Cultura | Arte

Claes Oldenburg è stato molto di più dell’ago di Cadorna

Le opere meno conosciute dell'artista morto il 18 luglio a 93 anni sono molto più piccole ma altrettanto preziose per capire il processo intellettuale che l'ha portato a diventare un genio della Pop Art.

di Clara Mazzoleni

«Quando mi viene servito un piatto di cibo, vedo sagome e forme, e a volte non so se mangiarlo o guardarlo», aveva detto una volta Claes Oldenburg. Non a caso le sue opere più belle sono quelle a tema alimentare: dalle sculture “Floor Burger”, “Floor Cake” e “Floor Cone”, esposte nel 1962 alla Green Gallery di Manhattan, al famoso cono di Colonia del 2001, un gigantesco cono gelato spiaccicato sul tetto della Neumarkt Galerie. La storia di queste opere inizia nel 1961: l’artista trentaduenne Claes Oldenburg apre un negozio nel suo laboratorio nel Lower East Side di New York e lo chiama The Store: vende delle riproduzioni in gesso e cartapesta di generi alimentari e oggetti vari che sembrano la concretizzazione dei pasticci di un bambino: esposte tutte insieme, creano un effetto tra il comico e il creepy. Per la mostra dell’anno dopo alla Green Gallery, che intitola The Store, decide di fare una parodia di quelle già assurde riproduzioni, e costruisce una versione molto grande di una torta, un panino e un gelato alla menta (che è quello che fa più ridere, perché è proprio brutto).

Anche il cono di Colonia è molto simpatico: come scriveva Riccardo Venturi in un articolo pubblicato su Doppiozero nel lontano 2012 in occasione di una mostra dedicata alle opere meno conosciute dell’artista, Claes Oldenburg. The Sixties, la forma piramidale della scultura riprende le guglie della cattedrale della città, mentre il nome “cone” entra in assonanza con “Cologne”: il cono di Colonia è una delle opere con cui Oldenburg ha rivoluzionato la tradizione della scultura monumentale. Un altro enorme esempio a tema “cibo” è la splendida fontana Spoonbridge and Cherry apparsa nel 2006 nel Minneapolis Sculpture Garden. Così come le altre sue opere giganti, Oldenburg la realizzò insieme all’amatissima moglie e collaboratrice Coosje van Bruggen, morta nel 2009, a 66 anni, per un tumore al seno. Claes e Coosje si erano conosciuti in occasione della prima grande retrospettiva di lui allo Stedelijk Museum in Amsterdam, di cui lei era una curatrice. Si erano sposati nel 1977. Claes Oldenburg, morto il 18 luglio a 93 anni nella sua casa a Manhattan in seguito a complicazioni dovute a una caduta, era sopravvissuto anche al fratello minore Richard, morto nel 2018, a 84 anni, per un infarto. Nati entrambi a Stoccolma, i bambini si erano trasferiti negli Usa da piccoli – il padre era un diplomatico, la madre una cantante d’opera e un’artista – e da adulti avevano totalmente conquistato la scena artistica di New York: tra il 1972 e il 1995, mentre Claes diventava uno degli artisti più importanti del mondo, Richard faceva il direttore del MoMA.

Visto che le sue opere degli anni Sessanta sono troppo fragili per viaggiare, Oldenburg è conosciuto soprattutto per le  sculture enormi della seconda fase della sua carriera, dagli anni Ottanta in poi. Per noi che viviamo a Milano, è «quello dell’ago della stazione Cadorna». Per alcuni è una delle sue opere meno riuscite, per altri è bellissima: quel che non si può negare è che rappresenta perfettamente Milano, forse ancora più del dito di Cattelan in Piazza Affari e della mela di Pistoletto in Stazione Centrale. Divisa in due parti, “ago con filo” e “nodo” (posizionati così per suggerire un collegamento che non possiamo vedere, perché è sottoterra, proprio come la metropolitana), la scultura ha diversi significati simbolici: i colori giallo, verde e rosso non rappresentano il rastafarianesimo, ma le linee della metro milanese (bisognerebbe aggiungere il lilla: così sembrerebbe quasi arcobaleno, per la gioia del sindaco). Apparsa nel 2000, celebra Milano come capitale della moda, sottolinea la laboriosità dei suoi abitanti e, come sottolineato da Gae Aulenti, responsabile del progetto di modernizzazione della Stazione e della piazza, rimanda allo stemma della città, il biscione degli Sforza.

Oltre a riguardare le sue meravigliose opere degli anni Sessanta, un modo per rendere omaggio al grande artista è guardare il film di un’altra bravissima artista, Tacita Dean, dedicato. Datato 2011, Manhattan Mouse Museum è un film di 16 minuti che mostra Oldenburg mentre maneggia e spolvera delicatamente i piccoli oggetti sugli scaffali. Il Mouse Museum del titolo era un padiglione a forma di Topolino pieno di teche, in cui l’artista esponeva le sue riproduzioni e anche gli oggetti originali. Così come la mostra The Sixties, il film si discosta dall’iconografia chiassosa e monumentale a cui l’artista viene solitamente associato, ma indaga il processo intellettuale al tempo stesso geniale e semplicissimo con cui decise di trasformare oggetti quotidiani in straordinarie forme scultoree e diventare un genio della Pop Art.