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Tra i ghiacci dell’Antartide c’è il futuro della Terra

Cambiamento climatico, ricerca di materie prime, terraformazione: il continente è una finestra aperta su quello che sarà dell'umanità. Ne abbiamo parlato con Biagio Di Mauro, ricercatore che ha passato due mesi in Antartide.

di Davide Frigoli

L’Antartide si nasconde benissimo, non incide sull’inflazione, sulla politica interna, sul dibattito sull’intelligenza artificiale. Non è al centro del tavolo geopolitico, il suo nome non è gridato dagli attivisti climatici, non è tema di Cop e incontri al vertice. O almeno non ancora. Lontano e inaccessibile, l’ultimo continente ancora per buona parte ignoto, non partecipa al flusso di rumore che ogni giorno ci avviluppa, raramente è oggetto di discussione, se non tra gli addetti al settore. Con la sua superficie ghiacciata e praticamente senza vita, grande una volta e mezza l’Europa, è una specie di fantasma nonostante sia quanto di più importante per il futuro del nostro pianeta. Un’assenza “fisica”, di cui è certamente responsabile la sua inospitalità, ma c’è anche un’altra ragione: i suoi confini, sui planisferi, patiscono più di tutte le terre emerse la deformazione della proiezione di Mercatore (la stessa usata da Google Maps), sia in termini di rappresentazione che di proporzione reale. Il planisfero dell’età moderna infatti, posizionando l’Europa al centro e dilatando sempre di più la dimensione delle terre passando dall’equatore ai poli, è responsabile sia di una concezione eurocentrica del globo, che ha portato nella coscienza comune a identificare il nord come “sopra” e il sud come “sotto”, sia di una rappresentazione distorta delle reali grandezze dei continenti e nel caso dell’Antartide, il quarto al mondo per estensione, anche della reale forma. L’Antartide su Maps appare come un muro di ghiaccio ai piedi del mondo, la vittima più illustre della nobile arte della “tassidermia” cartografica (come ironizza il giornalista scientifico Joshua Sokol sul Times), sbucciata come un’arancia di cui poi si è stesa la pelle. Provate a immaginare la forma dei suoi confini, di sicuro visualizzarla non sarà così immediato come per uno qualsiasi degli altri continenti. Cinque secoli dopo Mercatore, Gott, Vanderbei e Goldberg (googlate Princeton re-imagine world map) hanno pensato che fosse il momento di spodestarlo e di trovare il modo per realizzare un planisfero con il minor indice di errori di distanza, forma e proporzioni; non solo per correttezza scientifica ma anche per imprimere nella coscienza comune una percezione del globo non influenzata dalla gerarchia di cui, con buona pace del suo creatore, è responsabile la mappa per eccellenza. Questa nuova proiezione ha due lati come un Lp in vinile. E basta guardare uno dei lati per scoprire che l’Antartide è al centro del mondo molto di più di quanto crediate, nonostante si sia nascosto così bene fin dall’inizio della storia umana. Per verificare la “centralità” dell’Antartide ho avuto l’occasione di intervistare Biagio Di Mauro, che in Antartide c’è stato con la trentottesima spedizione del Pnra, il Programma nazionale di ricerche in Antartide del ministero dell’Università e della Ricerca, gestito per la parte logistica da Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, e per quella scientifica dal Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, dove Di Mauro dal 2020 ricopre il ruolo di ricercatore all’Istituto di Scienze polari, occupandosi di analisi di immagini satellitari (remote sensing) della criosfera, ovvero della parte ghiacciata della Terra

La prima cosa che ho avvertito sfogliando lo snowfall (pagina web che combina grafici e testo con animazioni che accompagnano la lettura) realizzato in occasione della vostra spedizione, è che parlare di Antartide significa parlare del passato più remoto e del futuro più attuale. Di risorse e cambiamento climatico. Di guerra. Forse anche di utopia, di pace. Il continente antartico è un unicum geopolitico, dove vige un trattato internazionale per gli usi pacifici del continente, nell’interesse dell’umanità, la conservazione della flora, della fauna e dell’ambiente naturale. Quanto ha giocato, in questo capolavoro di rapporti bilaterali più unico che raro, il fatto che l’Antartide sia quanto più di inospitale per la vita?
L’inaccessibilità e l’inospitalità dell’Antartide hanno sicuramente giocato un ruolo di rilievo. In tutta la storia dell’uomo, nessuna popolazione (prima dei ricercatori!) si è stabilita in questo continente. L’Antartide è un continente freddo circondato dagli oceani più agitati del pianeta. Durante l’epoca eroica delle spedizioni antartiche, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, le motivazioni erano le stesse che hanno spinto l’uomo sulla Luna negli anni ’60: esplorare l’ignoto. Ma anche cercare nuove risorse e terre abitabili. L’Antartide è un continente dedicato interamente alla ricerca scientifica. Questa cosa non ha precedenti. Il settimo continente è come un pianeta o una luna sulla Terra. Il Trattato Antartico firmato nel 1959 e sottoscritto dall’Italia nel 1981 regola cosa si può e non si può fare in Antartide. Al momento non si possono sfruttare le risorse (minerarie, idriche, etc.), ma è possibile che questo cambierà in futuro generando nuovi interessi e conflitti.

La storia delle spedizioni italiane in Antartide coincide con la tua età, è infatti tra il 1986 e il 1988 che diventa operativa la prima base, la Mario Zucchelli, su una piccola penisola rocciosa lungo la costa della Terra Vittoria settentrionale, tra le lingue dei ghiacciai Campbell e Drygalski. La stazione, aperta solo durante l’estate antartica, può ospitare contemporaneamente circa 100 persone e tu eri una di queste. Quanto tempo hai passato presso la Zucchelli?
Ho passato 55 giorni nella Stazione Mario Zucchelli (o MZS come la chiamano tutti in Antartide). La mia spedizione in realtà è durata di più, poiché raggiungere l’Antartide richiede i suoi tempi. Infatti sono atterrato a Christchurch in Nuova Zelanda il 16 novembre, e dopo 5 giorni di quarantena nella campagna neozelandese (presso Methven, un paese che in realtà è un incrocio, dove ci sono più pecore che umani e il cui nome lascia immaginare un paradiso per appassionati di metamfetamina) sono salito su un rumoroso e affollato C-130 dell’Aeronautica Militare che mi ha portato alla base americana McMurdo. Da lì un traballante aereo Basler mi ha portato nella Baia Terra Nova, dove si trova la stazione costiera italiana. Il ritorno è stato ancora più lungo, poiché con lo stesso Basler ci siamo spostati nella base francese Dumont D’Urville nella Terra Adelia attraversando il plateau antartico. Poi da lì con la nave rompighiaccio francese Astrolabe abbiamo raggiunto la Tasmania dopo 7 giorni di navigazione, attraversando i “40° ruggenti, i 50° urlanti e i 60° stridenti” [gradi di latitudine sud, nda].

Qual era lo scopo della spedizione?
Sono coordinatore del progetto “BioGeoAlbedo” supportato dal Programma nazionale di ricerche in Antartide. Il mio progetto è volto allo studio dei ghiacciai presenti nella Terra Vittoria settentrionale, e in particolare si concentra sulle impurità presenti nel ghiaccio superficiale. Queste impurità possono essere di natura sia biologica e minerale, e hanno l’effetto di diminuire l’albedo (“riflettività”) del ghiaccio, aumentandone la fusione. Di fatto siamo andati a caccia di polvere e microbi per i ghiacciai antartici. Contemporaneamente alle nostre misure in campo, dei satelliti delle agenzie spaziali italiana (Asi), americana (Nasa), europea (Esa) e tedesca (Dlr) acquisivano immagini utili per mappare la presenza di queste impurità dallo spazio. Questo tipo di approccio è utile anche per la “life detection” sulla superficie di pianeti o lune ghiacciate del Sistema solare, ma non solo.

Prima di partire hai partecipato all’addestramento per prepararti a vivere del più grande deserto di ghiaccio del pianeta, un luogo più simile a Marte che alla Terra. L’addestramento oltre a prepararti per l’ordinario, ti ha naturalmente dato gli strumenti per affrontare le emergenze, anche quelle psicologiche. Come è andata sotto questo punto di vista?
Si, l’Enea organizza un corso di una settimana al Centro del Brasimone sull’Appennino Tosco-Emiliano. L’obbiettivo del corso è preparare i neofiti a quello che li aspetterà in Antartide. Le stazioni antartiche sono luoghi di isolamento. Si ha a che fare sempre con le stesse persone, in luoghi angusti e spesso affollati. Bisogna cercare di mantenere il controllo e non lasciarsi sopraffare dalla situazione. Nel mio caso, ho cercato di mantenere la concentrazione alta sul mio progetto, senza pensare ad altro. Le nostre spedizioni si svolgevano nell’arco di una giornata, in cui ci muovevamo in elicottero alla volta di questo o quel ghiacciaio. Quindi ogni giorno dovevo pianificare quello successivo sulla base di ciò che osservavamo sui ghiacciai. C’è stata una buona cooperazione con altri ricercatori in base e siamo riusciti a portare a casa dei dati unici nel loro genere. Abbiamo fatto volare droni su ghiacciai, lanciato rover sottomarini per esplorare degli effimeri laghi supra-glaciali, campionato ghiaccio e detriti in zone che forse non erano state ancora visitate da nessun essere umano. Questa cosa mi stimolava molto e avevo una specie di “bulimia della scoperta”, per cui dimenticavo le brutture dell’isolamento

Oltre a essere un esperto di ghiacciai sei anche un appassionato dei sottogeneri più sperimentali del metal, come il drone e il doom. Una musica dalle sonorità “estreme” in quanto si posiziona ai limiti della musicalità tout court e che presenta più di una analogia con la geologia antartica. Possiamo dire che ci sono diverse probabilità che tu sia la prima persona della storia ad aver ascoltato band come i Sunn O))) durante le tue escursioni antartiche. O forse il luogo era cosi drone già di per sé che hai optato per altre playlist?
Mi sono preparato delle playlist prima di partire per l’Antartide, ma non ho ascoltato molta musica. Come dicevo, i luoghi nella base sono molto ristretti e gli spazi personali sono ridotti al minimo. Al di là delle nostre spedizioni, potevamo muoverci nei dintorni della base, ma sempre in gruppo e comunicando via radio alla sala operativa i nostri spostamenti. Quindi diciamo che non uscivo da solo ascoltando i Sunn O))) per i ghiacciai. Ho riflettuto molto sul concetto di drone quando ero in Antartide. Questo tipo di musica fa uso di suoni ripetuti e molto dilatati che a volte fanno da tappeto per la meditazione. Per me il drone è la musica più profonda della natura: è il suono emesso dai vulcani in eruzione, è il boato di un terremoto o di una frana, oppure è il vento catabatico in Antartide. Questo vento è uno dei più forti del pianeta e può raggiungere velocità impressionanti (fino a 200km/h). Noi pianificavamo le nostre campagne in modo da evitare di incontrare questo vento, ma qualche volta ci è successo di trovarci al suo cospetto. In quei giorni, ricordo di aver pensato: “Ok, questo è solo un assaggio di ciò che può essere l’Antartide”. Quando sei in base non ti rendi davvero conto del posto in cui ti trovi. L’Antartide è un posto inospitale e con il suo potente vento catabatico (che spira sempre dal centro della calotta verso la costa) cerca di spingere fuori gli intrusi. Pensavo anche alle Avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe e alla reale difficoltà di raggiungere questo luogo senza mezzi tecnologicamente avanzati. In questo senso l’analogia con l’esplorazione spaziale è ancora più calzante.

Com’è il cibo nella stazione?
Nella stazione ci sono due cuochi e un panettiere che lavorano a ciclo continuo per preparare da mangiare al personale tecnico e scientifico. Fanno un ottimo lavoro con materie prime per lo più surgelate. C’è una grotta chiamata “food cave” all’interno di un ghiacciaio dove viene conservato il cibo necessario per le spedizioni. Il cibo fresco proviene da Nuova Zelanda o Tasmania e arriva molto raramente a bordo di navi cargo o aerei militari. Mi è mancato molto mangiare asiatico, ricordo che una sera con il mio collega abbiamo mangiato dei cup noodle donati dai vicini coreani della stazione Jang Bogo, è stato un ottimo diversivo!

Studiare l’Antartide è guardare attraverso la porta che dà sul futuro: cambiamento climatico, approvvigionamento delle materie prime critiche, terraformazione, il continente antartico è una sorta di grande laboratorio per le questioni scientifiche più importanti del prossimo futuro. Quanto lo studio di questa terra è cruciale per affrontare le sfide che l’umanità ha di fronte?
Molto. La maggior parte dell’acqua dolce della terra si trova in Antartide. Se questa fondesse completamente e si riversasse nell’oceano, alzerebbe il livello medio dei mari di circa 60 metri. Studiare i processi che governano la fusione dei ghiacci in Antartide è di fondamentale importanza per prevedere i cambiamenti climatici futuri. Inoltre l’Antartide è un archivio climatico formidabile, poiché nei suoi ghiacci è conservata la storia del clima dell’ultimo milione di anni (circa).

L’Antartide potrà diventare il casus belli di guerre future? Cosa è necessario fare per scongiurare questa possibilità dal punto di vista della ricerca e della scienza?
Fino a che regge il trattato antartico, questa cosa dovrebbe essere improbabile. Dal punto di vista scientifico è necessario mantenere attiva la ricerca in Antartide e sostenere la cooperazione tra i diversi Stati che operano in questa zona remota.

D’altra parte può essere anche il continente della pace, la ragione per iniziare a collaborare non come Paesi distinti ma come pianeta Terra. Qualcosa di simile alla stazione spaziale internazionale. Cosa ne pensi?
Si, mi sembra una analogia azzeccata. In questi ambienti estremi la cooperazione tra diversi Stati è fondamentale. In alcuni casi le basi antartiche sono addirittura più estreme della stazione spaziale internazionale. Questa infatti può essere evacuata in tempi relativamente rapidi in caso di emergenza, invece durante l’inverno polare alcune basi, come ad esempio quella italo-francese Concordia situata al centro del plateau antartico, sono davvero inaccessibili.

Ti chiedo infine se è vero che, una volta messo piede in Antartide, è assai arduo liberarsi dal suo influsso, dalla sua facies più esoterica, come scrisse Douglas Mawson, l’esploratore britannico che guidò una spedizione in Antartide dal 1911 al 1914: «Siamo venuti per sondare il mistero, per ridurre questa terra ai termini della scienza. Ma c’è sempre l’indefinibile che rimane in disparte, che avvince l’anima». Si torna mai veramente indietro dall’Antartide?
Con l’Antartide si sviluppa facilmente un rapporto intimo. Ci si identifica con alcuni aspetti di questa terra incognita e non si vede l’ora di tornarci. L’Antartide diventa un chiodo fisso, ci si pensa continuamente una volta rientrati nella vita di tutti i giorni. Sembra che i fatti di attualità o politica abbiano una minore importanza e mi trovo spesso a fantasticare su future ricerche da fare laggiù. L’Antartide diventa un luogo della mente, sconvolge il tuo senso della scala. L’assenza di paesaggio diventa il paesaggio stesso. L’Antartide è un luogo impossibile dove tutto o quasi niente può succedere.