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Brian Eno, Peter Gabriel e diversi artisti di origini palestinesi hanno fatto una canzone di Natale a sostegno di Gaza Si intitola "Lullaby" ed è la cover di una canzone tradizionale palestinese: uscirà il 12 dicembre e tutti i proventi andranno a Gaza.
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.
La Casa Bianca non userà più il font Calibri nei suoi documenti ufficiali perché è troppo woke E tornerà al caro, vecchio Times New Roman, identificato come il font della tradizione e dell'autorevolezza.
La magistratura americana ha pubblicato il video in cui si vede Luigi Mangione che viene arrestato al McDonald’s Il video è stato registrate dalle bodycam degli agenti ed è una delle prove più importanti nel processo a Mangione, sia per la difesa che per l'accusa.
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.

Il piccolo impero mediatico di Bernie Sanders

Il podcast, il talk show, 500 video l’anno: come il senatore del Vermont diffonde la sua rivoluzione.

23 Aprile 2018

Bernie Sanders ha un talk show. E un podcast. E una rivoluzione da portare avanti. Mentre in America si avvicinano le midterm, Sanders, che si ricandiderà a un terzo mandato come senatore del Vermont, si conferma uno dei politici più popolari del Paese. Stando a un recente sondaggio, ha un indice di gradimento del 68 per cento, secondo soltanto (e di un punto appena) a quello di Charlie Baker, il governatore repubblicano del Massachusetts (anche se, a dire il vero, la rilevazione, effettuata da Morning Consult, prende in esame soltanto governatori e senatori). A quasi due anni dalla sconfitta delle primarie Democratiche (Hillary Clinton dichiarò la sua vittoria il 7 giugno del 2016), a quasi due anni dalla sua sconfitta, si diceva, Sanders è tutto fuorché scomparso. Si prepara alle midterm, certo, e gode di una buona popolarità, tanto che c’è persino chi ipotizza una possibile candidatura alle presidenziali del 2020. Anche se i critici fanno notare che forse il senatore è troppo vecchio: nel 2020 avrà 79 anni, che non sono pochi. Quello che è certo, però, come notava Gabriel Debenedetti sul sito del New York, è che Sanders ha costruito un piccolo impero mediatico digitale, senza che quasi ce ne accorgessimo.

Partiamo, come accennato prima, dal talk show. Si chiama, banalmente, The Bernie Sanders show ed è pubblicato a cadenza variabile su Facebook. Ad oggi sono disponibili sedici puntate – potete vederle tutte a questo indirizzo, cliccando sulla playlist “The Bernie Sanders show”  – il format è quasi sempre quello di un’intervista faccia-a-faccia, dove gli ospiti spaziano da Bill Nye, il popolarissimo divulgatore scientifico noto come “the science guy”, ad Elizabeth Warren, la senatrice del Massachusetts che alcuni fan di Sanders vedono come una possibile partner per il 2020, passando per Al Gore e il sindaco di New York Bill de Blasio. Poi, si diceva, c’è il podcast: è disponibile su iTunes, GooglePlay e sul sito del senatore: anche qui, la cadenza è variabile. In alcuni casi, i temi si sovrappongono a quelli del Bernie Sanders show, in altri si tratta di puntate separate. A questo si aggiunge il lavoro, con format più fluidi, da un ben nutrito ufficio stampa: «Il personale media di Sanders è composto da tre professionisti, incluso Armand Aviram, l’ex produttore di NowThis News, e tre stagisti pagati», scrive Debenedetti. Soltanto lo scorso anno, aggiunge, «hanno pubblicato 550 video brevi su Twitter e Facebook».

Bernie Sanders

Debenedetti ha ribattezzato l’operazione, tra il serio e il faceto, “Bernie tv”, facendo notare che, tra l’altro, c’è una discreta ironia: in molti si aspettavano che, se non avesse vinto, sarebbe stato Trump a lanciare una sorta di “Trump tv”, una sorta di Fox News ma ancora più di destra (questo non lo cita, però nel libro Fire and Fury si legge che molti nello staff della campagna di Trump puntavano proprio a una carriera mediatica). L’obiettivo, scrive il giornalista «non è generare profitti», visto che i soldi utilizzati sono quelli del Senato, inoltre «non ci sono piani di espandersi oltre ai social media». Quello che sta facendo Sanders, dal punto di vista comunicativo, è quello che stanno cercando di fare tutti i politici, ovvero raggiungere gli elettori direttamente bypassando i media tradizionali. Solo che lui lo fa meglio: «È qualcosa di fantasmagorico. Nel primo anno il pubblico della Bernie tv si è impennato: i suoi video sono stati visti 800 milioni di volte».

Che Sanders e la sua squadra siano ottimi comunicatori non è una novità. Così come non è una novità che, nonostante la sua età non propriamente giovane, il senatore del Vermont abbia dimostrato di essere bravo a corteggiare i millennial, per cui la parola “socialista” è sempre meno un tabù (tra l’altro, comincia a votare la generazione Z, successiva a quella dei millennial). Resta da chiedersi quali siano gli obiettivi per cui questa campagna mediatica è stata pensata. Certamente, come già detto, ci sono le midterm, che si terranno a novembre. Forse c’è anche una mezza idea di una campagna presidenziale, anche se su questo punto forse c’è stato un buzz eccessivo: è ancora presto per parlarne. Però, forse, c’è anche una questione di respiro più ampio. Quella che Sanders sta combattendo è anche una battaglia culturale all’interno del partito Democratico, per spostare l’asse sempre più a sinistra. «Le elezioni vanno e vengono», ha detto qualche tempo fa, «ma le rivoluzioni che cercano di trasformare la nostra società e la nostra politica non finiscono mai». I critici del senatore, però, fanno notare che non è soltanto una guerra interna al partito, ma anche una guerra contro il partito: questo mese Sanders ha mosso dure critiche al partito Democratico.

Foto Getty
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