ♡ɞ ʚ♡ɞ ʚ♡ɞ ʚ♡ɞ ʚ♡ɞ ʚ♡ɞ ʚ♡ɞ – ˙˚ 𓆩 ✞ 𓆪 ˚˙

Oltre a trasformare tantissime ragazze in donne in carriera piene di energia, mentalmente equilibrate e felici, con capelli stupendi, pelle perfetta e look attentamente studiati, la pratica del journaling dovrebbe aiutare chi soffre di ansia, non tanto per gestire il tempo della giornata che è già regolamentato (scuola o lavoro), ma quello libero. È il controsenso alla base del Bullet Journal: gli hobby e i momenti di relax vengono trattati allo stesso modo delle attività “faticose” o dei doveri, come dei “to do”, da fare (imperativo). Diventano delle caselle da spuntare. Ad esempio, il progressivo logoramento della mia capacità di concentrazione mi ha costretto ad aggiungere nuove attività a questa colonna: «leggere» ha smesso di essere un piacere spontaneo, è entrato nella lista delle cose da fare. «Camminare», «guardare film», «leggere articoli salvati durante la settimana», «cucinare verdure», «piscina». In pratica, se non mi costringessi a fare cose durante il tempo libero, passerei il tempo a letto scrollando TikTok e acquistando decorazioni per unghie su Shein (la maggior parte delle volte senza finalizzare l’acquisto). Mi abbandonerei a quello che è l’esatto contrario della “That Girl”, ovvero il “Goblin Mode”, la reazione a questa cultura della self care che ti fa sentire in colpa perché non riesci a rilassarti e migliorarti in ogni fottuto secondo della tua giornata.

Il “Goblin Mode” è un grande fuck you rivolto a tutto questo, è prendere il bullet journal e lanciarlo dalla finestra: soffrire perché il mondo è orrendo senza trovare la forza di reagire, piangere, fumare a letto, trascorrere intere giornate senza spalmarsi creme in faccia (meglio se con il mascara raggrumato da qualche giorno), non fare niente di utile, produttivo, terapeutico, interessante, stimolante, intelligente. In un mondo che ci richiede una performance perenne, è paradossalmente terapeutico e liberatorio. Purché duri poco, altrimenti si chiama in un altro modo: “depressione”. E allora rieccoci nel cortile sotto casa, a cercare il Bullet Journal che avevamo appena lanciato dalla finestra. Non saper gestire il proprio tempo libero è un loop da incubo simile a quello di chi soffre di binge eating disorder (abbuffate compulsive). Mangi troppo, ti senti uno schifo, per sfogare la frustrazione mangi ancora di più, ingrassi, poi ti metti a dieta, hai fame perché sei a dieta e allora sgarri, mangi troppo, ti senti uno schifo, e via dicendo. Allo stesso modo programmare ossessivamente gli hobby e i momenti di relax ti incastra in un loop di senso di colpa. First world problem, direbbe qualcuno, problemi di chi ha troppo: troppo cibo, troppo tempo libero (oppure poco, ma la possibilità di gestirlo in totale libertà).

Il “Goblin Mode” è un grande fuck you rivolto a tutto questo, è prendere il bullet journal e lanciarlo dalla finestra: soffrire senza trovare la forza di reagire, piangere, fumare a letto, trascorrere intere giornate senza spalmarsi neanche una crema in faccia

A proposito: perché quasi tutte le appassionate di self care sono bionde, bianche, benestanti? Ci hanno fatto caso anche Tressie McMillan Cottom (scrittrice e sociologa) e Pooja Lakshmin, psichiatra e autrice di Real Self-Care: A Taransformative Program for Redefining Wellness (Crystals, Cleanses, and Bubble Baths Non Included), in una puntata dell’Ezra Klein Show chiamata “Boundaries, Burnout and the ‘Goopification’ of Self Care”. Senza cadere nel nichilismo del Goblin mode, McMillan Cottom e Lakshmin demoliscono la cultura della self care per il modo in cui ci accolla tutte le responsabilità: se siamo in burnout, se ci sentiamo stressate, brutte, stupide, sbagliate (secondo i canoni della cultura capitalista, ovviamente: carriera, amici e partner altrettanto in carriera, bell’appartamento in una zona cool, vacanze cool, look studiato, agenda fitta di viaggi di lavoro), è colpa nostra, di come abbiamo gestito il nostro tempo libero. E invece, spiega Lakshmin nel suo libro, la vera cura di sé non ha niente a che far con lo «spuntare caselle da una lista di cose da fare», ma significa abbracciare un lungo e difficile lavoro interiore (per saperne di più, bisogna leggere il suo libro).

Per quanto mi riguarda, il mio lavoro interiore mi ha portato a scoprire un hobby che adoro e che quindi non ho assolutamente bisogno di programmare. È un’attività a cui mi dedico spontaneamente non appena ho un po’ di tempo libero: sdraiarmi sul letto a pancia in giù e osservare i video delle tiktoker che condividono contenuti sui bullet journal. La cura con cui scrivono e decorano i giorni della settimana, le varie tecniche per dividere le pagine, gli adesivi, le greche, i disegnini, la calligrafia, l’accurata selezione della cancelleria, le tabelle per registrare tutto in modo ossessivo, con le legende coi colori diversi da segnare con gli evidenziatori color pastello: il mood del giorno (c’è la testa di un gattino ripetuta per tutta la pagina che devi “compilare” con la tua espressione), il tempo (inteso come clima), le ore di sonno, il work out, la skin care, l’impacco all’olio di rosmarino prima di lavare capelli (da fare due volte alla settimana), le serie e il film guardati, il voto dato alla giornata, il livello di ansia e di stress provato, la valutazione dell’energia, le pagine di libro lette, i soldi risparmiati, le “affermazioni” (tipo quella che Maxine/Mia Goth continua a ripetersi nel film Pearl: «I will not accept a life I do not deserve»), le cose per cui essere grata, le canzoni ascoltate, il tempo trascorso sui social (diviso in due colonne: Instagram e TikTok), il bullet journal (sì, sul Bullet Journal registri anche la tua costanza nell’aggiornare il Bullet Journal).

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