Cultura | Dal numero

Avere vent’anni nel 2020: Chadia Rodriguez

La cover story del numero in edicola, in cui abbiamo raccontato la prima generazione che ha avuto a che a fare con la sua immagine pubblica fin dall’adolescenza.

di Clara Mazzoleni

Chadia indossa MSGM. Foto di Zoe Natale Mannella, moda di Francesca Cisani

La casa è buia, le persiane abbassate. Sono le 3 del pomeriggio. Chadia Rodriguez è avvolta in una vestaglia di spugna verde fosforescente, sotto ha un pigiama di Snoopy rosso, ai piedi delle pantofole pelose di Fendi. Forse è in hangover, ieri sera è andata a ballare. Per prima cosa mi presenta il suo gatto. Si chiama Grammo, gliel’ha regalato il suo ex. Ha un account Instagram personale con 8 mila follower (la sua padrona ne ha quasi 500 mila): «Ciao a tutti amici io sono Grammo, il gattino di Chadia Rodriguez», c’è scritto sul profilo. È bianco e ha una testa rotonda con le orecchie piccolissime. Sembra  finto. Le mensole sono piene di peluche a forma di unicorno. Il muro davanti al letto è dipinto coi colori dell’arcobaleno, «l’ha fatto un mio amico, lo stesso che ha fatto quel quadro». Anche nel quadro c’è un unicorno, e una scritta rosa: «She rides my dick like a goddamn pony». Sembra la camera di un’adolescente, ma è la casa in cui Chadia vive da sola.

«Dove sono i tuoi genitori?», le chiedeva qualcuno in una storia Instagram. È così strano che una ragazza di 21 anni sia autosufficiente? Chadia aveva risposto un po’ infastidita: «I miei sono a Torino, la città in cui abitano». E la città dove, fino a 19 anni, ha abitato anche lei, che è arrivata in Italia quand’era piccola. È nata ad Almería, in Spagna, suo padre e sua madre sono marocchini. «Mia madre mi ha chiamato Chadia, che è il nome di una cantante e attrice egiziana. Da piccola usavo il deodorante spray come microfono e cantavo davanti allo specchio. I miei genitori però dicevano che avrei dovuto fare l’avvocato perché parlavo tantissimo. Di pomeriggio giocavo a calcio coi maschi, in un campo vicino a casa. Ero entrata nella squadra femminile della Juventus come terzino e fascia, mi avevano notato durante una partita, poi ho avuto un infortunio e ho dovuto smettere. Ho provato a studiare in un istituto tecnico, Costruzioni Aeronautiche. Una scuola maschile, pochissime ragazze. Ma la scuola non mi piaceva per niente, non ci andavo molto. Torino tirava fuori il peggio di me, è stato difficile anche per i miei… sognavo una città dove avrei finalmente potuto essere me stessa e fare quello che volevo. E in effetti a Milano è stato così: qui, adesso, sento di poter finalmente esprimere al meglio la persona che sono».

Unghie lunghissime dipinte d’oro, un lecca-lecca appoggiato alle labbra: sulla copertina di Avere 20 anni, il suo primo ep, uscito l’11 gennaio 2019, Chadia Rodriguez sostiene lo sguardo del pubblico. Avere 20 anni raccoglie tutti i singoli usciti nel 2018, le canzoni che l’hanno resa il nuovo punto di riferimento della scena trap femminile italiana e che, come si evince dal titolo, insieme provano a descrivere cosa significa essere una ragazza oggi e, nel caso di Chadia, cosa vuol dire essere una ragazza indipendente, e perseguire la strada del successo senza tradire e anzi, magnificando, un’indole libera e indisciplinata. Oltre a raccogliere le canzoni già uscite, l’ep lancia un singolo inedito, “Sarebbe comodo”, il cui video diventa virale in poche ore. «Sono una che si rialza quando cade/Per no con le botte di mio padre/Per no con i giudizi dei maschi/Mangiata viva dagli occhi degli altri». Nel video, il viso e le spalle nude di Chadia emergono da uno sfondo nero. L’attenzione si concentra sulla sua faccia espressiva: gli occhi verdi, i denti storti, le smor e di chi piange mentre ripete ossessivamente, nel ritornello, di non piangere mai. Mentre lei canta, una dopo l’altra delle mani che provengono dall’esterno dell’inquadratura puntano alla sua testa diversi modelli di pistole. Alla fine la luce si spegne e si sentono gli spari, tutti insieme.

«Quando è uscito “Dale”, il mio primissimo video, ero terrorizzata», mi confida, dopo che abbiamo passato mezz’ora a parlare di denti. Se li è fatti ricostruire in Romania e non ha problemi nel raccontarmi l’operazione nei minimi dettagli. «Qui in Italia», aggiunge, «mi hanno proposto soluzioni lentissime… servivano minimo un paio d’anni. Allora sono andata a Bucarest: in una settimana il Dottor Yousif mi ha rifatto il sorriso. Non mi sono ancora abituata. Mi guardo allo specchio, sorrido e rimango stupita». Non ha pazienza, dice, e lo ribadisce parlando del suo primo viaggio fuori dall’Europa. Netflix l’ha scelta come ospite speciale del video di lancio della seconda stagione di Narcos e l’ha fatta volare a Città del Messico, dove ha anche girato il video della canzone “La voce di Chadia”, uscito l’11 febbraio. «È stato il primo volo lungo della mia vita Vado in ansia quando devo andare a registrare in studio, immagina come mi sono sentita prima di partire per il Messico. Odio le attese, quindi ho dormito tutto il tempo. Mi svegliavo e chiedevo a Max, il mio manager: “siamo arrivati?”. No, diceva lui. Allora mi rimettevo a dormire».

“La voce di Chadia” è una canzone prepotente, aggressiva. Un po’ l’evoluzione di “Dale”, il suo primo singolo, che stupì per la sua irruenza, e perché a ostentare quell’atteggiamento di sfida era una ragazza. «Il giorno prima che uscisse ero terrorizzata. Avevo paura di sembrare una sfigata, soprattutto a chi mi conosceva da sempre». Quando il video è uscito su YouTube, Jake La Furia dei Club Dogo (il rapper che insieme a Big Fish, ex metà dei Sottotono, l’ha scoperta, prodotta e protetta) le ha consigliato di ignorare i commenti. «Sono andata subito a leggere: il primo commento era “troia 2.0”. E ha ispirato la mia canzone “Bitch 2.0”». Il pezzo controbatte all’assunto – tutto italiano – che se un rapper canta di soldi, sesso, droga e si atteggia a gangsta circondato da ragazze mezze nude è un  go, mentre se lo fa una donna è una puttana. «Ho pensato: “Ah, sì, sono una troia? Bene, me lo dico da sola, così non me lo devi dire tu”. Che poi nel 2020 cosa significa questa parola? Non significa nulla… è come dire “bidibibodibibù”. È questo che vorrei far capire alle ragazze come me: non c’è niente di sbagliato in nessuna di noi. E lo faccio con le canzoni perché la musica colpisce senza far male». Insulti, pareri, opinioni, giudizi, pistole puntate alla testa. Armi di distruzione trasformate in materiale di creazione.

Alcuni mi vengono a dire che invoglio le ragazzine a mostrarsi mezze nude, a fumare le canne… loro invece mi dicono che le ho aiutate a sentirsi più sicure

C’è chi la critica perché prima di approdare alla trap vendeva le sue foto sexy e posava come modella di nudo. L’ha fatto per soldi, certo, ma non solo. «Volevo imparare a sentirmi più a mio agio con il corpo, a sentirmi un tutt’uno. Mi è servito tantissimo… ognuno fa della sua evoluzione la sua rivoluzione». Non si sentiva a suo agio, prima? «Più che altro ero un maschiaccio, me ne sbattevo, vedevo le ragazzine intorno a me che impazzivano, improvvisamente ossessionate dai ragazzi, dal trucco, dai capelli… mi dicevo, ma perché devono diventare così stupide? Poi sono cresciuta anch’io e ho capito che quel gioco poteva trasformarsi in un’arma… anzi, più che un’arma una corazza, perché a volte mi consente di  tenermi stretto dentro quello che sono davvero e mostrare un’altra cosa». C’è chi la contesta perché si esprime in modo aggressivo e scurrile, “come un maschio”, perché non si scrive le canzoni da sola (l’aiutano Jake e Fish), perché usa troppo autotune, perché fa troppi live (centinaia), perché dopo i primi pezzi si è rilassata sfornando canzonette facili, “Coca-cola” e “Mangiauomini” (ma anche un pezzo con J-AX , “Pericoloso”, che parla dell’eterna guerra tra uomini e donne). «La gente è repressa e si sfoga… a volte leggendo gli insulti e le critiche arrivo a pensare: “Basta, non ce la faccio più”. Poi però mi ricordo il motivo per cui ho iniziato. Spesso quelli che mi insultano proiettano su di me qualcosa che vorrebbero dire a loro stessi. Ho imparato a lasciarli fare con una tranquillità infinita».

Le ragazzine usano i suoi pezzi per i balletti su TikTok e li cantano in playback, mimando le parole dei testi. Alcune però confondono “chiavami” con “chiamami”, e fanno con le dita il segno della cornetta del telefono. Altre indossano la t-shirt bianca con la scritta fucsia Bitch 2.0, che richiama il font di Barbie. Una volgarità gioiosa, allegra, spesso un po’ buffa. Un inno alla frivolezza, a una sana e sacrosanta pigrizia, a quell’amore folle nei confronti del corpo (proprio e altrui) che, alternato ai momenti di insicurezza, caratterizza lo sguardo di una ragazzina su sé stessa. «Studi e lavori, sei bravo pensi al futuro/ Io mi alzo alle quattro e ti mando una foto del culo». Ma anche: «Quanti ne ho avuti che non mi volevano bene/Quanti ne ho avuti che ancora mi chiamano baby/ Quanti hanno scritto il mio nome nel loro tattoo/Io vi amo tutti però amo me stessa di più». Tra le canzoni di Avere 20 anni c’era anche “Pastiglie”, che riprende il ritornello di un pezzo dei Prozac+ del 1996. L’idea è di Big Fish, che con i Prozac+ ha condiviso la Vox Pop, etichetta indipendente che durante gli anni Novanta produsse anche i Sottotono. Chadia è nata nel 1998. Lei non può ricordarlo, ma i Prozac+ venivano criticati tanto quanto lei oggi: si diceva che i tre amici di Pordenone (un ragazzo e due ragazze) non sapessero suonare né cantare, che i testi fossero idioti, con quelle vocali strascicate, ridicole, e che le canzoni invogliassero i giovani a drogarsi. Adesso sono diventati intoccabili, un sacro cimelio di quegli anni, e nessuno avrebbe il coraggio di contestare classici della musica punk come “An- gelo”, “Acida” o “Betty tossica”. «Grazie a Jake e a Fish ho capito quanto è importante, ancora più importante di quanto pensassi, circondarsi di persone che credono in te. Quando sei piccola e dici ai tuoi amici “da grande voglio fare questo”, ascolti le loro risposte: possono spronarti o demoralizzarti. Io non ho mai avuto intorno a me persone che mi spronassero: ho fatto tutto da sola. Poi ho conosciuto Jake e Fish. Loro hanno creduto in me da subito e mi hanno sostenuto, che è la parte più complicata, perché io sono complicata».

«La cosa che mi premeva di più quando ho cominciato», racconta, «era mandare un messaggio a chi come me a un certo punto ha iniziato a pensare di non avere grandi possibilità, e quindi magari si è messo a fare cazzate». Quando parla del passato le viene da piangere. Piange anche in una puntata di Sopra le righe, ospite di Sofia Viscardi sul suo canale YouTube Venti. «Ne ho viste di cose che fanno del male all’umore/Perciò farmi sbattere ore/Serve a farmi battere il cuore», canta in “Fumo bianco” (il video ha 13 milioni di visualizzazioni). Non sono tante le ragazze italiane che parlano di sesso in questo modo, forse nessuna. «Alcuni mi vengono a dire che invoglio le ragazzine a mostrarsi mezze nude, a fumare le canne… loro invece mi dicono che le ho aiutate a sentirsi più sicure, che ascoltando una mia canzone, magari, hanno trovato il coraggio di mettere una gonna più corta». Ci vuole coraggio per mettere una gonna più corta? «Certo. Ci dicono che abbiamo libertà di scelta e di opinione, ma non è così… c’è ancora un regolamento non scritto che ci opprime. Ogni volta che proviamo a esprimerci in modo veramente libero arriva qualcosa o qualcuno che cerca di bloccarci. Quando canto “fumare, scopare, mangiare per oggi mi basta” esprimo un pensiero normale, quotidiano, in cui tante ragazze della mia età (e non solo) si riconoscono. Eppure c’è ancora chi pensa che dire una cosa del genere sia poco “femminile”. Ecco, io sono sempre stata così. Quando qualcuno mi dice: quella è una cosa che fanno solo i maschi, puntualmente mi viene da dire: “Ah, sì? Adesso ti faccio vedere io”. Ti faccio un gol, ti faccio tunnel e poi vediamo… Con la trap è come col calcio… È una cosa da maschi? Adesso vi faccio vedere come riempio la casa di dischi d’oro».