Cultura | Cinema

Il problema di Bombshell

Il film che racconta la vicenda degli abusi sessuali alla Fox News perde l’occasione di esplorare le contraddizioni dei movimenti femministi in America.

di Silvia Schirinzi

Charlize Theron, Nicole Kidman e Margot Robbie in Bombshell, dal 17 aprile su Amazon Prime Video

Bombshell inizia con Charlize Theron, fasciata in un vestito-bandiera a simboleggiare l’eleganza Wasp priva di sfumature, che ci accompagna per gli studi della Fox mentre parla direttamente in camera, quasi fosse la protagonista di Fleabag ma bionda e conservatrice. Il pubblico la osserva muoversi sicura di sé a grandi falcate, come farebbe la sua controparte reale: la presentatrice televisiva Megyn Kelly, la più amata della Fox, il canale preferito da Trump e dai suoi elettori (non lei, però, che da entrambi, Trump e i suoi elettori, è stata massacrata). Il film diretto da Jay Roach, uscito in America lo scorso 20 dicembre e disponibile dal 17 aprile su Amazon Prime Video, è uno dei tanti che, oggi come negli anni a venire, proverà a raccontarci i predatori sessuali dell’America post #MeToo. Solo in rari momenti ci riesce, per il resto ci consegna una versione scialacquata di uno dei più grandi scandali dell’industria televisiva americana, quello della caduta rovinosa di Roger Ailes, inventore di Fox News come la conosciamo oggi, santo protettore di molti candidati repubblicani, responsabile del successo mediatico di più di un presidente, da Richard Nixon a George W. Bush fino allo stesso Trump, e di altrettante bugie diventate viralissime, come quella su Barack Obama che non era nato in America.

Ailes lo interpreta John Lithgow, a suo agio come sempre anche nella decadenza fisica e nell’ingombro del trucco prostetico, non meno efficace di quello che scolpisce il viso perfetto di Theron per renderlo identico a quello di Kelly, avvocato prestato alla televisione che ha dominato il network conservatore per eccellenza a suon di teorie su Babbo Natale che era bianco e Gesù che era bianco, ma anche l’unica a chiedere in diretta televisiva a Trump, quando la sua candidatura iniziava a profilarsi come un’opzione realistica e non il divertissement di un miliardario, di rendere conto del suo difficile rapporto con le donne. Il resto è storia, come si dice in questi casi: il candidato che i repubblicani avrebbero scelto quasi un anno dopo la insulta in una serie di tweet sessisti, in cui le dice anche che forse era in piena sindrome premestruale e non riusciva a pensare lucidamente, scatenando una campagna di odio che i troll online e gli arrabbiatissimi telespettatori della Fox porteranno avanti per mesi, fino alla candidatura ufficiale, e che avverrà in contemporanea al disfacimento del canale stesso, o almeno a quello del suo illustre padre fondatore.

La vera protagonista di Bombshell, in realtà, dovrebbe essere Gretchen Carlson, che nel luglio del 2016 è la prima a denunciare Ailes per molestie sessuali, a contestargli il licenziamento subito mesi prima e il “declassamento” cui era stata sottoposta perché aveva rifiutato le sue avance. Carlson è interpretata da Nicole Kidman, che come scrive Allison Willmore su Vulture, a differenza di Theron «si è limitata a indossare una parrucca cotonata», ma è la sceneggiatura a offrirle poco materiale con cui lavorare. Eppure l’ex Miss America cinquantenne, che ha studiato a Stanford e Oxford ma che in una scena del film viene rimproverata dallo stesso Ailes per essere andata in onda senza trucco – «Nessuno vuole vedere una donna in menopausa che suda in diretta», le urla –, sarebbe il personaggio perfetto per osservare certe contraddizioni che attraversano oggi i movimenti femministi americani. La sua denuncia ha infatti scoperchiato un sistema di minacce, abusi e controllo che permeava l’intero network, una bomba che è esplosa un anno prima di quella di Harvey Weinstein e che ha probabilmente preparato il terreno al #MeToo, come già aveva fatto lo scandalo di Bill Cosby e come farà qualche mese più tardi l’altro scandalo Fox, quello di Billy O’Reilly, senza tuttavia registrare la stessa “solidarietà” mediatica.

Margot Robbie interpreta Kayla Pospisil, “influencer” evangelica che proviene da una famiglia per la quale guardare Fox News «è come andare in Chiesa», personaggio fittizio che rappresenta le tante giovani vittime di Ailes, che durante i colloqui era solito chiedere alle donne di fare una piroetta – perché «la tv è un mezzo visivo» – e che aveva istituito le cosiddette “legs cam”, e cioè le inquadrature fisse sulle gambe delle conduttrici che, per regola non scritta ma ferrea, non indossavano mai i pantaloni. Cose che a noi italiani cresciuti a pane e Mediaset sembrano quasi innocue, ma che in realtà descrivono bene l’attitudine e le gerarchie di certi ambienti.

Bombshell è un’occasione sprecata perché condanna, piuttosto facilmente, Ailes (che è morto nel maggio del 2017) rivelando per gradi il sistema di coercizione che aveva costruito negli anni ma non si avventura mai, ad esempio, nell’approfondire il ruolo del patron Rupert Murdoch (che è ancora molto vivo), il quale licenzia in tronco il fedele dipendente caduto in disgrazia (dopo averlo supportato per vent’anni) perché «non c’è interesse per il suo lato della storia» – ma per quello d’altra parte c’è Succession, e lo sappiamo che i re si accoltellano alle spalle solo quando sono già in ginocchio. Soprattutto, però, il film di Roach non riesce a decidersi quando parla delle sue protagoniste, le donne che pure vorrebbe raccontare e con le quali vuole farci empatizzare. Queste donne, algide e provinciali allo stesso tempo, che hanno scelto di giocare al gioco degli uomini e che per questo saranno punite due volte – dagli uomini stessi, ma anche da tutte quelle che rimproverano loro la compiacenza al sistema – sono la cartina di tornasole di cosa significano oggi tante di quelle parole che dal #MeToo abbiamo assimilato acriticamente, una su tutte “empowerment”.

Come conquista il potere una donna? Con la sua bravura e forza di volontà, che le permette di rifiutare le avance del capo e ottenere in cambio ancora più stima, com’è successo a Megyn Kelly, che non vuole definirsi femminista perché sarebbe una debolezza e che sul carro di quelle che denunciavano ci è salita quando ormai era inevitabile, oppure con la pianificazione metodica di Gretchen Carlson che, come le vittime di violenza che nei film ottengono il loro riscatto, per un anno ha registrato le battute, le offese, le molestie lasciando che Ailes negasse tutto al momento della denuncia, per poi presentare prove inequivocabili? Oppure ancora come fa la giovane Kayla, che si alza la gonna fino a scoprire gli slip e finisce per accettare i compromessi in cambio della promessa di andare in video – «Sei un bravo soldato», le dicono – fino a quando non intravede le falle del sistema che ha idolatrato? A tutte queste domande Bombshell non risponde, ed è un peccato.