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Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

Beautiful losers (o posers?)

Momenti di odio per "l'artista pazzo" della scena hipster di NY provati durante la visione di Beautiful Losers

14 Settembre 2012

Ho rispetto per chi orienta il gusto contemporaneo: il gusto è un aspetto fondamentale del potere, e chi sa cosa è bello o esteticamente adatto per un’epoca ha un grande potere, che io rispetto. Rispetto gli stilisti, gli autori di graphic novel, Garrone, Walter White, chi fa le scarpe eleganti, chi scrive lunghe recensioni di Channel ORANGE, chi cambia la grafica di Studio. Ma c’è una categoria di esperti del gusto che per qualche ragione voglio solo vedere rasa al suolo e sono gli artisti dolci e bellissimi della scena di New York immortalati nel documentario Beautiful Losers: il racconto delle adolescenze, delle ispirazioni e delle carriere degli artisti della scena newyorkese: video, graffiti, skateboard, gallerie, la scena bella bella bella in modo assurdo dei Mark Gonzales e degli Harmony Korine, privi di ambizioni economiche ma a proprio agio con i brand e la cultura della fama.

So che per molti questo documentario onora una scena rispettabile e significativa di artisti naif che hanno definito gli aspetti post-Haring e street dell’arte contemporanea più intelligibile; so che per altri, come per me, Harmony Korine è un incubo: la sua faccetta buona, il suo corto ipercoatto con Die Antwoord, fino a Spring Breakers, appena presentato a Venezia, dove alla conferenza stampa fa l’aria stropicciata di chi la sa lunga, seduto accanto alle ragazzine di Disney Channel a cui ha fatto recitare la parte delle zoccole in un film la cui ragion d’essere sembra inevitabilmente la conversazione tra due persone che non l’hanno visto.

Siccome devo levarmi dalla testa Harmony Korine e i suoi amici spettinati e giusti, ma non ho la conoscenza del mondo dell’arte necessaria per farlo, mi comporterò come un leghista al bar e criticherò le cose di Beautiful Losers che mi stanno facendo perdere la testa mentre lo guardo (posto che scaricarlo/comprarlo e guardarlo è un atto dovuto per una scena che ha, appunto, segnato il gusto contemporaneo – le faccine disegnate sui muri, le scritte dolci con grafia da bambini, il savvy/savoir faire generalizzato del jetset internazionale under 30 in Vans e cappellino. Puoi vederlo anche in chiave “conosci il tuo nemico”, volendo). Lo criticherò, a differenza di un leghista, in maniera rapida, precisa e pedante, in modo che si possano ricostruire le modalità di un odio che posso paragonare all’odio razziale o di classe e a cui quindi esito a dare un valore di “critica culturale”. Voglio solo tracciare le mie reazioni a questo documentario su degli artisti che si sono lasciati definire “beautiful losers”: artisti che hanno approfondito il concetto di ironia nell’arte mischiando ogni linguaggio, e ciò nonostante hanno lasciato che un documentario che li rappresenta si chiamasse con un titolo così non ironico. Da artisti ironici come loro mi sarei come minimo aspettato il titolo “Beautiful Posers”. (D’accordo con la giornalista Tiziana Lo Porto, con cui ho discusso il pezzo ieri a cena, salverò Mike Mills, che è ben vestito con la cravatta rossa a pallini e sembra riflettere mentre parlare e non ha quell’accento americano blasé da scuola d’arte, avete presente?, quell’accento gutturale alla Michael Stipe che ipnotizza chi lo usa, costringendolo a non pensare).

Questo è un pezzo di hate journalism, me ne vergogno, ma devo farlo. Accumulando le cose che mi danno fastidio troverò cos’è che mi scoccia di più di questo documentario. Probabilmente invidio solo chi ha avuto un’infanzia libera e quindi è libero di esprimersi. Probabilmente tutti coloro che odiano come parlano gli artisti hanno avuto un’infanzia repressa. Probabilmente rileggendo alla fine del pezzo le cose che mi danno fastidio dei beautiful posers scoprirò cosa mi manca nella vita.

Momenti di odio per la razza artista pazzo della scena h*****r di New York provati durante la visione di Beautiful Posers.

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“…just a bunch of dumb, bored kids …”

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“… and I was always super inspired by that”

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Scritta sul muro: I’M SUPER FUCKED.

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“Nella tua famiglia ci sono altri artisti?”

Stephen Powers: “No. Ho sto quadro di mia nonna che è orrendo – è fantastico. … È davvero orrendo, lo adoro”.

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Harmony Korine si tocca la fronte nella sua prima apparizione nel documentario. Poi racconta del suo amico a cui da piccolo avevano tagliato la testa con la sega elettrica proprio lì nel parco dei bambini (“A place of joy, I guess”). Procede a raccontare a un bambino la storia della testa tagliata (0917: “Hey how you doing? You know we found my friend Daniel’s head there back in ’86?”). Stacco: una donna suona il banjo sotto una sequoia.

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Barry McGee, seduto per terra fra pezzi di giornali ingialliti e teli di plastica, contro un muro, guarda le forme dei pezzi di foglie morte e della polvere e le sposta col dito come vedendoci delle forme. “…I don’t know what cool is, or anything…”

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“To switch – like – positions, to go from being just – like – a regular freak to being – like – a cool freak, was really nice”.

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L’accento all’insù di Geoff McFetridge.

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Seconda apparizione di Harmony Korine: “Violent kids, druggies, and stuff like that, those are the guys I found most interesting”.

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In un parco sgarrupato, un artista in t-shirt verde militare usa una corda appesa a un albero per far volare un carrello della spesa tutto intorno, sopra le fratte.

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Terza apparizione di Harmony Korine. Parla dello skate, credo. “It has attracted a lot of heroin addicts and creative people”. Ogni volta che apre bocca, in questo film, Korine cerca di legittimarsi parlando di tossici. “Boozers, juiceheads, scumbags”.

4018

Harmony Korine suona il banjo su un marciapiede. Poi provoca i passanti. Poi fa la faccia tenera alla telecamera.

4407

Thomas Campbell: “What am I? I don’t know. Whatever. Doodler… filmmaker… In general I like to be in the ocean…”

5016

“Just fun, you know. Just fun being a kid and making junk”.

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Harmony Korine: “Forse una delle cose è che in quel momento c’era… mi verrebbe da dire un’innocenza… ma voglio dire gente che si divertiva, che stava bene insieme, che si faceva venire idee…”

A 55 minuti e 59 secondi mi sono annoiato durante una ninna nanna di pedal steel guitar. Mi fermo qui. Potrei portare la riflessione in due direzioni: 1) che rapporto c’è tra l’arte che uno fa per esprimersi e l’arte che uno ama e con cui cresce, si forma, impara a sentire il mondo? Come mai in questo documentario non si parla quasi mai dell’arte come linguaggio e quindi dell’arte passata, quella che si ama, ma solamente delle ispirazioni non artistiche? Esiste arte al di fuori dell’amore per l’arte passata? Posso credere a un artista che crede solo nella propria ispirazione? L’arte non era un linguaggio? 2) Perché io sto male quando vedo gente contenta e penso che le persone soddisfatte del proprio giro di amici siano solo e sempre dei poser? (Ho interrotto la visione anche perché Tiziana Lo Porto mi ha annunciato che nell’ultima parte del film uno degli artisti muore. Non voglio sentirmi in colpa scoprendo qual è, dopo tutto l’odio – anzi, non è odio: è hate.)

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