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Per combattere i deep fake, la Danimarca garantirà ai suoi cittadini il copyright delle loro facce Il governo sta cambiando la legge sul diritto d’autore per proteggere impedire i "furti" di volti, corpi e voci.
I fan di Squid Game hanno odiato il finale della serie e quindi si stanno facendo i loro finali usando l’AI Sui social c'è già chi propone lo Squid Game dei finali di Squid Game, il vincitore diventa quello ufficiale.
Una delle ragioni del disastro causato dell’alluvione in Texas potrebbero essere state le troppe allerte meteo ricevute dalla popolazione Si chiama warning fatigue, cioè la tendenza a sottovalutare o ignorare un pericolo che viene segnalato troppe volte e troppo spesso.
Netflix ha annunciato la data d’uscita della serie di Stefano Sollima sul Mostro di Firenze E ha pure pubblicato il primo teaser trailer. Si parla già di una possibile prima alla Mostra del cinema.
Dopo più di 100 anni di attesa, la Senna è stata balneabile soltanto per un giorno Nei tre punti balneabili del fiume è già stata issata di nuovo la bandiera rossa. Stavolta, però, la colpa è della pioggia.
Una ricerca conferma che l’estate in Europa ormai dura quasi sei mesi  Un ricerca evidenzia come, da Atene a Terana, l’ondata di colore associata all’estate duri oltre duecento giorni l’anno. 
Si è scoperto che le compagnie low cost premiano i dipendenti degli aeroporti più bravi a trovare i bagagli a mano troppo grandi In un’email pubblicata dal Guardian si legge di un premio di una sterlina per ogni bagaglio extra large denunciato.

Dan Graham, l’artista che amava le riviste

Morto il 19 febbraio a 79 anni, era conosciuto soprattutto per le architetture di ferro e vetro riflettente, ma le sue prime opere erano molto diverse.

21 Febbraio 2022

Definire Dan Graham, morto il 19 febbraio a settantanove anni, un “artista concettuale” è molto riduttivo: non solo perché è stato un artista ibrido e inclassificabile, ma perché è stato anche scrittore, saggista, curatore, gallerista, fotografo, performer, critico d’arte e di musica (era un appassionato di punk rock, come dimostra il suo video degli anni ’80 “Rock My Religion“, e si dice abbia giocato un ruolo chiave nella formazione dei Sonic Youth). Con l’eccezione delle architetture specchianti, che non a caso sono proprio il suo lavoro più famoso, quello per cui tutti in questi giorni stanno esclamando: «aaah, ma sì, ho capito chi è», Graham si è sempre impegnato a sperimentare con l’arte senza preoccuparsi di risultare riconoscibile, tanto che seguendo lo svilupparsi delle sue opere nel corso degli anni sembra di osservare la carriera di 7 artisti diversi.

Dan Graham, Untitled from Two-Way Mirror / Hedge Projects, 2004, particolare (MoMA)

Nato nel 1942 a Urbana, in Illinois, Graham cresce in New Jersey, nel paesaggio suburbano che diventerà il protagonista della sua serie di fotografie. Si trasferisce a New York per fare lo scrittore ma diventa un gallerista: nel 1964 organizza alla John Daniels Gallery la prima mostra dell’amico Sol LeWitt, poi continua con Donald Judd, Dan Flavin e Robert Smithson. Nei suoi primi esperimenti artistici, ispirati all’amore per i magazine e le riviste pop, progetta la pubblicazione di interventi concettuali su riviste di ampia diffusione, negli spazi solitamente occupati dalla pubblicità.

Una delle sue opere più belle fa parte di questo ciclo ed è stata spesso fraintesa proprio a causa, diremmo oggi, di tutti i suoi “layers”. Homes for America (1966-67) nasce come una serie di fotografie di casette a schiera, presentate con uno slide show che sottolineava le somiglianze tra il sistema ripetitivo degli insediamenti residenziali suburbani del Dopoguerra e l’approccio seriale di artisti minimalisti come Donald Judd. Rimodellata come un’opera destinata alla pubblicazione su rivista, la serie era intesa come la parodia di un articolo, ma anche come un rifiuto dei limiti del formato “white cube” della galleria d’arte in favore dell’ubiquità e della disponibilità dei periodici mensili. Nelle sue fotografie ignorava intenzionalmente alcune tecniche e usava stampe a colori standard ed economiche per avvicinarsi il più possibile allo stile dei giornalisti fotografici del tempo. Alla fine non riuscì a pubblicare Homes for America su Esquire, come avrebbe voluto, e dovette ripiegare su Arts Magazine. Negli anni Sessanta, Graham vedeva nel mezzo della rivista pop la forma ideale per la presentazione delle sue opere, che si trovavano al di fuori delle istituzioni artistiche consolidate.

Dan Graham, Homes for America, 1966-67 © 2022 Dan Graham (Gift of Herman J. Daled, MoMA)

Negli anni Settanta passa alla performance e al video, offrendo allo spettatore un ruolo attivo nello spazio e nel tempo dell’opera, utilizzando ad esempio le telecamere a circuito chiuso. È un altro aspetto importante della sua ricerca, che esplora la percezione del corpo in relazione con l’ambiente, sia esterno che interno. Da questa riflessione nascono i famosi Padiglioni, concepiti a partire dai primi Ottanta. Strutture in ferro e vetro nelle quali è possibile entrare e/o specchiarsi (o nelle quali si rispecchia l’ambiente naturale o architettonico circostante) che amplificano e complicano la relazione dell’osservatore con se stesso e con lo spazio che lo circonda.

Dan Graham, Figurative, 1965. Printed matter. Collection, Herbert, Gent, Belgium (MoMA)

Nel 2009, durante una passeggiata nella sua stessa retrospettiva al Whitney Museum, e parlando con il critico d’arte Peter Scott, che avrebbe genialmente intitolato l’articolo nato da questa conversazione “Grahamrama“, Dan Graham cercava di prendere le distanze dal tipo di arte concettuale a cui continuava e continua ad essere associato (quella dei padiglioni), ricordando con grande affetto le sue “opere delle riviste”, come la riproduzione di una striscia di carta da una calcolatrice o un registratore di cassa nelle pagine di una rivista di moda, che chiamò “Figurative” (uscì su Harper’s Bazaar del marzo 1968, tra la pubblicità di un Tampax e quella di un reggiseno Torpedo), un modo per giocare con le aspettative dei lettori nei confronti delle immagini commerciali: «Amo i magazine perché funzionano come le canzoni pop, sono usa e getta e si occupano di piaceri momentanei».  Un concetto che ribadisce anche in questa bellissima intervista pubblicata nel 2015 su Flaunt Magazine, completamente dedicata alle sue opere sulle riviste.

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