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Questo mondo è un incubo perché è il frutto dei nostri migliori sogni
Il sovraffollamento del Pianeta è conseguenza del progresso tecnico e scientifico. Ma si può tornare indietro o bisogna andare avanti?
Un branco di orsi polari si nutre in una discarica vicino al villaggio di Belushya Guba nel remoto arcipelago di Novaya Zemlya nella Russia settentrionale (Photo by ALEXANDER GRIR/AFP via Getty Images)
L’espressione “avete rubato i nostri sogni”, diventata celebre anche grazie a Greta Thunberg, da un parte sollecita il nostro utile attivismo, dall’altra ci propone un dilemma: ma non è che sono i nostri sogni migliori a produrre incubi? Il tema dell’incubo è spesso proposto dagli ecologisti che leggono la modernità sottolineando alcuni parametri non entusiasmanti, come appunto le conseguenze del cambiamento climatico antropico che, ripetiamolo come un mantra, è oggettivo, passato in giudicato, agli atti insomma. Tuttavia, e da qui si dispiega il dilemma, anche se consideriamo tutti i parametri negativi, bisogna essere abbastanza coraggiosi da dire che questo mondo è sì un incubo ma perché frutto dei nostri migliori sogni. Il dilemma cioè mette in relazione in maniera logica i nostri sogni migliori e i nostri incubi peggiori: gli uni sono conseguenza degli altri.
Per grandi linee la storia del mondo è facile da raccontare, si divide in due grandi blocchi, diciamo così, e in due Paesi: il paese di Pinocchio e quello di Masterchef. Il primo parla della fame e della miseria (fame è una delle parole più ricorrenti nel romanzo), il desiderio dei protagonisti di Pinocchio è sempre lo stesso: mangiare o visitare il paese dei Balocchi. Bene, ora siamo nel mondo di Masterchef, il desiderio di Pinocchio si è avverato, basta entrare in un supermercato e assaggiare tutto quel ben di Dio. Il paese di Pinocchio è durato millenni, quello di Masterchef è appena arrivato, 60 anni fa (e non è ancora disponibile a tutti).
Consideriamo solo due parametri. Aspettativa di vita e mortalità infantile. Nel paese di Pinocchio è stata costante, intorno ai 35 anni di vita. Così era tra i primi agricoltori, 10 mila anni fa, così era quando nel 1881 è cominciata la pubblicazione a puntate di Pinocchio. Oggi siamo arrivati quasi a 83 anni, l’Italia, come si dice, è leader nel settore, condivide questo primato col Giappone. L’aspettativa di vita era così bassa perché altissima era la mortalità infantile.
Vaclav Smil da anni ripete che la mortalità infantile è il miglior parametro per definire la qualità della vita (altro che Pil). Nel paese di Pinocchio quel parametro era uniformemente distribuito (un bambino su cinque o uno su tre non superava l’anno di età). Oggi se muore un bambino ci facciamo caso e ne chiediamo giustamente conto (c’è da dire che la mortalità infantile è ancora altissima in una dozzina di nazioni subsahariane).
Il premio Nobel per l’economia R. W. Fogel definiva il XX secolo come «il secolo notevole». Nonostante le due guerre e l’orribile genocidio degli ebrei, siamo stati capaci di sconfiggere fame, carestie e morte prematura. Quindi abbiamo sognato un mondo diverso e i nostri sogni hanno prodotto un’alimentazione migliore, migliori pratiche igieniche, scoperte fondamentali (antibiotici e vaccini), fognature e bagni piastrellati ed eccoci qua: con un apparato immunitario rafforzato (non più indebolito dalla fame) siamo stati capaci di produrre l’accelerazione demografica e tecnologica di Masterchef.
È cambiato tutto: quando sono nato (1966) c’erano poco più di 3 miliardi di persone. Nel 1974 (prima vacanza a Rimini) altro miliardo, 1985 (seconda vacanza a Londra) eravamo 5, 1999 (quell’anno non ho fatto niente) 6, 2010, 7 e ora andiamo per gli 8 miliardi. Capite il cuore del dilemma? Abbiamo sognato un mondo libero dalle piaghe, ce ne siamo liberati, di conseguenza siamo cresciuti in numero e impattiamo di più (anche se ora a crescere sono solo alcuni Paesi poveri). Pensate se il medico John Snow avesse bruciato le mappe dei pozzi inquinati dal colera, pensate un’agricoltura senza rivoluzione verde, pensate se i vaccini non fossero stati inventati, pensate agli antibiotici, ai progressi della medicina. Senza di loro staremo ancora nel mondo di Pinocchio, quindi nemmeno un miliardo di cittadini, la maggior parte poveri analfabeti e guerrafondai, però forse con uno stile di vita meno impattante.
Invece siamo 8 miliardi. Vogliamo vivere, anzi ripartire, come diciamo ogni giorno, dopo la pandemia e grazie ai vaccini, riprendiamoci la notte a suon di aperitivi, viaggiamo. Sogniamo di vivere e produciamo un incubo, affrontiamo l’incubo e produciamo altri sogni e così via: è il dilemma. Che si fa? Alcuni sono disperati, dicono: continueremo a sognare e progredire, andiamo verso i 120 anni di vita. Ci pensate? 10 miliardi di persone che vivono 120 anni, povero pianeta e poveri altri pianeti che andremo a colonizzare. Dobbiamo fermarci. Ma a parte che ci stiamo già fermando dal punto di vista demografico, gli attuali cittadini del mondo hanno gli stessi desideri, per realizzarli ci vuole energia e sfruttamento di risorse. Dai, è il cuore del dilemma: il problema della vita è la vita stessa!
Vero – dicono – allora se siamo il problema smettiamo almeno di far figli così non passeremo il testimone dei sogni ai nostri figli: non gli passiamo l’incubo e il cerchio si chiude. Tanto come dice il padre degli antinatalisti, il filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe, a parte che la vita non ha nessun senso (e su questo c’ha ragione), ma è proprio il tentativo di dar senso alla nostra vita (cos’è la vita senza un sogno) a rendere la vita complicata per noi e pericolosa per il pianeta.
Non per niente Zapffe è stato l’ispiratore di alcune tematiche ambientaliste, quelle che vedono l’uomo come un problema. Quindi che facciamo? Sogniamo o smettiamo? Andiamo via o restiamo? Se andiamo va bene, tanto nulla è eterno, non lo è la nostra vita, la plastica, il pianeta, il sistema solare, galassia e universo, allora diciamo che scendiamo prima. Se restiamo (io sarei di questo avviso) facciamo i conti col dilemma: continueremo a sognare e a impattare sul pianeta. Sì, forse sempre un po’ di meno ma tuttavia sarà difficile trovarsi in un sogno perfetto, di quelli puri eterei, senza scorie, dove i nostri corpi sembrano leggeri e incontaminati: sogni e incubi hanno lo stesso peso, quindi se decidiamo che restiamo il problema sarà come gestire il peso. Sembra poco ma a pensarci è un incubo.