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Teju Cole stronca le foto di McCurry
In un lungo editoriale apparso qualche giorno fa sul New York Times Magazine e firmato da Teju Cole, una puntata della sua rubrica di critica fotografica, Steve McCurry, ovvero uno dei, se non il, fotografo più celebrato dei nostri tempi, viene definito «sorprendentemente noioso» e in una qualche misura artisticamente disonesto. Le foto di McCurry, che hanno raggiunto lo status di icone dei nostri tempi, e in particolare il volume di recente pubblicazione, su cui Cole si concentra, India, una raccolta di immagini scattata nel Paese tra il 1978 e il 2014, sono popolari, secondo lo scrittore nigeriano, non solo per la bellezza o la finezza tecnica che esprimono: «Evocano un’India passata, così come una vecchia idea di come le foto dell’India dovrebbero apparire e quali gli oggetti delle vite delle persone vanno mostrati: ombrelli, telai, macchine da cucire; non portatili, stampanti wireless, scale mobili».
Il problema, secondo Cole, sta dunque nei soggetti che ogni fotografo sceglie di rappresentare: «Un difensore dei lavori di McCurry potrebbe sostenere che il fotografo è interessato a esplorare culture che stanno scomparendo. Anche nel Ventunesimo secolo non tutti gli indiani vanno in aereo e nei centri commerciali. Perché non dovrebbe essere elogiato per aver cercato il pittoresco e averlo usato per mostrare la quintessenza dell’India? Cosa c’è di sbagliato nel mostrare una cultura nella sua forma più autentica? Il problema è che l’unicità di ogni Paese è un misto di pratiche locali, tradizioni, ma anche del suo passato e del suo presente. Ogni fotografia racchiude un pezzo di mondo con i suoi confini. Ma una serie di fotografie, scattate nel corso di molti anni, e attentamente selezionate rivela una visione del mondo. E dunque considerare un luogo dalla prospettiva di un passato antropologico cristallizzato per stabilire una nozione di autenticità che esclude il presente non significa semplicemente raccontare una verità alternativa: è abbandonarsi alla fantasia».

Il discorso di Cole verte insomma sulla differenza tra il rappresentare la realtà in modo onesto a farlo attraverso il filtro di un pregiudizio. Il termine di paragone che lo scrittore nigeriano usa per dimostrare quanto i lavori di McCurry siano “costruiti” è il fotografo indiano Raghubir Singh, che Cole definisce «un occhio democratico» perché fotografò ogni cosa: «Città paesi, villaggi, negozi, fiumi, fedeli, lavoratori, cantieri, motociclette, statue, arredamenti moderni, terrazze, vestiti e, certo, turbanti e sari». Poi Cole continua il suo affondo paragonando il lavoro di McCurry al video dei Coldplay “Hymn For The Weekend”, girato in India con un cameo di Beyoncé: «Pavoni, santoni, bambini dipinti, incenso. Praticamente nulla della vera contemporaneità indiana traspare nel video. Sembra che siano stati messi lì come colorato fondale alle fantasie del visitatore occidentale».