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La copertina del nuovo album di Sabrina Carpenter sta facendo litigare i suoi fan A infiammare il dibattito è la combinazione tra il titolo e la foto in cui la popstar è a gattoni davanti a un uomo.
Un Labubu alto poco più di un metro è stato venduto per centosettantamila dollari È l’offerta più alta arrivata alla prima asta al mondo dedicata alle figures Pop Mart: tutti i 48 Labubu sono stati battuti a prezzi altissimi.
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È partita la Marcia mondiale per Gaza, con l’obiettivo di interrompere l’assedio di Israele alla Striscia Al momento sono in viaggio mille persone, verso Rafah. Altre migliaia dovrebbero unirsi alla Marcia al Cairo, ma gli ostacoli sono molti.

Tutte le strade di Bill Cunningham

È morto a 87 anni il fotografo che ha raccontato per cinque coloratissimi decenni l’evoluzione dello stile a New York.

27 Giugno 2016

Bill Cunningham, storico foto-reporter del New York Times, si è spento sabato sera all’età di 87 anni, dopo essere stato ricoverato a causa di un infarto il giorno precedente. Se ne va un interprete eccezionale, pioniere della street photography, che ha raccontato per immagini l’evoluzione dello stile per le strade di New York, l’occhio attento e discreto che per quasi cinquant’anni ha scrutato e immortalato la sua città elettiva e i suoi passanti. Un occhio attratto più dai vestiti che da chi li indossava, celebrity comprese: «La differenza per me sta nel fatto che non vedo la gente che fotografo. Tutto quello che vedo sono i vestiti. Mi interessano le persone che stanno bene, cerco quelli che risaltano nella mischia», ha scritto di se stesso in un profilo sul Times del 2002.

Come quella volta che un cappotto, e il modo in cui ricadeva sulla spalla della sua proprietaria, aveva catturato la sua attenzione: erano i primi anni Settanta e Cunningham aveva iniziato a fotografare quasi ossessivamente dal 1966, quando il fotografo David Montgomery, che aveva conosciuto mentre lavorava per il Chicago Tribune, gli aveva regalato una macchina fotografica, una piccola Olympus Pen-D che non costava più di trentacinque dollari, invitandolo a esercitarsi. Dopo aver scattato la foto alla signora, si era accorto che le persone si voltavano per guardarla mentre attraversavano la strada: che tutti avessero notato quel meraviglioso dettaglio della spalla? No, quella signora era semplicemente Greta Garbo. Quando l’editor del Daily News Arthur Gelb vide la fotografia, gli chiese se aveva altri lavori di quel tipo. Fu allora che Cunningham tirò fuori tutti i newyorkesi che il suo obiettivo aveva collezionato nel tempo, fra i quali spuntavano anche il produttore cinematografico e filantropo Cornelius Vanderbilt Whitney, il re e la regina di Spagna, «uno dei Kennedy con un cappotto di pelliccia», Farrah Fawcett.

I volti conosciuti, però, continuavano a interessarlo di sfuggita, solo nella misura in cui qualcosa del loro look riuscisse a risaltare anche in una strada affollata, perché è lì che le cose migliori succedono. Solo per le strade di una città puoi renderti conto di come le persone si appropriano di quello che gli stilisti propongono in passerella, solo lì puoi vedere cosa di un disegno o di un modello diventa realtà, ed è per questi motivi che il timido Bill, giacca utilitaria blu elettrico e scarpe da ginnastica nere, era sempre lì, fra la Fitfth Avenue e la 57esima, con la sua piccola macchina fotografica appesa al collo. Come nota Véronique Hyland sul New York, Bill aveva il fiuto anche per quello che in passerella ci sarebbe finito dopo esser passato sui pendolari frettolosi nelle fredde mattine metropolitane: i cappotti portati sopra le sneakers, per esempio, oppure la shopping bag del MoMA, che si riceve in regalo solo quando si compra il catalogo di una mostra, e così via, dagli uomini d’affari in skate negli anni Ottanta durante gli scioperi dei mezzi pubblici alle giacche militari sovietiche e le T-Shirt indossate sotto gli abiti con le spalline sottili dell’epoca grunge.

L’aspetto interessante della fotografia di Bill Cunningham sta proprio nella precisione di quell’osservazione certosina, che riesce a isolare il particolare nello scorrere incessante della routine degli spazi urbani e a diventare perciò quasi uno studio antropologico. «Non c’è nulla di nuovo in quest’idea, le persone hanno sempre fotografato le strade sin da quando la camera è stata inventata. Lo facevano già alle corse dei cavalli all’inizio del Ventesimo secolo», ricorda lui. Come Vivian Maier, misteriosa bambinaia capace di catturare di nascosto volti di donne, uomini e bambini che non avrebbero sfigurato sulla copertina di Vogue, Cunningham si lascia affascinare da quello che le persone indossano nella vita di tutti i giorni, in un’estenuante e continua ricerca di bellezza.

Marc Jacobs Collection - Front Row - Fall 2013

Arrivato diciannovenne a New York nel 1948, dopo un semestre passato a Harvard – «Non faceva per me» – Bill ci mette un po’ a trovare il mezzo migliore attraverso il quale veicolare la sua passione per le donne ben vestite e i loro cappelli, gli stessi che attiravano la sua attenzione quando di domenica andava in chiesa da piccolo. Disegnerà cappelli per le ricche clienti della boutique di abiti su misura Chez Ninon e lì avrà la sua prima folgorazione con l’élite newyorkese e il suo gusto, pur ignorando il più delle volte il nome delle signore alle quali metteva in testa le sue creazioni. Per mantenersi farà più lavori e, dopo la chiusura del suo mini atelier e l’esperienza nella guerra di Corea, proverà a scrivere di moda.

Quando John Fairchild di Women’s Wear Daily gli bocciò un pezzo nel quale indicava Courrèges come il vero rivoluzionario della moda di quel periodo, dicendogli che il nome su cui puntare era invece quello di Yves Saint Laurent, Cunningham va a lavorare per Eleanor Nangle e il Chicago Tribune, dove l’incontro con Montgomery di cui sopra e quella piccola Olympus daranno il via alla sua carriera. Le prime foto della sua fortunata e longeva rubrica per il Times risalgono all’inizio degli anni Settanta e non sono che una piccola parte del suo lavoro, che negli anni è stato celebrato da diverse retrospettive e documentari.

«La maggior parte delle mie fotografie non viene pubblicata. Io cerco di documentare le cose che credo siano importanti. Sono stato al Pride sin dalle sue prime edizioni, ad esempio, era qualcosa che non avevamo mai visto (…) Faccio quello che faccio per me stesso, davvero». Robin Givhan sul Washington Post ne ha elogiato lo stile sobrio e l’etica giornalistica impeccabile, valore che oggi sembra essersi diluito fra sponsorizzazioni editoriali e parate di finto street style fuori dalle sfilate, ricordandoci come d’ora in poi la fashion week sarà un po’ più triste senza quella giacca blu curva su un paio di scarpe che solo lui poteva aver notato.

Fotografie Getty Images. 
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