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Un bambino è stato curato da una rara malattia usando una terapia genica inventata appositamente per lui
È la prima volta che succede e gli scienziati sperano sia l'inizio di un protocollo che aiuterà a curare molte altre malattie genetiche.

Il 15 maggio sul New England Journal of Medicine è stato pubblicato uno studio in cui per la prima volta è stata usata una versione “personalizzata” della tecnica Crispr (acronimo che sta per Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, tecnica che consente di tagliare, rimuovere e sostituire parti di Dna) per curare un paziente affetto da una rara malattia genetica. I ricercatori del Children’s Hospital of Philadelphia e della University of Pennsylvania hanno sviluppato questa terapia per curare un bambino il cui organismo, a causa di una epatopatia (una patologia che colpisce il fegato) non riusciva a scomporre correttamente le proteine. La conseguenza di questa patologia era la formazione, nel corpo di KJ – così è stato ribattezzato nella ricerca – di grandi quantità di ammoniaca, che quando è presente in eccesso può portare a danni cerebrali e malformazioni.
Il fatto straordinario di questo studio è che la terapia usata per curare KJ è stata, appunto, inventata appositamente per lui. La tecnica Crispr è già usata per curare malattie genetiche come l’anemia falciforme e la talassemia. In questo caso, però, si è usata una “variante” di questa tecnica che non esisteva prima. La dottoressa Rebecca Ahrens-Nicklas, co-autrice dello studio e direttrice del Gene Therapy for the Inherited Metabolic Disorders Frontier Program del Children’s Hospital di Philadelphia, ha spiegato al Time che «questo farmaco è stato pensato e realizzato appositamente per KJ, quindi è probabile che non verrà mai più usato». Nonostante questa consapevolezza, gli scienziati sperano che il procedimento da loro usato possa contribuire all’invenzione di un terapia valida anche per altre malattie genetiche. L’obiettivo è stabilire un metodo, per così dire, che rimanga più o meno sempre lo stesso in tutti i casi, e che di volta in volta si possano applicare solo i cambiamenti necessari a curare le diverse malattie genetiche.
Ci sono voluti due anni per mettere a punto il farmaco che sta curando KJ (scriviamo sta curando perché la stessa Ahrens-Nicklas precisa che è ancora troppo presto per essere sicuri della sua efficacia: per ora l’organismo del bambino sta rispondendo bene). La somministrazione del farmaco, poi, è stata molto difficoltosa: le prime dosi KJ le ha assunte quando aveva appena sei mesi, il monitoraggio di eventuali effetti collaterali è stato complicato, ma senza la certezza che il bambino stesse bene non sarebbe stato possibile fargli assumere le altre due dosi necessarie a completare la terapia.