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10:44 venerdì 12 dicembre 2025
La casa di Babbo Natale in Finlandia quest’anno è piena di turisti ma anche di soldati Nato L’escalation al confine russo ha trasformato la meta turistica natalizia della Lapponia in un sito sensibile per l’Alleanza Atlantica.
Il governo americano vuole che i turisti rivelino i loro ultimi 5 anni di attività sui social per ottenere il visto Vale anche per i turisti europei che dovranno consegnare la cronologia dei loro account su tutte le piattaforme social utilizzate.
Ora su Letterboxd i film si possono anche noleggiare e sono già disponibili molte chicche introvabili altrove I titoli disponibili saranno divisi in due categorie: classici del passato ormai introvabili e film recenti presentati ai festival ma non ancora distribuiti su altre piattaforme.
Da quando è stata introdotta la verifica dell’età, nel Regno Unito il traffico dei siti porno è calato ma è anche raddoppiato l’utilizzo di VPN Forse è una coincidenza, ma il boom nell'utilizzo di VPN è iniziato subito dopo l'entrata in vigore della verifica dell'età per accedere ai siti porno.
Secondo una ricerca, nel 2025 abbiamo passato online più tempo che durante i lockdown Oramai i "vizi" presi durante la pandemia sono diventati abitudini: ogni giorno passiamo online tra le quattro e le sei ore.
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.

Hit Me Hard and Soft, i dolori della giovane Billie Eilish

Il terzo disco della cantante è una sorta di ritorno alle origini malinconiche e macabre di When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, un'autocelebrazione più simile a un diario che a un album.

24 Maggio 2024

Si dice che il terzo sia l’album più importante per una popstar, quello che ne decreta il successo, duraturo e autorevole, oltre il fuoco di paglia. Hanno superato la prova e confermato la regola artiste come Madonna (True Blue), Mariah Carey (Music Box), Björk (Post), altre l’hanno confermate scivolando inesorabilmente dalla strada per lo stardom a quella per il tinello Norah Jones (Not Too Late), Christina Aguilera (Bionic), Lorde (Solar Power). Ci sono poi carriere che confutano tutte queste teorie da cialtroni del roxy bar, come quella di Aretha Franklin o Tina Turner, ma possiamo – per comodità – sistemarle nell’insieme delle eccezioni.

Ecco quindi, insomma, che dopo esserci goduti senza troppe fisime Future Nostalgia e Happier Than Ever, ora sia per Dua Lipa che per Billie Eilish sembra essere arrivato il momento della verità. Profetica la copertina di Radical Optimist, che vede Dua Lipa nuotare in cattive acque (con tanto squalo). Billie Eilish, invece, con Hit Me Hard and Soft ha fatto immediatamente incetta di streaming a destra e a manca, raccattando critiche entusiastiche (molte, non tutte).

Le prime registrazioni casalinghe a 13 anni, poi i primi brani pubblicati su Soundcloud (con “Ocean Eyes”, sobria e dolente, diventata virale in breve tempo), ora, all’alba del suo terzo album, a 22 anni Billie Eilish vanta già 9 Grammy e 2 Oscar (più svariati milioni di ascolti), riuscendo in quello in cui ha fallito Hannah Horvath, diventare la voce della sua generazione, e anche un po’ di più: piace alle giovani ragazze incomprese e malinconiche (“when the party’s over”, “My Future”), alle Milf deluse che passano senza successo da una delusione amorosa all’altra (“Bad Guy”), ai Millennial omosessuali che non hanno mai superato il trauma delle scuole medie (“Happier Than Ever”).

Con l’album di esordio, When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, Billie Eilish impone fin da subito un immaginario, musicale e visuale, personale e unico, giocando con suggestioni macabre (tarantole, siringhe e occhi sanguinanti) e dando voce con immagini semplici a situazioni complicate (la depressione); in “Everything I Wanted” canta di pensieri suicidi. Diventa adulta sul palco, di fronte al pubblico, la sua sessualità diventa un argomento da tabloid: il pensiero dell’immagine che gli altri hanno di lei la influenza. Con il secondo album cerca di scrollarsi di dosso la propria immagine sorprendente e inquietante, vuole dimostrare di poter essere “diversa” da sé stessa e prova un’esplorazione al di fuori della sua comfort zone, abbandona t-shirt e bermuda extra large in favore di corsetti e tacchi (gasp!) – dura poco. Nell’album sperimenta di più, gioca con l’ambizione (“Billie Bossa Nova”), e seppur con maggiore controllo resta musicalmente coerente alla sua dimensione vulnerabile e intima. Ora, con Hit Me Hard and Soft, la superstar “alternativa” torna sui suoi passi, non si sente più in dovere di dover dare spiegazioni e torna a esprimere la sua beata inquietudine, con un album “alla Billie Eilish”, riproponendo formule ormai consolidate del suo repertorio. Questa misura è al tempo stesso un grande pregio dell’album quanto un suo limite (piccolo o grande probabilmente lo capiremo più in là).

Scritto e prodotto sempre con l’inseparabile fratello, Finneas, Hit Me Hard and Soft fonde suoni elettronici con elementi acustici (rispetto al passato si aggiunge un quartetto d’archi), con deliziosi arrangiamenti vocali vaporosi e ovattati, un melange che ci riporta nuovamente in un mondo intriso di vulnerabilità, intimo e carico di aspettative e delusioni. Vocalmente Billie si muove più sicura che in precedenza tra i beat elettronici e le aperture orchestrali, come una moderna Julie London – precisa, ariosa e dolente – che incontra gli orizzonti musicali della Björk di “Jóga” (ma senza foga). Rispetto al passato si sente l’influenza del lavoro di Billie e Finneas nel mondo del cinema (“No Time To Die” per la colonna sonora di 007 e “What Was I Made For” per quella di Barbie), esperienza che rende l’impatto musicale più maturo, sicuro, ma anche più magniloquente e, talvolta, retorico (l’inizio alla Nino Rota di The Diner). Si passa da parti acustiche e delicate a outro elettronici e aggressivi, in uno schema ormai classico per gli O’Connell, quello della canzone che inizia da una parte e finisce in tutt’altra – a lungo andare qualcosa che assomiglia a un trucco, come in “The Greatest” – che ripropone lo schema di “Happier Than Ever”, senza superarla – o in “L’Amour de Ma Vie”. I testi parlano (per la prima volta) di amori lesbici, lambendo territori (anche sonori) più sensuali; in “Lunch”, canzone scelta come singolo promozionale che richiama alla mente i Gorillaz dei tempi migliori (“Feel Ggood Inc”), Billie canta «I could eat that girl for lunch / Yeah, she dances on my tongue / Tastes like she might be the one / And I could never get enough». “Birds of a Feather”, nonostante sia una canzone d’amore sepolcrale («I want you to stay / ‘Til I’m in the grave / ‘Til I rot away, dead and buried»), sa di papaia, citronella e Janet Jackson, in una dimensione di (mortifera) leggerezza nuova per Billie, che le dona molto.

Questo nuovo album è un viaggio diaristico attraverso una nuova consapevolezza, un excursus triste e maturo, consolatorio e confortevole, nel groviglio delle proprie emozioni. Restando inquieta, oscura anche senza il suo lato più smaccatamente macabro, Billie Eilish a soli 22 anni è già un classico.

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