Attualità

Cyborg troppo cyborg

Stiamo imparando a potenziare il nostro corpo fondendo parti artificiali e biologiche. Che fare quando la realtà si avvicina alla fantascienza?

di Pietro Minto

I cyborg sono noiosi. O meglio, più noiosi dell’idea di cyborg che abbiamo in mente, alimentata da decenni di fantascienza, racconti apocalittici e film in cui esseri semi robotici sparano laser dalle mani. E invece niente laser (purtroppo). È tutto più reale e quotidiano: i cyborg sono in mezzo a noi. Vicini. Un vostro parente, vostro nonno, per esempio, ha un pacemaker? Be’, è un cyborg – e adesso voglio vedere con che faccia gli chiedete la mancia.

Stando alla definizione classica, un cyborg è un essere in cui parti biologiche convivono con parti meccaniche e artificiali. Il termine sta per cybernetic organism ed è comparso per la prima volta in un contesto sorprendente per una cosa che avrebbe poi popolato la fantascienza: un articolo del 1960 (Pdf) pubblicato dalla rivista scientifica Astronautics. Eravamo agli albori della corsa allo spazio, l’Unione Sovietica muoveva i primi passi fuori dall’atmosfera terrestre e gli Usa rispondevano decisi ma un po’ confusi.

Era un momento in cui i due ordini mondiali puntavano in alto, alle stelle, misurando la loro grandezza a suon di razzi e missioni pazzesche.

Gli autori dell’articolo, Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline, scrissero di un superuomo del futuro in grado di «incorporare deliberatamente componenti esogene estendendo le funzioni di controllo regolatorio dell’organismo al fine di adattarsi a nuovi ambienti». Si riferivano a un «nuovo ambiente» in particolare: lo spazio profondo. La conquista della Luna era lontana appena nove anni (eppure sembrava così impensabile, allora), mancava solo un anno all’impresa di Yuri Gagarin, esemplare del cosiddetto homo sovieticuse primo umano a volare nello spazio, mentre erano già passati tre anni da quando la cagnolina russa Laika aveva guaito dove nessuno aveva mai osato. Era un momento in cui i due ordini mondiali puntavano in alto, alle stelle, misurando la loro grandezza a suon di razzi e missioni pazzesche. In questo contesto, l’articolo diAstronautics immaginava un futuro in cui l’esplorazione spaziale sarebbe stata prassi e l’uomo avrebbe potuto potenziare il proprio organismo per piantare bandiere Usa sulla volta celeste. Si arrivò anche a parlare di corpi così potenti e resistenti da poter vagare nello spazio senza tute speciali. Ma le difficoltà erano molte, immense quanto l’universo da esplorare. Ed ecco comparire in scena il cyborg, il cui scopo, secondo i due studiosi, era «offrire un sistema […] in cui tali problemi vengono risolti automaticamente e inconsciamente, lasciando l’uomo libero d’esplorare, creare, pensare e vivere».

Sarà che non ci piacciamo e forse ci disprezziamo ma noi umani abbia sempre cercato di “elaborare” il nostro organismo, sempre convinti di scorgere dietro l’angolo il nuovo, il migliore. L’Uomo-2, quello che ci salverà tutti.

L’idea non era così nuova, a dire il vero. Nella mitologia greca, Prometeo rubò il sole a Zeus per migliorare la condizione dei mortali; nel Medioevo gli alchimisti tentarono di rendere l’uomo più forte e potente, finendo per farsi additare come eretici dalla Chiesa, e come bizzarri ciarlatani dai posteri. In tempi più recenti, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche dedicò gli ultimi anni della sua vita alla teoria dell’oltreuomo (o superuomo). «L’uomo è un qualcosa che verrà superato», scrisse in Così parlo Zarathustra (1883-85). Sarà che non ci piacciamo, che non ci bastiamo e forse ci disprezziamo ma noi umani abbia sempre cercato di “elaborare” il nostro organismo, sempre convinti di scorgere dietro l’angolo il nuovo, il migliore. L’Uomo-2, quello che ci salverà tutti.

Fu però il biochimico J. B. S. Haldane a fissare la barra per il superamento dell’umano con un’opera di culto, Deadalus; or, Science and the Future, pubblicata nel 1923, in cui sosteneva che il dominio della scienza e la manipolazione genetica avrebbero migliorato le nostre vite, creando una società sana e pacifica, popolata da superuomini più forti, alti e muscolosi della norma, nati per ectogenesi (lo sviluppo embrionale al di fuori del corpo materno) all’interno di uteri artificiali. A metà tra la riflessione scientifica e la profezia, e caratterizzato da atmosfere degne di un Urania, Deadalus non mancò di far discutere e, come ricorda Nick Bostrom della Oxford University, ispirò un grande classico della letteratura: tra i colleghi di Haldane, infatti, c’era Julian Huxley, biologo e fratello del più noto Aldous Huxley, autore di Brave New World (1932), romanzo distopico che racconta una società basata su ectogenesi ed eugenetica e in cui le visioni del biologo vengono fortemente criticate per le loro possibili conseguenze apocalittiche.

 

 

«Il chimico o il fisico», scrisse Haldane, «è sempre un Prometeo. Non c’è stata una grande scoperta, da quella del fuoco a quella del volo, a non essere stata accolta come l’insulto a un qualche dio». Sfidare l’umano è quindi parte dell’essere umani: e oggi, forse, ci siamo.

Per dare un’idea della nostra situazione, ecco tre brevi istantanee dal mondo degli organismi cibernetici.

1) Il 21 ottobre 2010 Christian Kandlbauer sta guidando la sua Subaru Impreza e contemporaneamente sta vivendo il suo sogno: nel 2005 infatti gli erano state amputate entrambe le braccia a causa di un incidente. Al posto degli arti mancanti, si è fatto installare due gemme tecnologiche: una protesi meccanica e una bionica, la prima a essere installata con successo su un essere umano. Grazie a queste, il ragazzo è riuscito persino a prendere la patente di guida, dopo aver fatto modificare la propria macchina in modo da poter essere guidata tramite messaggi cerebrali che dal cervello arrivano all’automobile, passando per il suo braccio bionico. «Grazie a questa protesi sono dipendente e sicuro di me stesso quasi quanto lo ero prima dell’incidente», diceva spesso. Quel giorno però la macchina di Kandlbauer esce di strada e si scontra contro un albero. Non si tratta di un normale, tragico incidente stradale. A guidare era un cyborg e, vista l’assenza di testimoni o sopravvissuti, non è chiaro cosa abbia causato lo scontro: un errore del guidatore (umano) o un malfunzionamento del braccio bionico? Un dilemma notevole, visto che la Subaru avrebbe potuto scontrarsi con un’altra vettura o investire qualche pedone – eventualità che avrebbe reso complicato stabilire le colpe dell’accaduto.

2) Oscar Leonard Carl Pistorius è un noto atleta sudafricano, campione paraolimpionico nei 200 metri piani. Un corridore peculiare con due protesi in fibra di carbonio al posto delle gambe, che gli sono state amputate quando aveva 11 mesi di vita. Negli anni ha macinato successi su successi, arrivando a chiedere di poter gareggiare con i normodotati, vista la netta superiorità di cui gode nella sua categoria. A lungo è stato al centro di una piccola guerra legale che lo vede contrapporsi con la Iaaf (International association of athletics federations, associazione internazionale che riunisce le federizioni dei vari sport), che ha respinto la sua proposta e il Tribunale arbitrale dello sport, che invece l’ha accolta: ha partecipato a Londra 2012, arrivando in semifinale. Come definire Pistorius? Un atleta, un disabile, un “atleta potenziato”? Difficile rispondere, e non è un caso che venga chiamato “the fastest thing on no legs”.

3) Giugno 2012, un McDonald’s nei pressi dei Champs-Élysées, Parigi. Steve Mann, sua moglie e i loro figli si stavano concedendo una breve pausa durante la visita della capitale francese. Prima di andarsene, Mann si reca al bagno ma viene fermato da degli addetti della catena di fast food. Lui cerca di spiegarsi, invano. Il professore viene buttato fuori dal locale. Chi è Steve Mann? È un professore cinquantenne all’Università di Toronto, considerato da Nicholas Negroponte (ex direttore del Mit, tra i pioneri del web e uno dei fondatori della rivista Wired) l’inventore del wearable computer, la tecnologia che rende computer e altri oggetti informatici “indossabili”. Tra i suoi esperimenti in questo campo, un congegno chiamato EyeTap, un paio d’occhiali speciale in grado di aggiungere immagini computerizzate a ciò che viene inquadrato con gli occhi. Sono molto, molto simili ai nuovi occhiali di Google, i Google Glasses, scattano 120 foto al secondo con una risoluzione di 1080 × 1920 pixel e Mann li indossa di continuo. Il problema è che la policy del McDonald’s vieta di scattare foto in alcune parti del locale, tra cui il bagno, e i gestori chiedevano a Mann di togliersi l’apparecchio di dosso per accedere alla toilette. Ma non è così semplice scindere le due parti di Mann – quella biologica e quella artificiale – dato che il suo EyeTap (come si vede nella immagine che vi proponiamo) è strettamente collegato al suo corpo, e solo dei chirurghi possono levarglielo con sicurezza.

Quelli appena raccontati sono tre casi esemplari delle conseguenze dell’affaire cyborg, strana bestia tentacolare che arriva a toccare molti gangli della nostra vita: la privacy, la giurisprudenza, i diritti della persona, il codice stradale, la politica, la medicina. Secondo Roger Clarke, professore australiano di informatica, «non abbiamo riflettuto sulla velocità con cui la cyborgisation sta manifestandosi e sull’impatto che avrà su di noi», e ora rischiamo di dover rincorrere il frenetico progresso tecnologico, aggiornando leggi, norme e prassi che risalgono a quando l’essere umano era solo un essere umano.

 

Leggi ed etica

Ad oggi è la medicina a guidare la carovana della cyborgisation. Abbiamo già parlato dei pacemaker ma possiamo citare anche gli apparecchi cocleari (detti “orecchi bionici”) in grado di ripristinare l’udito anche in casi di grave sordità e nei soggetti in cui i sistemi à la Amplifon non sono sufficienti. O alla nanomedicina, branca scientifica che abbraccia nanotecnologia e sala operatorie, che nel futuro potrà modificare internamente l’organismo con impianti in grado di “curare” regolando le funzioni vitali dell’organismo a seconda delle esigenze. O, ancora, alla manipolazione e alla mappatura genetica, che nel futuro dovrebbero diventare più operazioni più semplici, sicure ed economiche. Tutte queste innovazioni sollevano polveroni etici considerevoli e minano alla base le (finora) solide fondamenta del diritto occidentale, che si basano «sull’idea che tutti gli uomini siano uguali dal punto di vista biologico», come spiega a Studio Andrea Rossetti, docente di Giurisprudenza all’Università di Milano. «È quello che dice Hobbes nel Leviatano: “Tutti gli uomini sono deboli alla stessa maniera”. Tutte le leggi e le morali», continua, «si basano su quelle che Herbert Hart, filosofo del diritto, chiama semplici ovvietà. Tra queste, il fatto che l’uomo sia vulnerabile, per cui in tutti gli ordinamenti giuridici […] c’è un pezzo del diritto che tutela l’integrità della corpo».

 

 

Quindi, se una parte della popolazione diventasse enhanced (potenziata, migliorata attraverso le nuove tecnologie), ci sarebbe una spaccatura storica nella continuità biologica dell’uomo. «Se tutti diventassimo cyborg non ci sarebbero problemi (dovremmo cambiare le leggi per tutti): il problema è se fosse solo una parte a diventarlo. Per esempio: mettiamo che il 10% della popolazione mondiale rifiuti l’idea per motivi religiosi, come ci dovremmo comportare?» Dovremmo tutelarla, ovviamente. Altro problema: i soldi. Questi gioielli del progresso costano e sono ovviamente appannaggio dei più ricchi. La loro diffusione tra il cosiddetto 1% e il cosiddetto Primo Mondo creerebbe un ulteriore, inedito divario tra ricchi e poveri, tra chi muore di fame ed è “solo” umano e chi è ricco e ha un corpo più potente. «L’human enhancement è una nuova versione della questione sociale», spiega Alberto Pirni, ricercatore di Filosofia Politica alla Scuola Sant’Anna di Pisa, «rischiamo di fare uomini di serie A e di B a seconda di chi può permettersi cosa», un fatto senza precedenti.

 

Come affrontare il problema

Qualcosa però si muove: quest’anno è nato Robolaw, un progetto dell’Unione europea a cui partecipano varie eccellenze internazionali (l’università olandese Tilt, quella di Reading in Inghilterra, l’Hub di Berlino, la già citata Scuola Sant’Anna di Pisa) e che entro due anni firmerà un libro bianco sulla cyborgisation da proporre alla Commissione europea. Secondo Elettra Stradella, ricercatrice per l’ateneo italiano, il problema risiede anche nella parola cyborg e le sue varie interpretazioni: «José M. Galvan, uno dei massimi esperti di tecnoetica d’Europa, dice che anche chi porta normali occhiali da vista può essere considerato un cyborg. Di certo manca una definizione univoca del termine perché i livelli di commistione sono tantissimi: una persona con pacemaker magari è un cyborg ma non pone così tanti problemi giuridici».

Secondo Chris Hughes nel 2030 «gli abitanti del mondo industrializzato vivranno in un mare computerizzato ubiquo e a buon mercato che si estenderà dai loro corpi, collegandoli l’uno all’altro».

Ci sono anche dibattiti politici sull’argomento. Il transumanesimo o transumanismo, per esempio, è un movimento che sostiene lo sfruttamento di tecnologie per migliorare la condizione fisica e mentale dell’uomo e aprire la strada al Postumanesimo. (Dal 19 settembre scorso, il Parlamento italiano ha il suo primo deputato transumanista, Giuseppe Vatinno dell’Api – ed è subito scoppiata la polemica con Il Foglio, che lo ha accusato di «predicare l’eguenetica»). In questo caso lo sguardo è rivolto al futuro prossimo e alle innovazioni che ci aspettano. Esiste una legge in informatica, la legge di Moore, secondo cui il numero di transistor contenuti in un circuito integrato di dimensione x raddoppia ogni due anni. Il primo a osservare questa tendenza fu Gordon E. Moore, co-fondatore della Intel – leader mondiale nel settore circuiti e processori – in un articolo del 1965 su Electronics Magazine. Oggi tale legge viene spesso citata come bussola dai movimenti postumani, soprattutto quello della Singolarità, secondo cui i computer arriveranno alla capacità d’elaborazione di un cervello umano (100 tetraflop di Ram, ovvero 100 trilioni di operazioni al secondo) negli anni ‘20 del Duemila. Secondo Chris Hughes, esperto in medicina etica e autore di Citizen Cyborg (2004), attorno al 2030 «gli abitanti del mondo industrializzato vivranno in un mare computerizzato ubiquo e a buon mercato che si estenderà dai loro corpi, collegandoli l’uno all’altro».

Come reagirà la politica all’avvento del postumano? Molte cose cambieranno, ovviamente, ma la dialettica tra progressisti e conservatori, rimarrà, e verrà integrata da quella tra transumanisti e “bioluddisti”. Dei transumanisti abbiamo già parlato; i bioluddisti invece sono gli scettici, quelli che vogliono porre un freno allo sviluppo della cyborgisation. I due schieramenti hanno già cominciato ad attaccarsi come fossero partiti politici in campagna elettorale: se i bioluddisti (Leon Kass, Yuval Levin) parlano di tabù infrangibili e limiti da non superare, i transumanisti rispondono (Hughes) accusandoli di avere paura del futuro e di nutrire pregiudizi verso il nuovo. «Da filosofo politico credo che questa dialettica sia interessante», spiega Pirni. «Quello che ne va è la gestione di un nuovo stare insieme. La parte più feconda del dibattito è che in realtà abbiamo un grandissimo bisogno di ridefinire la categoria dell’essere umano, con buona pace della morte della metafisica. Il dibattito tra i due schieramenti credo riapra la partita ma mi sembra difficile poter definirli come movimenti di destra o sinistra. Ci sono due cose che sono però certe: le politiche non potranno più non farsi carico di questi argomenti e le categorie che abbiamo ereditato dal Novecento sono immobilizzanti». La danza obbligata tra biologico e artificiale le rendono «liquide, per citare Bauman».

Il professor Rossetti nota invece una continuità tra gli scorsi secoli e il nostro domani: «Dall’Ottocento in poi abbiamo capito che l’introduzione di nuove tecnologie crea potenzialmente nuove relazioni sociali e classi sociali», cosa che aveva capito bene Karl Marx le cui idee nascono con la Seconda rivoluzione industriale e non sono che «un metodo per diminuire la differenza tra coloro che detenevano le macchine e coloro che non le detenevano». È quanto avverrà con la cyborgisation, e anche il fattore economico ed elitario della questione potrebbe risolversi facilmente. «Immagini se l’aspirina fosse rimasta cosa per pochi», continua Rossetti. «Se c’è la Ferrari è perché dietro ci sono milioni di persone che comprano la Panda. Se nell’ultimo secolo e mezzo il progresso è avanzato a questa velocità è anche perché ad adottare le nuove tecnologie son stati almeno 2/3 dei cittadini». E fa un esempio interessante, quello delle macchine da dialisi, strumenti che qualche decennio fa erano più grandi di un frigorifero e incredibilmente costosi e oggi sono piccoli, quasi portatili. Un esempio interessante anche perché si tratta di un buon esempio di cyborg: collegare il proprio a una macchina perché il proprio fisico non è più in grado di svolgere una data attività.

 

La distanza tra di noi

Guardando invece al futuro prossimo, al nostro domani, il pensiero corre ai citati Google Glasses, occhiali in grado di creare la cosiddetta “realtà aumentata” davanti ai nostri occhi. Per realtà aumentata si intende l’arricchimento della percezione sensoriale tramite informazioni prodotte elettronicamente, che vengono “aggiunte” da quelle percepite dai nostri sensi. La Reggia di Venaria nei pressi di Torino e il Castello di Winchester in Gran Bretagna sono due siti turistici che già offrono la possibilità ai turisti di osservarli tramite lenti speciali, che li fanno apparire com’erano nell’antichità. Oggetti come gli occhiali di Google sembrano dare per l’ennesima volta ragione a Marshall McLuhan, il professore di letteratura canadese che negli anni ‘50 e ‘60 inventò lo studio dei media. Secondo lui un medium era «qualsiasi oggetto in grado di rappresentare un’estensione di noi stessi» e il computer era «il più straordinario capo d’abbigliamento tecnologico creato dall’uomo, un’estensione del nostro sistema nervoso centrale». Al suo confronto, scrisse McLuhan, «la ruota è un semplice hula-hoop». E se ciò era vero per l’informatica accessibile ai suoi tempi, cosa dire di quanto abbiamo appena descritto? Potrebbe essere la nostra stessa idea di corpo a cambiare. Potremmo trovarci a considerare oggetti esogeni e artificiali come parte di noi. E da questo punto di vista, secondo Pirni, è anche importante capire «quanta parte di noi stessi decideremo di giustificare, riconoscere e proteggere giuridicamente. Se io perdo un walkman non chiedo danni ma se la mia protesi procura danni qualcuno potrebbe chiederli a me».

Si potrebbe pensare che il nostro futuro sia una prateria inesplorata, colma di minacce alle quali potremmo non saper rispondere. E invece, almeno a livello legale, non è tutto inedito come sembra: il diritto ha già coperto questi casi estremi in altri ambiti e tali norme potrebbero tornare utili nel futuro. «Ci sono schemi preesistenti in cui nuove ipotesi possono essere incasellate», precisa la professoressa Erica Palmerini, coordinatrice italiana di Robolaw. «Casi come la distruzione accidentale di una provetta contenente sperma congelato per la procreazione assistita, per esempio, che ha già creato un precedente quando una persona è stata risarcita, perché considerata paragonabile alla perdita della capacità procreativa».

Secondo Chris Hughes, il transumanesimo ha la possibilità di «controllare il nostro corpo, farci vivere più a lungo, essere più intelligenti e felici». Ma l’interazione tra uomo e macchina in campo medico rischia di portare alla luce interrogativi più profondi. «Da questo punto di vista», continua Pirni, «l’esempio del pacemaker è calzante perché implica un funzionamento senza il quale non saremmo vivi. Ed è un problema ontologico, un qualcosa che arriva a integrare il nostro sé».

“The Gernsback Continuum” è un racconto di William Gibson (contenuto inBurning Chrome, 1981) in cui a un fotografo viene affidato il compito di documentare tutte gli esempi di architettura più incredibili e futuribili. Ben presto si ritrova in un vortice in cui la sci-fi si fonde alla realtà. Ogni panorama e struttura che fotografa sembra sbucata da Metropolis di Fritz Lang, spuntata nella nostra dimensione da un futuro più o meno lontano. Il fotografo chiama i suoi scatti «fantasmi semiotici», ovvero simboli e immagini che sembrano «allucinazioni da futuri non esistenti», come scrive Peio Aguirre in un numero di Afterall: A Journal of Art, Context, and Enquiry. Leggere e scrivere di cyborg oggi trasmette sensazioni simili: davanti al nostro obiettivo, decine di spettri che sembrano usciti da futuri remoti e film di fantascienza. E come possono reagire la legge, la politica e la società di fronte a uno scenario da sci-fi? C’è il rischio di farsi ingannare, farsi trasportare dalle paure e le speranze che queste visioni futuristiche scatenano in noi. Come precisa anche Andrea Rossetti, bisogna aspettare, perché il diritto segue sempre a ruota la realtà: non può anticiparla. Meglio quindi seguire gli sviluppi della cyborgisation con estrema attenzione, non facendosi trascinare dall’ansia per evitare errori che potrebbero costarci caro. Perché errare è umano, dopotutto. Sarà anche postumano?

 

Immagini: Steve Mann con il suo EyeTap; una copertina della rivista Astronomics; Sergey Brin di Google indossa gli occhiali per la realtà aumentata progettati dall’azienda.