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La casa di Babbo Natale in Finlandia quest’anno è assediata non solo dai turisti, ma anche dalle truppe Nato L’escalation al confine russo ha trasformato la meta turistica natalizia della Lapponia in un sito sensibile per l’Alleanza Atlantica.
Il governo americano vuole che i turisti rivelino i loro ultimi 5 anni di attività sui social per ottenere il visto Vale anche per i turisti europei che dovranno consegnare la cronologia dei loro account su tutte le piattaforme social utilizzate.
Ora su Letterboxd i film si possono anche noleggiare e sono già disponibili molte chicche introvabili altrove I titoli disponibili saranno divisi in due categorie: classici del passato ormai introvabili e film recenti presentati ai festival ma non ancora distribuiti su altre piattaforme.
Da quando è stata introdotta la verifica dell’età, nel Regno Unito il traffico dei siti porno è calato ma è anche raddoppiato l’utilizzo di VPN Forse è una coincidenza, ma il boom nell'utilizzo di VPN è iniziato subito dopo l'entrata in vigore della verifica dell'età per accedere ai siti porno.
Secondo una ricerca, nel 2025 abbiamo passato online più tempo che durante i lockdown Oramai i "vizi" presi durante la pandemia sono diventati abitudini: ogni giorno passiamo online tra le quattro e le sei ore.
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.

Claudio Marchisio

Incontro col centrocampista della nazionale e della Juventus. La forza gentile che ribalta tutti gli stereotipi sui calciatori.

25 Gennaio 2013

Consiglio per i vari forum sulla famiglia che vogliono sponsorizzare fra i giovanissimi il valore del vecchio e caro nucleo familiare: il numero 8 juventino è il vostro testimonial ideale.
Pensateci la prossima volta che, scuotendo la testa, ripeterete stancamente indignati che i giovani non credono più a niente, le ragazzine vogliono fare le veline, i maschi i calciatori. Perché, come se foste un Vidal o un Pirlo qualsiasi (ammesso che esistano dei Pirlo e dei Vidal qualsiasi), potreste arrivare rapidamente a considerare che il vostro compagno di battaglia ideale forse è proprio un calciatore, ha 27 anni, e di professione fa il numero 8 della Juventus FC: «Gioco a calcio da sempre e, quando ho iniziato le superiori, come per tutti è stato un periodo in cui sono cambiato molto, ho fatto nuove amicizie, nascevano i primi amori – racconta a Studio Claudio Marchisio seduto comodamente ma compostamente sul divano post allenamento – e dentro la mia testa capivo che stavo crescendo e mi chiedevo se non avessi forse voglia o bisogno di fare altro. Mi allenavo già cinque volte alla settimana abitando a 50km dal campo, e non avevo tempo per uscire, per farmi un amico del cuore con cui studiare assieme il pomeriggio. Un giorno in macchina, parlando con mia mamma – che per inciso aveva lasciato il lavoro di assicuratrice per seguirmi nella mia avventura – le dissi che io sinceramente avrei voluto più tempo libero per me. E lì mia madre, senza pressioni, mi disse che dovevo ovviamente scegliere io con la mia testa ma di tenere presente che i sacrifici oggi portano sempre a qualcosa di buono domani. E aveva ragione. Non risposi niente sul momento, credo. Io non sono uno che parla molto, sono un tipo un po’ chiuso, ma poi lavoro mentalmente sui consigli. E quello fu preziosissimo, mi ha portato dove sono oggi. Penso ai tanti compagni che venivano da fuori e, nelle piccole scelte di tutti i giorni, negli anni dei grandi dubbi, non hanno avuto la grandissima fortuna che ho avuto io di avere una famiglia così vicina e così presente. Fondamentale».

Fondamentale è un aggettivo che Marchisio usa tre volte durante la nostra conversazione: quando parla della famiglia appunto, quando parla di Torino – «la mia città, un posto magico che è migliorato tantissimo, dove c’è tutto ma che sa rispettare la voglia di tempo libero di un calciatore» – ma soprattutto quando parla di Juventus. Chiedere a Marchisio quanto conti la Juve per lui, è retorica simile al domandare alla Regina Elisabetta quanto abbia contato l’essere inglese nella sua vita: tutto, ovviamente. «La Juventus è il massimo. È sempre stato il mio sogno principale da bambino: ho iniziato alla Juve nel ‘93, a sei anni, e quando ci sono arrivato non c’era assolutamente l’idea di arrivare in prima squadra e fare il calciatore. Era solo un bel modo di giocare, per giunta con il privilegio di poterlo fare con la maglia della squadra del cuore. Man mano che passavano gli anni il gioco si è trasformato in passione e poi in professione». E ora? «Il mio obiettivo è cercar di fare tutta la mia carriera alla Juve. Si parla di bandiere che non ci sono più, di calcio globale che cambia, di valori che si sarebbero persi. Io ho solo in mente di fare il numero più alto di presenze con questa maglia. Sarebbe il massimo per me: diventare una bandiera della Juve. Vorrei poter non andare più via. Del resto ho fatto solo un anno fuori, ad Empoli nel 2007/2008; non lo rimpiango perché mi ha fatto crescere tantissimo come uomo, ma se non ci fosse stato sarebbe stato perfetto».

Già, Empoli. Cinque anni fa, eppure sembra un’altra era calcistica. La Juventus ha da poco concluso il primo campionato di serie B della sua storia con una promozione che deve, non si sa ancora in quale misura, costituire la pietra miliare della difficile ricostruzione dalle macerie di Calciopoli. I campioni dell’era Capello partiti in fretta e furia l’anno prima sono lontani dagli occhi e dal cuore, quelli rimasti nella serie cadetta entrati invece probabilmente per sempre nella pelle dei tifosi bianconeri. Lo sgomento surreale delle sgambate a Crotone e Rimini, si è rivelato, fra lo scherno sentimentalpopolare dei tifosi altrui, ottimo cemento di affetti e consapevolezza di un’appartenenza unica. Ora mancano i risultati e le facce che li rappresentino perché, se è vero quel che diceva Boniperti e quel che la Juve da questa stagione porta scritto all’interno del colletto delle divise ufficiali e cioè che qui “vincere è l’unica cosa che conta”, c’è bisogno di profili con gli occhi di tigre di lippiana memoria e lo stampo di famiglia marchiato a fuoco. Periodo difficilissimo, in cui la società lavora duro per tornare al vertice. Lo slalom fra i mille intoppi, a guardarlo oggi, dove è servito a qualcosa, è sicuramente nel riuscire a forgiare una generazione che ha dovuto crescere di colpo, forzare i tempi e accomodarsi ancora in fasce nello scomodo olimpo che il popolo bianconero riserva a pochissimi. E Marchisio oggi, che quella generazione la rappresenta, è perfettamente consapevole di questo percorso: «La possibilità di mettersi in mostra è stata decisiva per noi. C’era la possibilità di arrivare in alto in poco tempo. Poi, sarà banale, ma è vero che se le occasioni arrivano bisogna poi anche saperle sfruttare. Io in quegli anni sono cresciuto in fretta: finita l’esperienza con la squadra primavera è scoppiata Calciopoli, poi un anno di B con la Juve, poi di corsa ad Empoli con la mia futura moglie, da soli, fuori di casa per la prima volta. Neanche il tempo di accorgersene e poi il ritorno alla base, la nazionale, la Champions, il matrimonio, i figli. In pochi anni sono cresciuto talmente tanto che a volte mi chiedo se mi sono davvero goduto quegli anni, che forse andrebbero vissuti in modo diverso e con più spensieratezza».

Sembra il ritratto del “soldatino”, il profilo del tipo di giocatore juventino grigio e intruppato di cui ha parlato, in modo dispregiativo, Antonio Cassano proprio nei giorni del nostro incontro col centrocampista bianconero. Che a proposito commenta: «Può essere fraintesa, ma la parola soldatini non mi dà così fastidio. Quando si entra alla Juve, si entra in una famiglia, si cresce assieme seguendo determinate regole. Il gruppo unito, dai vertici all’ultimo di noi, è la forza di questa Juve e di quelle del passato. Ricordo gli Juve-Milan o gli Juve-Inter di quand’ero piccolo: sulla carta eravamo inferiori come rosa, ma poi alla fine vincevamo e il commento unanime era che la forza stava nel gruppo. Se per soldatino intendiamo questo, fiero di esserlo».

Serviti gli amanti del genio e della sregolatezza, due aggettivi che viaggiano raramente in coppia da queste parti, alla faccia dei romanzieri stucchevoli dei Maradona, delle cassanate e del calcio che fu.

Questa è la Juve, piaccia o meno. Vincere è l’unica cosa che. Occhio al numero 8.

Foto di Guido Gazzilli
Dal numero 11 di Studio

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