Cultura | Arte

Piccola guida per l’Art Week

Con la prima edizione di Miart dopo l'annullamento per la pandemia, dal 13 al 19 settembre Milano si riempie di arte.

di Germano D'Acquisto

Olivia Parkes, Temperance, 2020, Courtesy C+N Canepaneri, Milan/Genoa

Qualche anno fa era stata la Stonehenge gonfiabile dell’artista Jeremy Deller a CityLife a fare da apripista. Poi è stata la volta dei caselli neoclassici di Porta Venezia avvolti con centinaia di sacchi di juta firmati da Ibrahim Mahama. L’anno scorso la pandemia ha congelato tutto. Ora miart, la fiera d’arte contemporanea allestita negli spazi di fieramilanocity torna finalmente a risplendere, anzi a sbocciare (dato che il titolo dell’edizione 2021 è Blossoming of Trust) dal 17 al 19 settembre. Guidata per la prima volta da Nicola Ricciardi, si prepara a trasformare la città nella cuore pulsante della creatività. Tutto questo, proprio ad una manciata di giorni dall’apertura di Art Basel, madre di tutte le fiere d’arte internazionali, e poco dopo la scorpacciata di design. Un incastro in stile Tetris con cui miart si presenta offrendo un programma con 145 gallerie provenienti da una ventina di Paesi e trecento artisti racchiusi in cinque sezioni che spaziano dal contemporaneo ai grandi maestri fino ai next to be.

La art week, dal 13 al 19 settembre, sarà tutta un brulicare di mostre e performance che coinvolgeranno istituzioni, fondazioni, soggetti pubblici e privati. A fare da capofila al ricchissimo programma, il progetto Starry Words. Ambizioso e poetico, prende spunto dai versi della poetessa femminista americana Adrienne Rich – «freedom is daily, prose-bound, routine remembering. Putting together, inch by inch the starry worlds. From all the lost collections…» – attraverso cui la fiera coinvolgerà vari spazi cittadini (dalla Fondazione Prada ai Chiostri di Sant’Eustorgio, dove inaugura la mostra Testa Cristiana di Alessandro Pessoli) chiedendo agli artisti in scena nelle mostre di settembre di condividere frasi, quotes e frammenti significativi per il loro lavoro. L’effetto finale sarà una sorta di mappa poetica di tutta la città di Milano. Città, come detto, letteralmente invasa dalle mostre. Al Pac Padiglione d’Arte Contemporanea c’è della personale dedicata a Luisa Lambri (è l’ultima settimana per visitarla: chiude il 17 settembre). Autoritratto raccoglie soprattutto immagini di soggetti che ruotano attorno al rapporto fra l’uomo e lo spazio e affronta temi come la politica della rappresentazione, l’architettura, la storia della fotografia astratta, il modernismo, il femminismo, l’identità e la memoria. Poi ci sono Neil Beloufa con la sua Digital Mourning e Maurizio Cattelan con Breath Ghosts Blind all’Hangar Bicocca. Il primo, uno degli artisti più brillanti della generazione degli anni ’80, gioca con l’esperienza sensoriale dello spettatore invitandolo, tramite video, sculture e installazioni tecnologicamente complesse, a confrontarsi come il nazionalismo, la sorveglianza digitale e il post-colonialismo. Cattelan invece sceglie di raccontarci la sua personalissima versione del ciclo della vita. L’opera più importante (e instagrammata) è “Blind”, una sorta di memoriale dell’11 settembre di cui ricorre proprio in questi giorni il ventennale. «Ero a New York quel giorno», ha raccontato l’artista, «e mi stavo preparando a salire su un aereo. Sono dovuto poi tornare a casa a piedi da LaGuardia, ci sono volute ore e le cose che ho visto nel tragitto mi accompagnano tuttora».

Dall’attualità alla finzione. Alla Fondazione Prada c’è Simon Fujiwara che ci porta dritti nel mondo di Who the Bær, un curioso personaggio dei cartoons che vive in un universo creato dallo stesso artista londinese. Le avventure di Who the Bær si sviluppano dentro un grande labirinto di cartone e materiali riciclabili e ci svelano momenti felici o traumatici. Dalle sessioni di terapia alle fantasie sessuali fino ai sogni distopici in un viaggio alla continua ricerca di un sé autentico. Operazione nostalgia invece alle Gallerie d’Italia che presentano una mostra tutta dedicata alla pittura italiana degli anni ’80. Painting is Back fino al 3 ottobre racconta l’evoluzione degli artisti che hanno dominato il decennio “da bere” sia a livello nazionale che internazionale. Un tour in 60 opere facendo lo slalom fra i dipinti di Sandro Chia e Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Mario Schifano, Carol Rama e Gino De Dominicis.

E poi ci sono le gallerie. Da Ordet in via Adige c’è Jeremy Shaw con la personale Tracer Recordings: foto e installazioni che indagano uno dei temi più caldi dell’artista, gli stati di alterazione e l’ampio spettro delle loro manifestazioni, da quelle somatiche e comportamentali a quelle sociali e scientifiche. Da Giò Marconi in via Tadino, torna la coppia Nathalie Djunberg e Hans Berg, alla loro quarta mostra da queste parti. Il loro The Soft Spot è uno slalom fra video in stop-motion, suoni, sculture e installazioni su larga scala, con cui vengono affrontati argomenti come sessualità, lussuria, sottomissione, paura, perdita, gelosia, sfruttamento e avidità. Patrick Tuttofuoco è la star di Like They Were Eternal alla Schiavo Zoppelli Gallery. Più che una mostra, una seduta di meditazione in cui l’artista milanese grazie a un’installazione immersiva si cimenta in un’interpretazione di concetti quali il dualismo tra anima e corpo, la vita sulla terra e l’aldilà e il tempo presente sospeso. Fari puntati su Marta Riniker-Radich invece all’Istituto svizzero. L’artista Bernese, classe 1982, mette in scena Patience Will Reward Those Who Lie in Wait, una serie di disegni a matita di piccolo formato con cui l’artista parla di pressione sociale e psicologica in rapporto alle condizioni di lavoro, stress dell’ufficio e monotonia della giornata. Welcome Wonderer è invece il titolo della personale di Matteo Masini da Clima, a cura di Treti Galaxie. E poi un’interessante novità: il 14 settembre, in Corso Buenos Aires 2, ha inaugurato L.U.P.O,  una nuova galleria fondata da Massimiliano Lorenzelli (classe 1995) che fino al 31 ottobre ospiterà la mostra di Francesco Snote, Sulle colazioni e sulle imboscate.

Non mancano appuntamenti riservati a chi ama la fotografia. Ne scegliamo due su tutti: Instant Warhol alla Galleria Tommaso Calabro presenta fino al 23 ottobre una selezione di Polaroid e stampe alla gelatina d’argento griffate dal padre della pop art in cui compaiono amici, stelle di Hollywood, membri del jet set internazionale, fra cui Gianni Agnelli, Bianca Jagger, Grace Jones, Basquiat e Valentino. In scena anche gli scatti delle serie Sex Parts and Torsos e Ladies and Gentlemen e gli autoritratti dell’artista truccato da drag queen o con la sua leggendaria parrucca bionda. L’altro rendez-vous fotografico da segnare con in agenda è quello con Irving Penn a cui la Cardi Gallery dedica una bellissima e attesissima mostra (la prima a Milano dopo 30 anni). Realizzata in collaborazione con The Irving Penn Foundation, gli spazi di via Porta Nuova esporranno fino al  22 dicembre scatti realizzati tra gli anni 40 e gli anni 90, ripercorrendo i momenti clou della sua carriera artistica di questo mostro sacro. Da non perdere, oltre ai ritratti e ai servizi di moda, una selezione di immagini che sottolineano il legame che univa il maestro e l’Italia. A questo tema è dedicato tutto il primo piano della galleria. Se non ne aveste ancora abbastanza, potreste fare un salto a Palazzo reale dove il 18 settembre apre la mostra dedicata a Monet con 53 lavori provenienti dal Museo Marmottan di Parigi. Un compendio di tutta la sua poetica: dalle ninfee fino al rarissimo Le rose, ultimo gioiello firmato nel 1926 dal pittore francese prima di morire nella sua Giverny.