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12:21 martedì 17 giugno 2025
Pixar ha annunciato un film con protagonista un gatto nero e tutti hanno pensato che ricorda molto un altro film con protagonista un gatto nero Il film Disney-Pixar si intitola Gatto, è ambientato a Venezia e lo dirige Enrico Casarosa. Il film al quale viene accostato lo potete indovinare facilmente.
Tra Italia, Spagna e Portogallo si è tenuta una delle più grandi proteste del movimento contro l’overtourism Armati di pistole ad acqua, trolley e santini, i manifestanti sono scesi in piazza per tutto il fine settimana appena trascorso.
Will Smith ha detto che rifiutò la parte di protagonista in Inception perché non capiva la trama Christopher Nolan gli aveva offerto il ruolo, ma Smith disse di no perché nonostante le spiegazioni del regista la storia proprio non lo convinceva.
Hbo ha fatto un documentario per spiegare Amanda Lear e la tv italiana agli americani Si intitola Enigma, negli Usa uscirà a fine giugno e nel trailer ci sono anche Domenica In, Mara Venier e Gianni Boncompagni.
Le prime foto della serie di Ryan Murphy su JFK Junior e Carolyn Bessette non sono piaciute a nessuno La nuova serie American Love Story, ennesimo progetto di Ryan Murphy, debutterà su FX il giorno di San Valentino, nel 2026.
Il video del sassofonista che suona a un festa mentre i missili iraniani colpiscono Israele è assurdo ma vero È stato girato durante una festa in un locale di Beirut: si vedono benissimo i missili in cielo, le persone che riprendono tutto, la musica che va.
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.

Charlie Hebdo e la colpa di una vignetta

"Certo, ma hanno superato i limiti": la tesi secondo cui il settimanale francese se la sia un po' andata a cercare è diffusa al punto da non essere relegata al chiacchiericcio: ha raggiunto il New York Times e il Financial Times.

09 Gennaio 2015

All’indomani dell’attentato terroristico di Parigi in cui due estremisti islamici hanno preso d’assalto la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo uccidendo 12 persone, la reazione della grande stampa internazionale è unanime nel condannare la strage e nel manifestare solidarietà alla testata francese.

Tuttavia sorprende che, anche su media prestigiosi, abbiano trovato spazio argomentazioni che addossano una parte della responsabilità al giornale satirico francese, che avrebbe, come si dice, “passato il limite”. È successo su testate del calibro del New York Times e del Financial Times, dove sono apparsi alcuni pezzi (in alcuni casi poi rimossi o modificati) estremamente critici nei confronti di Charlie Hebdo. Tali pezzi, è bene notare, non costituiscono le posizioni ufficiali dei due media, ma il solo fatto che siano stati pubblicati – la dimostrazione che certe idee sono diffuse anche tra persone colte e informate dei fatti come si suppongono essere firme ed editorialisti di punta, nonché che trovano cittadinanza anche su giornali che non le condividono – fa sì che valga la pena discuterne.

New York Times

Sul New York Times è comparso a poche ore dalla strage un articolo di Steven Erlanger e Katrin Bennhold in cui si definiva il Charlie Hebdo una testata dallo stile «rancoroso e volgare», diventata il «simbolo di un laicismo aggressivo». Il punto del commento, intitolato “‘Dangerous Moment’ for Europe, as Fear and Resentment Grow”, è che l’attentato è avvenuto in un momento delicato per l’Europa, dove si stanno rafforzando il sentimento anti-islamico e i partiti di estrema destra: «Il raid di mercoledì, portato avanti con un sofisticato stile militare, contro un giornale francese noto per fare satira sull’Islam, ha scosso un continente che stava già ribollendo, in alcune zone, di risentimento contro gli immigrati, [finendo per] rafforzare partiti nazionalisti di estrema destra, come il francese Front National», scrivono  Erlanger e Bennhold.

Alcuni passaggi, senza mai avanzare apertamente l’ipotesi che il giornale se la sia “andata a cercare”, lasciano intendere che comunque il Charlie Hebdo avrebbe superato i limiti: «Nel suo sforzo, rancoroso, volgare e a tratti motivato da ragioni commerciali, di offendere ogni figura religiosa islamica, incluso il profeta Maometto, il giornale Charlie Hebdo era diventato il simbolo di un laicismo francese aggressivo, che vedeva nell’ascesa dell’Islam conservatore il suo nemico più grande».

Inoltre lo stesso pezzo presenta, in un passaggio, l’attacco terroristico come una forma di risposta a questo atteggiamento e cita un docente universitario che definisce la satira anti-islamica un atto di guerra, almeno nella percezione degli estremisti: «Mercoledì gli estremisti islamici hanno lanciato la loro rappresaglia (“struck back” nell’originale). ‘Questo ateismo laico è un atto di guerra in questo contesto’, ha detto Andrew Hussey, un docente di studi postcoloniali basato a Parigi».

Nonostante ciò, la direzione della testata ha pubblicato un editoriale di condanna inequivoca all’attentato e in cui si rimandava al mittente l’ipotesi che la responsabilità del massacro fosse imputabile al comportamento dei vignettisti francesi: «È assurdo ipotizzare che il modo di evitare attacchi terroristi sia permettere ai terroristi di dettare gli standard». Inoltre il giornale newyorchese ha pubblicato un articolo che loda il Charlie Ebdo come simbolo della libertà di stampa.
 
Financial Times

Il Financial Times ha pubblicato un editoriale a firma di Tony Barber, Europe editor della testata. Pur in seguito editato, il pezzo di commento tradisce una prospettiva di fondo riassumibile in: certo, quanto successo a Parigi è terribile, ma quelli di Charlie Hebdo hanno valicato i limiti imposti dal buonsenso. La versione iniziale dell’articolo diceva: «Charlie Hebdo ha una lunga storia di prese in giro, tormenti e punzecchiature dei musulmani francesi. Se il giornale si ferma appena prima degli insulti diretti, per converso non è il campione più convincente del principio della libertà di parola. La Francia è la terra di Voltaire, ma troppo spesso la follia editoriale ha avuto il sopravvento a Charlie Hebdo».


L’editoriale di Barber, prima che venisse editato.

Barber tiene quindi a precisare, probabilmente conscio della piega presa dal suo editoriale, che «con questo non si vuole giustificare in alcun modo gli assassini. Si tratta solo di dire che un po’ di buon senso sarebbe utile a testate come Charlie Hebdo e il danese Jyllands-Posten, che danno a intendere di far vincere la libertà provocando i musulmani, ma in realtà si comportano da stupidi». In realtà pare evidente che in quel “solo” ci sia una critica che colpisce più in profondità, sostenendo una logica che vuole vedere in un’astratta “prevenzione” il nocciolo della vicenda. Ma anche ponendo che la satira del settimanale francese sia fuori luogo, offensiva e di dubbio gusto – come in molti sostengono, non senza una qualche ragione – a Parigi non si può forse firmare vignette corrosive senza dover temere per la propria vita? Ci si può esimere dal farlo, ma l’argomentazione di fondo ricorda da vicino un tristemente famoso “ok, ma anche lei poteva evitare di andare in giro in minigonna”.

Quando, nel 2011, gli uffici di Charlie Hebdo vennero colpiti da una molotov e rischiarono di essere distrutti da un incendio, l’allora capo della divisione parigina del magazine Time, Bruce Crumley, scrisse che le linee editoriali di giornali come quello «chiamano apertamente le risposte violente degli estremisti che i loro autori dichiarano con orgoglio di voler sfidare in nome del bene comune». Allora non ci furono morti, ma il punto di vista è più o meno lo stesso. Che ruolo hanno giocato le vignette di Charlie Hebdo nel massacro di Charlie Hebdo? È una questione lecita e persino di facile soluzione. Ma siamo sicuri che sia la prima che dobbiamo porci?
 

Nell’immagine in evidenza: Stephane Charbonnier, in arte Charb, era il direttore di Charlie Hebdo.

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