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00:11 martedì 21 ottobre 2025
La prima serie tv tratta dal Signore delle mosche l’ha realizzata Jack Thorne, il creatore di Adolescence Con la consulenza degli eredi di William Golding, per garantire la massima fedeltà della serie, prodotta da Bbc, ai temi e alle atmosfere del romanzo.
Il figlio del fondatore di Mango sarebbe sospettato nell’indagine sulla morte del padre Lo riportano i quotidiani El Pais e La Vanguardia: la polizia starebbe verificando delle supposte incongruenze nelle dichiarazioni di Jonathan Andic relative alle circostanze della morte del padre Isak.
È morta Sofia Corradi, la donna che ha inventato l’Erasmus “per colpa” della burocrazia italiana Aveva 91 anni e l'idea dell'Erasmus le venne quando in Italia non le furono riconosciuti degli esami universitari fatti negli Usa.
Persino la ministra della Cultura francese ha ammesso che i ladri che hanno rubato i gioielli dal Louvre sono stati «molto professionali» Una sconsolata Rachida Dati ha dovuto ammettere che i ladri hanno agito con calma, senza violenza e dimostrandosi molto esperti.
Gli addetti stampa della Casa Bianca hanno risposto «tua madre» a una normalissima domanda di un giornalista durante una conferenza stampa Una domanda sul vertice tra Trump, Putin e Zelensky a Budapest, che Karoline Leavitt e Stephen Cheung hanno preso molto male, a quanto pare.
Hollywood non riesce a capire se Una battaglia dopo l’altra è un flop o un successo Il film di Anderson sta incassando molto più del previsto, ma per il produttore Warner Bros. resterà una perdita di 100 milioni di dollari. 
La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli animali sono bagagli e quindi può capitare che le compagnie aeree li perdano Il risarcimento per il loro smarrimento è quindi lo stesso di quello per una valigia, dice una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
È uscito il memoir postumo di Virginia Giuffre, la principale accusatrice di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl e racconta tutti gli abusi e le violenze subiti da Giuffré per mano di Epstein e dei suoi "clienti".

In che città vogliamo vivere

Il Coronavirus potrebbe avere decretato il tramonto delle Smart city e l’ascesa di un nuovo stile di vita.

18 Maggio 2020

Case di legno a impatto zero, nuove formule abitative, semafori intelligenti in grado di adattarsi al traffico. Doveva essere il rilancio del waterfront di Toronto, un progetto sostenuto dal governo canadese e portato avanti da Sidewalk Labs, società del gruppo Alphabet, che a sua volta controlla Google. La smart city più smart del mondo, insomma, votata al rispetto dell’ambiente e a una nuova idea di vita cittadina. Parte del megaprogetto, la costruzione di un Innovative Design and Economic Acceleration (IDEA) District, uber-distretto innovativo «in grado di attirare migliaia di posti di lavoro», e di un River District in cui avrebbe trovato casa Google Canada, oltre che un Innovation Campus e un parco da 16 ettari a dare ossigeno al tutto.

I dati previsti, sempre forniti da Sidewalk Labs, erano notevoli: 93mila posti di lavoro tra fissi e part time e un giro d’affari da 14,2 miliardi entro il 2040 con ben 4,3 miliardi di dollari in tasse. Un progetto che coniugava innovazione, spirito imprenditoriale e sostenibilità: una sede di Google fatta quartiere. Se vi siete affezionati al progetto e volete visitarlo, ho però una brutta notizia: lo scorso sette maggio, l’abbandono di Toronto e Quayside da parte di Sidewalk Labs. La causa ufficiale è la pandemia causata dal Coronavirus e i suoi effetti economici, come ha spiegato il direttore dell’azienda Dan Doctoroff, anche se il progetto nato nel 2016 ha in realtà avuto una vita breve e tortuosa anche prima del Covid-19. Ci sono state infatti le proteste cittadine e delle associazioni come la Canadian Civil Liberties Association, poi le accuse di aver svenduto un pezzo di città a privati, accompagnate dai dubbi sulla privacy e sull’utilizzo che la controllata da Google avrebbe fatto dei dati degli utenti, pardon cittadini.

Ma questo è il passato. In questa sede a noi interessa piuttosto notare come il tramonto di questa smart city sia coinciso con l’avvento di un’altra idea di città nata da una serie di nuove e impellenti esigenze. Proposte semplici ma profonde, come il piano della città di Milano per ampliare le piste ciclabili e la superficie pedonale, a cui fa sponda oltremanica un vasto piano britannico simile. Del piano milanese abbiamo già parlato, con un progetto comunale di nuove piste ciclabili e maggior spazio pubblico per le tante attività che non potranno utilizzare i loro locali; ma anche Londra si muove con un proposte simili, prevedendo un volume di traffico su bici fino a dieci volte superiore a quello pre-pandemico.

È come se, dopo anni di progettazione e #dreaming, la vera natura di una città “smart” si sia concretizzata davanti ai nostri occhi, costringendoci a guardare: un luogo più vivibile non ha per forza bisogno di semafori iperconnessi o lampioni abbonati a Spotify. Sorpresa: alle volte basta un banale e per-niente-smart piano di piste ciclabili per rivoluzionare l’assetto urbano di una città, togliendo spazio alle auto e incentivando i mezzi alternativi. La pandemia sembra aver velocizzato alcuni trend attivi da tempo, come il graduale abbandono delle automobili come mezzo definitivo per la generazione dei Millennial, una nuova coscienza ambientalista e una nuova età dell’oro per le città in tutto il mondo. Sono quest’ultime quindi a dover agire per rimanere vivibili anche in tempi di distanziamento sociale.

È strano riguardare le foto del progetto di Alphabet a Toronto: sembra un sogno futuristico palesemente figlio di una cultura precisa, quella della Silicon Valley, e reso inadeguato in pochi giorni dal frenetico progredire della Storia. Una possibile risposta a una domanda che nel frattempo è cambiata, e per sempre. Ogni utopia, del resto, è figlia del tempo in cui viene sognata. È come con i telefoni: da una parte gli smartphone, potenti, in grado di fare tutto, ma delicati; dall’altra i cosiddetti “dumbphone”: dispositivi vecchio stile, meno potenti ma resistenti come un Nokia 3310. Ecco, c’è qualcosa di “dumb” – sia detto con amore e affetto – nella city di cui sembra esserci bisogno oggi: più umana e meno accessoriata, più vivibile e alla portata di tutti. Dopo anni di smart, visti i risultati, è il momento di cambiare.

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