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07:33 giovedì 23 ottobre 2025
Anche quest’anno, il solito Tommaso Debenedetti ha diffuso la solita fake news sull’improvvisa morte del vincitore del Nobel per la Letteratura L'autodefinitosi «campione italiano della menzogna» prosegue così la sua lunga striscia di bufale a tema letterario, stavolta la vittima è László Krasznahorkai.
ChatGPT ha lanciato il suo browser con il quale vuole fare concorrenza a Google Chrome Si chiama Atlas, integra l’AI sin dalla barra di ricerca e aspira a insidiare il primato del web browser più utilizzato al mondo di Chrome.
Per due volte la Rai ha prima annunciato e poi cancellato la trasmissione di No Other Land e non si sa ancora perché È successo il 7 ottobre e poi di nuovo il 21. Al momento, non sappiamo se e quando il film verrà reinserito nel palinsesto.
A causa del riscaldamento globale, per la prima volta nella storia sono state trovate delle zanzare in Islanda Era uno degli unici due posti al mondo fin qui rimasto libero dalle zanzare. Adesso resta soltanto l'Antartide.
È uscita una raccolta di racconti inediti di Harper Lee scoperti nella sua casa di New York dopo la morte Si intitola La terra del dolce domani e in Italia l'ha pubblicata Feltrinelli.
A Teheran hanno inaugurato una stazione della metropolitana dedicata alla Vergine Maria La stazione si chiama Maryam Moghaddas, che in persiano significa proprio Vergine Maria, e si trova vicino alla più grande chiesa della città.
Cercando di uccidere una blatta, una donna in Corea del Sud ha scatenato un incendio in cui è andato distrutto un appartamento ed è morta anche una persona La donna ha usato un lanciafiamme fatto in casa con un accendino e un deodorante spray. La sorte della blatta al momento non è nota.
Si è scoperto che l’AI viene usata anche per produrre poverty porn, cioè immagini piene di stereotipi sulla povertà utilizzate poi nella campagne di sensibilizzazione Si trovano in vendita sulle piattaforme di foto stock, costano poco, non danno problemi di licenza né di consenso: è per questo che sono sempre più diffuse.

Il piccolo impero mediatico di Bernie Sanders

Il podcast, il talk show, 500 video l’anno: come il senatore del Vermont diffonde la sua rivoluzione.

23 Aprile 2018

Bernie Sanders ha un talk show. E un podcast. E una rivoluzione da portare avanti. Mentre in America si avvicinano le midterm, Sanders, che si ricandiderà a un terzo mandato come senatore del Vermont, si conferma uno dei politici più popolari del Paese. Stando a un recente sondaggio, ha un indice di gradimento del 68 per cento, secondo soltanto (e di un punto appena) a quello di Charlie Baker, il governatore repubblicano del Massachusetts (anche se, a dire il vero, la rilevazione, effettuata da Morning Consult, prende in esame soltanto governatori e senatori). A quasi due anni dalla sconfitta delle primarie Democratiche (Hillary Clinton dichiarò la sua vittoria il 7 giugno del 2016), a quasi due anni dalla sua sconfitta, si diceva, Sanders è tutto fuorché scomparso. Si prepara alle midterm, certo, e gode di una buona popolarità, tanto che c’è persino chi ipotizza una possibile candidatura alle presidenziali del 2020. Anche se i critici fanno notare che forse il senatore è troppo vecchio: nel 2020 avrà 79 anni, che non sono pochi. Quello che è certo, però, come notava Gabriel Debenedetti sul sito del New York, è che Sanders ha costruito un piccolo impero mediatico digitale, senza che quasi ce ne accorgessimo.

Partiamo, come accennato prima, dal talk show. Si chiama, banalmente, The Bernie Sanders show ed è pubblicato a cadenza variabile su Facebook. Ad oggi sono disponibili sedici puntate – potete vederle tutte a questo indirizzo, cliccando sulla playlist “The Bernie Sanders show”  – il format è quasi sempre quello di un’intervista faccia-a-faccia, dove gli ospiti spaziano da Bill Nye, il popolarissimo divulgatore scientifico noto come “the science guy”, ad Elizabeth Warren, la senatrice del Massachusetts che alcuni fan di Sanders vedono come una possibile partner per il 2020, passando per Al Gore e il sindaco di New York Bill de Blasio. Poi, si diceva, c’è il podcast: è disponibile su iTunes, GooglePlay e sul sito del senatore: anche qui, la cadenza è variabile. In alcuni casi, i temi si sovrappongono a quelli del Bernie Sanders show, in altri si tratta di puntate separate. A questo si aggiunge il lavoro, con format più fluidi, da un ben nutrito ufficio stampa: «Il personale media di Sanders è composto da tre professionisti, incluso Armand Aviram, l’ex produttore di NowThis News, e tre stagisti pagati», scrive Debenedetti. Soltanto lo scorso anno, aggiunge, «hanno pubblicato 550 video brevi su Twitter e Facebook».

Bernie Sanders

Debenedetti ha ribattezzato l’operazione, tra il serio e il faceto, “Bernie tv”, facendo notare che, tra l’altro, c’è una discreta ironia: in molti si aspettavano che, se non avesse vinto, sarebbe stato Trump a lanciare una sorta di “Trump tv”, una sorta di Fox News ma ancora più di destra (questo non lo cita, però nel libro Fire and Fury si legge che molti nello staff della campagna di Trump puntavano proprio a una carriera mediatica). L’obiettivo, scrive il giornalista «non è generare profitti», visto che i soldi utilizzati sono quelli del Senato, inoltre «non ci sono piani di espandersi oltre ai social media». Quello che sta facendo Sanders, dal punto di vista comunicativo, è quello che stanno cercando di fare tutti i politici, ovvero raggiungere gli elettori direttamente bypassando i media tradizionali. Solo che lui lo fa meglio: «È qualcosa di fantasmagorico. Nel primo anno il pubblico della Bernie tv si è impennato: i suoi video sono stati visti 800 milioni di volte».

Che Sanders e la sua squadra siano ottimi comunicatori non è una novità. Così come non è una novità che, nonostante la sua età non propriamente giovane, il senatore del Vermont abbia dimostrato di essere bravo a corteggiare i millennial, per cui la parola “socialista” è sempre meno un tabù (tra l’altro, comincia a votare la generazione Z, successiva a quella dei millennial). Resta da chiedersi quali siano gli obiettivi per cui questa campagna mediatica è stata pensata. Certamente, come già detto, ci sono le midterm, che si terranno a novembre. Forse c’è anche una mezza idea di una campagna presidenziale, anche se su questo punto forse c’è stato un buzz eccessivo: è ancora presto per parlarne. Però, forse, c’è anche una questione di respiro più ampio. Quella che Sanders sta combattendo è anche una battaglia culturale all’interno del partito Democratico, per spostare l’asse sempre più a sinistra. «Le elezioni vanno e vengono», ha detto qualche tempo fa, «ma le rivoluzioni che cercano di trasformare la nostra società e la nostra politica non finiscono mai». I critici del senatore, però, fanno notare che non è soltanto una guerra interna al partito, ma anche una guerra contro il partito: questo mese Sanders ha mosso dure critiche al partito Democratico.

Foto Getty
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