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Un giornalista italiano è stato licenziato per una domanda su Israele fatta alla Commissione europea Gabriele Nunziati ha chiesto se Israele dovesse pagare la ricostruzione di Gaza come la Russia quella dell'Ucraina. L'agenzia Nova lo ha licenziato.
Lo Studio Ghibli ha intimato a OpenAI di smetterla di usare l’intelligenza artificiale per creare brutte copie dei suoi film Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.
Nel suo discorso dopo la vittoria alle elezioni, il neosindaco di New York Zohran Mamdani ha sfidato Donald Trump Nelle prime dichiarazioni pubbliche e social, il neosindaco ha anche ribadito la promessa di ridisegnare NY a misura di migranti e lavoratori.
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms Shanghai, la prima serie tv di Wong Kar-wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.
È morta Diane Ladd, attrice da Oscar, mamma di Laura Dern e unica, vera protagonista femminile di Martin Scorsese Candidata tre volte all'Oscar, una volta per Alice non abita più qui, le altre due volte per film in cui recitava accanto alla figlia.

Un monumento fantasma rivive a New York

Inaugura a Manhattan "Day’s End", opera dell’artista David Hammons dedicata all’omonimo intervento di Gordon Matta-Clark, e alla storia dei moli newyorkesi tra gli anni ’70 e ’80.

14 Maggio 2021

Nel 1975 sul molo 52 che si sporge sul fiume Hudson, a New York, l’artista americano Gordon Matta-Clark realizzava una delle sue opere più leggendarie: “Day’s End”, monumentale intervento architettonico – o meglio anarchitettonico – che trasformava il magazzino in disuso collocato sulla banchina in un «tempio al sole e all’acqua». Praticando tagli alle pareti, al soffitto e al pavimento, l’artista allora poco più che trentenne, figlio del pittore surrealista Roberto Matta, consegnava alla città la sua cattedrale gotica, aperta di giorno alle evoluzioni della luce e di notte alle fantasie sadomaso di una subcultura queer che nei moli abbandonati di Manhattan sperimentava il rischio dell’avventura e uno spazio di libertà inaudito.

Matta-Clark morirà precocemente nel 1978 – ha appena 35 anni – “Day’s End” sarà demolito l’anno successivo, sopravvivendo in fotografie e film che documentano l’azione dell’artista come gesto di sfida all’idea di spazio architettonico fisso, chiuso e inviolabile (l’edificio manipolato crea nuove vedute prospettiche), oltre che atto clandestino di resistenza alla gentrificazione. È lui a fondare nel 1973, con Laurie Anderson, Richard Nonas e altri artisti, il gruppo “Anarchitecture” (dalla fusione delle parole anarchy e architecture), mediante cui il progetto, liberato dai vincoli costruttivi, diventa attività critica, land art, performance, happening. Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, l’artista di area concettuale David Hammons (1943, Springfield – vive e lavora a New York) riflette sull’intervento di Matta-Clark con un progetto d’arte ambientale a esso intitolato: “Day’s End” di Hammons verrà inaugurato il 16 maggio sul Pier 52, esattamente dove un tempo sorgeva il capannone trafitto dalla luce, esposto alle intemperie di Matta-Clark. Realizzata in collaborazione con il Whitney Museum of American Art (e situata di fronte), l’opera di Hammons figura come una sorta di monumento fantasma, una struttura aperta che, oltre a seguire il profilo e le dimensioni dell’edificio originale, evoca la storia del lungomare di New York, tra presenza e invisibilità. Se infatti nel 1916 la città si apprestava a diventare il porto più attivo del mondo, già negli anni ’50 cominciavano il degrado e la rinascita. Da questo momento i moli divennero luogo di ritrovo per la comunità gay e, soprattutto tra gli anni ’70 e ’80, teatro di sperimentazioni artistico–visuali che mescolavano sesso e rovine urbane.

L’opera di Hammons, sul Pier 52

Nel suo libro provocatorio Pier Groups – il titolo è tratto dal film porno gay di Arch Brown del 1979, in cui appare brevemente e in modo spettacolare “Day’s End” di Matta-Clark – lo storico dell’arte Jonathan Weinberg traccia un parallelismo tra le opere realizzate negli anni ’70 sul lungomare di New York e le subculture queer dell’epoca. Ad attrarre sui moli artisti come Gordon Matta-Clark, ma anche Vito Acconci, Alvin Baltrop, Shelley Seccombe e David Wojnarowicz, era, secondo Weinberg, il loro offrisi come spazi di libertà apparentemente fuori dal controllo sociale. Come i passages di Parigi descritti dal filosofo Walter Benjamin, i moli – questo terrain vague devastato dagli incendi, corroso dal sole e dalla salsedine – si offrivano alle derive creative, alle flânerie vertiginose, alla seduzione del pericolo. Il loro «potenziale rivoluzionario» stava nel riunire, richiamandole a sé, persone di ogni classe ed etnia.

Matta-Clark alla fine fu estromesso. Il giorno dell’inaugurazione di “Day’s End” la polizia bloccò l’accesso, mise sigilli, transenne e un piccolo ponte dove il pavimento era stato tagliato a metà. Si parlò anche di una sua possibile incarcerazione per aver violato un sito di proprietà della città. Per realizzare l’opera, l’artista aveva sostituito la serratura e il catenaccio della porta principale, escludendo a sua volta quella che lui definiva una «s&m renaissance», la frangia sadomaso che affollava l’edificio in cerca di piaceri e intimità. «Le autorità lo hanno vandalizzato», ironizzava con un ribaltamento di prospettiva. Il suo lucchetto si era dimostrato inutile: in breve tempo lo spazio tornò a essere occupato dai cruiser, diventando lo sfondo delle loro attività clandestine.

«E così la sua vita va avanti, ma è una vita segreta», disse in un’intervista radiofonica. Perché quello che la polizia non aveva chiuso era la gigantesca apertura «a forma di falce» sul lato ovest del capannone – lui la paragonava al rosone di una basilica, altri a un’eclissi, altri ancora a un occhio o una lente. Quando il sole si allineava con il taglio, ricorda Weinberg, lo spettatore in piedi nell’edificio era come accecato. Quando il sole tramontava e il cielo notturno riempiva il foro, si aveva una visione dell’universo. In modo analogo, la struttura creata da Hammons dialoga con la luce, apparendo evanescente ed eterea, luccicante fino quasi a scomparire. Per entrambi gli artisti New York era e rimane materia, ispirazione, spettro e provocazione.

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