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Arte-terapia

Dalla comica americana Tig Notaro, all'artista italiano Filippo Minelli. Storie di chi ha affrontato il cancro utilizzando le risorse della propria arte.

04 Ottobre 2012

Lenny Bruce spiegava così la formula del proprio sick humor: comicità uguale tragedia più tempo. Questa frase viene spesso citata quando qualcuno se ne esce con una gag su argomenti difficilmente avvicinabili (di solito stupro o 11 settembre), ma più raramente ci si trova in situazioni nelle quali la tragedia colpisce chi la battuta la fa. E non sempre c’è il beneficio del secondo addendo.

Quando Tig Notaro è salita sul palco il 3 agosto scorso, solo pochi giorni prima un dottore le aveva diagnosticato un cancro in entrambi i seni. Si trattava del culmine di una serie di sfighe che si erano abbattute sulla comica americana nel giro di pochi mesi, ma nonostante la morte accidentale della madre, la fine di una relazione e il sopracitato tumore, quando quella sera Notaro si è presentata al pubblico del Largo non è stato lo stress a parlare. “Grazie, grazie, ho il cancro, grazie, davvero, grazie, ho il cancro”, ha aperto. E poi, dopo la citazione da Lenny Bruce di cui sopra, una serie di battute che hanno spazzato il pubblico via da quel posto oscuro nel quale irrimediabilmente ci spinge la parola con la C (quella brutta davvero, non la capricciosa C-word americana), surfando tra riso e lacrime fino alla fine del monologo. L’energia con cui Notaro ha investito il club losangeleno in quel momento la possiamo solo immaginare, ma stando ai racconti di chi ci è stato e al tweet di Louis CK, ospite a sorpresa della serata, si è trattato di una performance da ricordare.

Oggi sappiamo che la tragedia è stata schivata, che la comica è stata operata e al momento sembra stare bene (ne ha parlato in modo invidiabilmente spiritoso da Conan O’Brien), ma vale comunque la pena parlare del suo esempio. Aldilà della gravità delle condizioni mediche della comica, salire sul palco del Largo e affrontare lo spettro di un futuro a tinte grigie con tale senso dell’umorismo (ma forse spirito è una parola più adatta) ha sicuramente catalizzato le energie giuste per (aiutare a) scongiurarlo.

Non è la prima volta che succede. Un caso particolarmente sensibile per il mondo della stand-up è quello di Robert Schimmel. Nel suo special del 2009, Life Since Then, il comico rivisitava il drammatico periodo della propria chemioterapia senza privare i fan dei “dick jokes” e dell’umorismo da caserma nel quale eccelleva. Chiaramente nello spettacolo l’amputazione di un testicolo per una biopsia diventa una delle tragedie più comicamente fertili, ma ci sono anche barlumi di maturità e saggezza normalmente assenti nelle routine da Las Vegas e AVN Awards del comico. Tipo questo: “Tutti quanti finiamo nella tempesta prima o poi, ma l’importante non è sopravvivere alla tempesta. È imparare a ballare sotto la pioggia.” Schimmel il cancro l’ha sconfitto, anche se poi un destino bastardo ha voluto che un incidente stradale se lo portasse via appena un anno dopo l’uscita dello show.

Un altro esempio (tristemente opposto rispetto agli altri) è quello del geniale Andy Kaufman, idolo di Jim Carrey e ispiratore della biopic di Milos Forman Man on the Moon, consumato da un cancro a soli 35 anni. La sua scomparsa brucia particolarmente proprio per l’ironia che si porta dietro: Kaufman era famoso per il proprio umorismo spiazzante, oltre il limite della performance art, e il suo migliore amico Bob Zmuda racconta nella biografia del comico che un suo radicale progetto era proprio quello di inscenare una finta morte per cancro come burla finale. Quando poi la tragedia ha iniziato a dispiegarsi è facile immaginare un’iniziale sindrome da “al lupo al lupo” ad aggiungere amarezza, oltre al fatto che Kaufman non ha scherzato del proprio male e l’ha tenuto perlopiù segreto ai fan. Inutile dire che molti hanno sospettato la scomparsa fosse il suo capolavoro finale, anche se lui non è mai tornato (se non in forma di tributo all’alter ego Tony Clifton, il cui costume è però chiaramente, anche se ufficiosamente, riempito da Zmuda). Andy Kaufman non ha usato la comicità per vincere la morte, né voglio suggerire che se la sia attirata addosso, ma senza dubbio l’idea di evocare l’esperienza più estrema che possiamo immaginare era, a suo modo, un modo di esorcizzarla.

Affrontare i demoni più innominabili tramite la propria arte e, spesso, con ironia è una pratica che va oltre l’ambiente della stand-up. In passato ce l’hanno insegnato Harvey Pekar, con il suo American Splendor, oppure il Cancer Special di Tom Green, che mandó in onda parte della propria operazione ai testicoli su MTV. Piú vicini a noi mi vengono in mente il mio amico Filippo Minelli (di cui ho parlato già su Studio) e, ancora più recentemente, il caso di Salvatore Iaconesi, media artista colpito da un tumore al cervello.

Nel caso di chi approccia la vita con sarcasmo e ironia per professione, peró, affrontare l’impronunciabile con gli stessi attrezzi con cui si masticano le attese in aeroporto e le banali differenze tra uomini e donne è una sfida dove in gioco c’è tutto, dall’integrità psicofisica a quella professionale. Se accompagnata da una sana risata, la negazione di ogni sacralità, di ogni punto fermo, può essere l’unico sforzo intellettuale rimasto per accettare il flusso dell’inevitabilità cosmica, lo svolgersi di un’esistenza destinata a estinguersi senza eleganza, come una bollicina sul bagnasciuga. Oppure a trionfare, a rimbalzare più in alto di prima. Questo è quello che Tig Notaro e gli altri ci hanno insegnato, e poco importa che adesso Louis CK si sia messo a vendere il cd della performance al Largo in esclusiva dal suo sito (il ricavato va in beneficienza per combattere il cancro al seno, ma non tutto), lei il suo messaggio l’ha mandato ed é quello l’importante: nel dubbio se ne può sempre ridere.

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