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La quarta venuta di Boris

Intervista agli sceneggiatori Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che ci hanno raccontato com'è stato lavorare sulla serie senza Mattia Torre, spiegando Boris ai dirigenti americani di Disney+ e provando a convincere Wim Wenders a fare una comparsata.

di Gianmaria Tammaro

Boris è sempre stata una serie unica nel panorama italiano. Ha dato inizio a una rivoluzione di linguaggio e di intenzioni, e nel corso del tempo è riuscita a imporsi come un punto di riferimento all’interno della comunità degli addetti ai lavori. Il pubblico l’ha amata. Perché estrema, scorretta, feroce. Boris è come uno specchio, e in questo specchio si riflettono le assurdità della realtà, i paradossi del cinema e della televisione e la mediocrità dilagante in cui siamo tutti immersi. Non racconta unicamente la storia di un regista e della sua troupe; racconta uno spaccato preciso, profondo, di quello che siamo. Ed è per questo, probabilmente, che Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, i registi e sceneggiatori della quarta stagione che hanno creato Boris con Mattia Torre, hanno aspettato tanto per rimettere mano a questa storia.

«Non volevamo guastare la festa che Boris è stata», dice Ciarrapico. «Molte persone avevano quasi paura di vedere i nuovi episodi perché non volevano rovinare il ricordo che conservavano di questa serie. Ed è un aspetto che ci ha fatto molta impressione. Noi, come sceneggiatori, non ce ne siamo accorti subito. Perché, come si dice, nessuno ci si incula. Sono stati gli attori a farci capire la portata di Boris». Tormentoni, meme, clip condivise ogni giorno e ogni ora, e poi video, immagini, riferimenti. Non è un’esagerazione parlare di una cultura “borisiana” dello spettacolo, e non è un’esagerazione dire che la serie prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment, disponibile su Disney+, si è trasformata in un vero e proprio simbolo.

ⓢ Che sfide avete dovuto superare per riuscire a produrre questa quarta stagione?
Luca Vendruscolo: «Negli anni precedenti ci sono state delle idee. A volte venivano da noi, a volte da Lorenzo. Ma non si sono mai concretizzate. La verità è che non abbiamo mai preso in considerazione l’ipotesi di continuare. Non veramente. Anche dopo il rinnovato successo durante la pandemia, con l’arrivo su Netflix, sembrava tutt’altro che possibile. Dopo la scomparsa di Mattia, era diventato difficile anche solo immaginarla. Alla fine, però, ce l’abbiamo fatta. È stato Lorenzo a consigliarci di seguire questa strada; ci ha detto: usate i personaggi degli sceneggiatori per raccontare questa scomparsa. E così ci abbiamo provato, ed è andata liscia. È sempre difficile accettare un personaggio fantasma in una serie realistica, ma il pubblico ha immediatamente capito. È una cosa su cui, confesso, non ho riflettuto molto. Tu, Giacomo?»

Giacomo Ciarrapico: «Io ho sperato fino alla fine che gli spettatori non se ne accorgessero; e invece l’hanno notato subito. In questi anni, siamo stati su diversi set e abbiamo vissuto qualunque tipo di esperienza. Prendevamo appunti, sì, ma per una serie che sapevamo essere ancora molto lontana».

ⓢ È più complicato, oggi, fare comicità?
Ciarrapico: «Secondo me c’è qualcosa di profondamente sbagliato: è un atteggiamento che ha cominciato a diffondersi nella New York degli anni Ottanta. All’epoca alcuni gruppi di intellettuali, che in teoria dovevano essere di sinistra ma che di sinistra non erano, decisero di introdurre nuovi termini. Perché, dicevano, non bisognava essere violenti con le parole. In questo modo volevano autoassolversi dalle loro responsabilità. Questa cosa, oggi, sta arrivando in tutto il mondo, ed è una minchiata: perché le categorie, spesso, non si sentono offese; sono dei maschi bianchi privilegiati che si fanno questi problemi. È un po’ come provare a imporre la democrazia bombardando un Paese. Funziona?».

Vendruscolo: «Mette chiaramente in difficoltà la comicità, perché la comicità, quasi sempre, si basa sullo zimbello e sulla presa in giro».

Ciarrapico: «E anche sulla stessa violenza. Sulla scorrettezza. Non possiamo ridere solo delle bucce di banana».

ⓢ Com’è stato lavorare con Disney?
Ciarrapico: «Nel gruppo di Boris, non vince mai nessuno. Sono tutti dei perdenti. Con Disney Italia è stato facile, molto facile, far passare quest’idea. Perché una parte di loro viene da Fox, dove tutto è iniziato. Con Disney America, invece, è stato più complicato. Perché non conoscevano Boris, e non potevano accettare certe cose. Il rischio, alla fine, è di produrre cose che si somigliano tutte. Sembra un fast food della creatività».

Vendruscolo: «Le trame che vogliono colpire particolari sensibilità e aspetti vengono comunque isolate dal pubblico, e il pubblico è sempre consapevole».

ⓢ Boris ha rappresentato un momento importante anche all’interno del dibattito sulla qualità delle produzioni italiane. Ora il focus si è spostato sullo streaming e sugli algoritmi, e su una filiera quasi industriale della creatività. Non tutti, però, sembrano aver capito fino in fondo il suo spirito.
Ciarrapico: «Sì, in qualche modo Boris è stata accolta come un gioioso “libera tutti”. Vengono prodotte cose incredibili, che non fanno nemmeno finta di provarci».

Vendruscolo: «Però con Boris c’è stato anche un aggiornamento importante del linguaggio televisivo. Non è tutto merito nostro, e non voglio dire questo. Ma sono state prodotte anche serie diverse, come Gomorra».

ⓢ Ritornare sul set dopo tutti questi anni ha rappresentato, in qualche modo, un limite? Oppure siete riusciti immediatamente a ritrovare lo stesso passo di marcia?
Vendruscolo: «Forse, addirittura, abbiamo trovato un ritmo maggiore. C’era un grande amore sul set. Una grande affettività. Un’atmosfera che non si respirava sui set dei film. In questa stagione, si stava veramente bene. Abbiamo selezionato un gruppo molto affiatato di persone».

Ciarrapico: «E tutti vogliono bene a questa serie, e quindi ci hanno messo particolare cura in tutto quello che hanno fatto».

Vendruscolo: «Sul set c’erano un paio di ragazzi, due professionisti, che si sono innamorati di questo lavoro vedendo proprio Boris».

Ciarrapico: «Alla fine siamo tutti amici. E dopo un po’ la sensazione era quella di essere di nuovo a casa. Questa cosa, lo so, non è una garanzia di qualità, però aiuta a stare bene».

ⓢ Gli attori di Boris lo raccontano spesso: sono stati letteralmente perseguitati dai tormentoni. Per voi, invece, com’è andata?
Vendruscolo: «In questi anni ci è stato spesso chiesto di intervenire su alcuni progetti, anche all’ultimo secondo, per dare una – diciamo così – aria a là Boris. Ed è una cosa che ci ha fatto sempre ridere. Perché Boris è quello che è, e funziona per la sua organicità. Non è una patina di cattiveria che si può mettere su qualunque prodotto».

Ciarrapico: «Secondo me anche gli attori sono stati massacrati per questa cosa. Per un periodo hanno ricevuto solo proposte à la Boris. Noi, indubbiamente, abbiamo lavorato parecchio grazie a questa serie».

ⓢ Facciamo un passo indietro e torniamo, per un momento, a Buttafuori. La prima serie firmata da Ciarrapico, Vendruscolo e Torre. È stato allora che avete stretto il vostro sodalizio?
Ciarrapico: «Ci conoscevamo già da un sacco di tempo. Io e Mattia ci siamo incontrati a scuola, quando avevamo 13 anni. Luca, invece, l’ho conosciuto in metropolitana andando al Centro Sperimentale. Abbiamo provato a lavorare insieme fin dal primo istante; abbiamo scritto uno spettacolo, per esempio, da un’idea di Mattia. Poi Mattia e Luca hanno lavorato insieme a Piovono Mucche. Mattia era bravissimo nel trovare un contatto con il mondo reale: noi stavamo nei teatrini off, a fare la muffa; e lui cercava sbocchi ufficiali. Ricordo che una volta provammo a metterci in fila a Cinecittà, insieme a tanti comici, per incontrare Maurizio Costanzo. Il nostro turno era alle 2 del pomeriggio, ma Costanzo si era stufato e se ne era andato. Buttafuori è stato il primo, vero lavoro che abbiamo fatto tutti e tre insieme».

Vendruscolo: «In realtà, il primo tentativo di lavorare insieme è stato quando ci siamo proposti per scrivere le battute per un famoso comico. Le nostre gag, però, non furono particolarmente apprezzate… Comunque sì, è vero: è cominciato tutto con Buttafuori; ed è una serie che rivedo spesso, e dentro ci trovo la radice di mille momenti comici. Personaggi “buttafuoreschi” emergono anche in Boris».

Ciarrapico: «Buttafuori è molto generosa come serie, perché è piena zeppa di roba».

ⓢ Avete firmato dei veri e propri cult, ma ci è voluto del tempo prima di vederli riconosciuti e apprezzati dal pubblico più ampio. E, a volte, anche dalla critica.
Ciarrapico: «Noi su questo siamo sempre stati sfortunati. Facciamo qualcosa, e in un primo momento va male. Non ha subito successo. Anche Ogni maledetto natale, all’inizio, ha fatto schifo a tutti. Poi, piano piano, è stato rivalutato».

Vendruscolo: «Con questa stagione di Boris abbiamo avuto un riscontro immediato, ma anche il successo a scoppio ritardato, diciamo così, non ci dispiaceva. Questa è una sensazione nuova».

ⓢ L’Italia è un Paese che si prende troppo sul serio?
Ciarrapico: «Quando deve essere seria, l’Italia non si prende sul serio. E fa dell’inutile battutismo. Quando invece deve scherzare diventa improvvisamente seria e ci si cruccia. Siamo seri nelle cose sbagliate, ecco la verità. Facciamo il mestiere più bello del mondo, eppure alcuni di noi riescono a viverlo con un atteggiamento quasi impiegatizio».

Vendruscolo: «Talvolta lo spettacolo è molto deprimente, e questa cosa produce un senso del ridicolo enorme, che noi, poi, finiamo per rappresentare».

ⓢ In Boris ci sono moltissimi riferimenti anche all’esterno, al mondo vero del cinema e della televisione. E poi ci sono camei che sono diventati leggendari, come quello di Paolo Sorrentino. Qual è stato il vostro momento preferito?
Ciarrapico: «Onestamente? Gli auguri a Benigni».

Vendruscolo: «Ora la situazione si è un po’ ribaltata. Molti ci hanno scritto dicendoci di essere disposti a fare una comparsata. E questo va bene. Ma c’è un personaggio che abbiamo provato ad avere veramente sul set, ed è Wim Wenders. Gli avevamo scritto, e volevamo farlo incontrare davvero con Stanis [interpretato da Pietro Sermonti, ndr]. La risposta della sua agenzia fu secca: NEIN».

Ciarrapico: «Però è stato meglio così, se ci pensi. Perché Wenders è il cielo su Stanis».

ⓢ Chi era Mattia Torre?
Ciarrapico: «Parlarne al passato mi fa strano; è come parlare di me stesso al passato. Era una parte di quello che sono. Siamo cresciuti insieme, e abbiamo lavorato insieme. Prima di tutto, però, siamo stati amici. E solo successivamente colleghi. Penso a Mattia in continuazione, almeno ogni venti minuti».

Vendruscolo: «Per me è innanzitutto un amico perduto. Penso a tutte le cose che diceva e che avrebbe potuto dire lui; dentro di me c’è una voce che è quella di Mattia, ma che non parla così bene, che non riesce a fotografare così perfettamente una situazione».

Ciarrapico: «I messaggini che mandava erano incredibili, e purtroppo non si possono riportare. Lorenzo Mieli voleva fare un libro ma sono irripetibili. Davvero».

Vendruscolo: «Non si può dire proprio niente?»

Ciarrapico: «Una volta, aveva programmato una frase sul mio cellulare: io avevo un Nokia, e la sera lo spegnevo. Quando lo riaccendevo la mattina, compariva questa frase di Mattia: “Ricordati che la vita non è mai facile”. E io iniziavo la mia giornata così».

ⓢ Boris avrà una quinta stagione?
Ciarrapico: «In questo momento mi sembra la cosa più difficile del mondo. Per la marea di commenti che ci sono, di idee, di amore».

Vendruscolo: «Ne parlavamo anche ieri. Ma è vero: Boris 5 è un’impresa, perché non è chiara, e non può essere chiara, come questa stagione. Questa stagione serviva per arrivare nel presente. Adesso, invece, abbiamo una grande libertà».

Ciarrapico: «E tutta questa libertà, a noi, c’ha rotto il cazzo».

ⓢ La libertà può essere un problema?
Ciarrapico: «La libertà, a volte, è opprimente».