Raffaele Sollecito è un uomo di trentun’anni originario di Giovinazzo, un paese sulla costa barese, per la giustizia italiana una persona innocente «per non aver commesso il fatto», dove «il fatto» è uno dei crimini più onnipresenti nelle sezioni di cronaca nazionale degli ultimi dieci anni: il “delitto di Perugia ”, com’è stato ribattezzato in ambito mediatico. Una giovane studentessa Erasmus inglese, Meredith Kercher, venne ritrovata senza vita la mattina del 2 novembre 2007 nell’abitazione che condivideva con tre coinquiline nella periferia del capoluogo umbro. Una di queste ultime, Amanda Knox, all’epoca ventenne, si frequentava da pochi giorni con Sollecito, il primo a essere avvertito della presenza di macchie di sangue nella villetta quel giorno. Il 27 marzo di quest’anno la Cassazione ha assolto definitivamente i due, dopo un iter processuale durato sette anni che li aveva visti condannati in primo grado e, in un secondo momento, in appello per l’omicidio di Kercher.
All’inizio di questo mese Raffaele Sollecito ha pubblicato con Longanesi un memoir, Un passo fuori dalla notte , una testimonianza dello stravolgimento subìto dalla sua esistenza dal 2007 a oggi. Il direttore editoriale di Longanesi, Giuseppe Strazzeri, ha allegato alle copie inviate in anteprima una lettera da lui firmata che inizia con: «È con uno strano misto di orgoglio e umiltà che oggi le invio questo libro». Strazzeri parla del valore della «promessa di una storia» e prosegue descrivendo le virtù di ciò che definisce «un libro necessario». Pare, in sostanza, voler fornire una spiegazione alla sua intuizione editoriale. Ma che la storia di Raffaele e Amanda, divenuti quasi subito i perversi due «ex-fidanzatini» nelle colonne dei giornali italiani, sia meritevole di un approccio narrativo pare un dato di fatto inattaccabile. Ogni grande processo mediatico della storia del paese, a partire dall’omicidio di Marta Russo del 1997, ha generato un’onda lunga di pubblicazioni da parte di esperti, cronisti, periti, testimoni, e talvolta dei diretti protagonisti delle vicende (La verità , il libro-intervista di Annamaria Franzoni pubblicato da Piemme, è del 2006).
All’estero il genere letterario imperniato sul personaggio che deve la sua notorietà alla cronaca nera è più comune, e di norma non necessita della pesante definizione di «libro necessario». Nel 2014 Jeff Guinn ha scritto una biografia di Charles Manson , l’epitome del serial killer; Son of Hope (2006) documenta la conversione religiosa di David Berkowitz, il celebre “Son of Sam”, assassino seriale newyorkese degli anni Settanta che ispirò anche un film di Spike Lee, Summer of Sam ; nel 2013 la stessa Amanda Knox ha pubblicato un memoir con Harper, Waiting to Be Heard , prontamente entrato nella classifica dei bestseller del New York Times .
Sulla copertina di Un passo fuori dalla notte , il volto di Sollecito appare in primo piano e illuminato da una luce irradiata di fronte a lui, in una citazione visiva piuttosto diretta (e tutt’altro che originale, peraltro) della famosa biografia di Andre Agassi, Open . Il claim presente sul margine inferiore, «Tutto quello che non avete mai immaginato di me», contrasta un po’ con le prime pagine del libro: Sollecito spiega di essere stato «un bambino che non amava uscire o giocare all’aperto», preferendo la compagnia di giocattoli e videogiochi, e di aver iniziato ad avere una vita sociale più attiva a partire dall’adolescenza, con la frequentazione di una videoteca del paese. Si ritrae come un adolescente schivo, poco propenso alla scoperta dell’altro sesso – un fattore che tornerà, stravolto come nelle migliori storie d’amore, nella descrizione del primo incontro con Amanda – e con risultati scolastici altalenanti. Anche il trasferimento a Perugia ha tutti i crismi dell’epica della partenza per il college: «salii a bordo della Golf di seconda mano che mio padre mi aveva regalato per la maturità e imboccai l’autostrada».
La prosa narrativa de Un passo fuori dalla notte risente di considerazioni superflue e un lessico non indimenticabile
L’autore non è una penna particolarmente agile e originale, ma è difficile biasimarlo: la quotidianità che vive fino all’inizio di novembre del 2007 è quella di molti appartenenti alla sua generazione, ragazzi di provincia coi genitori separati, sostanzialmente annoiati e in cerca di esperienze all’estero (Sollecito racconta la sua permanenza a Monaco di Baviera, in Erasmus), che scelgono di andare a misurare le loro capacità in città, si mettono a fare sport, scoprono l’effimero entusiasmo della vita da fuorisede. La prosa narrativa de Un passo fuori dalla notte risente di considerazioni superflue («certi rapporti nati quando sei bambino, e me ne rendo conto solo oggi, sono profondi e insostituibili»; «era davvero tutto molto, molto strano») e di un lessico non indimenticabile (gli innamoramenti ad esempio sono ancora «cotte», come in un’ipotetica sfortunata fiction Rai del 1984). Dove il libro riesce ad attrarre il lettore, però, è proprio nella ricostruzione della vicenda per cui conosciamo Sollecito: la mattinata del 2 novembre è descritta minuziosamente, e con essa i primi fermi in Questura, gli interrogatori, successivamente la creazione mitologica dei «fidanzatini» perversi su cui molti media hanno speculato senza pudori. Ci sono lo straniamento dell’accusato che sa di essere innocente e, soprattutto, le privazioni dovute a quattro anni di detenzione.
Proprio il vissuto quotidiano nelle celle di Perugia e Terni, oggetto del settimo capitolo, titolato «In carcere il nemico è il tempo», è la testimonianza più riuscita del libro. Sollecito racconta i suoi quattro anni di vita da recluso celebre, i timori di ritorsioni da parte degli altri carcerati e molte scene a cui ha assistito in prima persona da dietro le sbarre, come l’accoltellamento di un uomo per via di una merendina, l’imboscata con mazze e bastoni a un prigioniero colpevole di passare troppo tempo a parlare con le “guardie” e i regolamenti di conti nella zona docce. Facendo eco agli articoli di attivisti come Luigi Manconi, l’autore descrive celle piccole, sporche, infestate da ragni e scarafaggi, e in grado di far perdere la ragione a chi le abita per anni. Parla della tortura psicologica dell’isolamento, dei codici d’onore, del cibo e della socialità, di sessualità frustrata e di solitudine, della durezza dell’essere consapevoli del tempo perduto.
Nonostante una storia come quella di Perugia avesse senza dubbio il potenziale per costruire una grande narrazione, Un passo fuori dalla notte soffre di un respiro piuttosto corto e di un’attitudine al didascalico talvolta fastidiosa. Mi sono chiesto che cosa abbia spinto Longanesi a parlare di «un libro necessario», al di là dell’immancabile retorica. Di certo non può servire da opera universale sulla condizione di chi è accusato ingiustamente. Ma un libro del genere, se non «necessario», può risultare comunque meritevole per altri motivi. A un certo punto ho scorso la notizia dell’assoluzione di Raffaele Sollecito e Amanda Knox, così come riportata dal sito del Fatto quotidiano lo scorso 27 marzo (sezione «Giustizia & Impunità»). Scendendo fino ai commenti, si nota che Stefano Mencarelli chiosa: «Ora aspettiamo con fiducia anche l’assoluzione di SCHETTINO e di STASI», mentre Andrea Villa sostiene che «i giudici hanno creduto a tutte le balle contate. Peccato». L’utente Hychno ipotizza una possibile «sudditanza psicologica» della giurisprudenza italiana nei confronti degli Stati Uniti come indicibile motivazione alla base della sentenza mentre, poco sotto, Rosa Milà rilancia scrivendo che «tutti gli elementi portano a dire che sono colpevoli, lo capirebbe anche un bambino…».
Nell’immagine in evidenza: Raffaele Sollecito attende la sentenza della Corte d’Appello del settembre 2011 (Giuseppe Bellini/Getty Images)