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Anche stavolta il premio di Designer of the Year l’ha vinto Jonathan Anderson È la terza volta consecutiva, stavolta ha battuto Glenn Martens, Miuccia Prada, Rick Owens, Martin Rose e Willy Chavarria.
L’Oms ha detto che i farmaci come Ozempic dovrebbero essere disponibili per tutti e non solo per chi può permetterseli Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, in futuro bisognerà garantire l'accesso a questi farmaci a chiunque ne abbia bisogno.
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Il sindaco di Pesaro si è dovuto scusare perché ha coperto di ghiaccio la statua di Pavarotti per far spazio a una pista di pattinaggio Ma ha pure detto che Pavarotti resterà "congelato" fino a dopo l'Epifania: spostare la statua o rimuovere la pista sarebbe troppo costoso.
Siccome erano alleati nella Seconda guerra mondiale, la Cina vuole che Francia e Regno Unito la sostengano anche adesso nello scontro con il Giappone Indispettita dalle dichiarazioni giapponesi su Taiwan, la diplomazia cinese chiede adesso si appella anche alle vecchie alleanze.
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.

Andor, uno Star Wars in cui si scopa

Oggi arriva su Disney+ l'ultimo episodio della prima stagione della serie creata e diretta da Tony Gilroy, che in dodici puntate ha portato la saga dove nessuno aveva mai osato prima.

23 Novembre 2022

Dal 1977 a oggi, nella galassia lontana lontana di Star Wars nessuno ha mai scopato. In 55 anni e un’infinità di storie raccontate su ogni mezzo – cinema, tv, romanzi, fumetti, videogiochi, giochi di ruolo e da tavolo – il massimo piacere della carne concesso ai personaggi della saga è stato un bacio sulla bocca. In Star Wars ci si bacia, ci si abbraccia, si dorme assieme, si fanno figli assieme ma non si scopa. Poi su Disney+ è arrivato Andor e in Star Wars il sesso: la prima scena di Andor è ambientata in un bordello, con tanto di barista provocante, clienti molesti, matrona ammiccante sempre pronta a snocciolare l’elenco delle grazie delle sue ragazze. Nella galassia lontana lontana quindi non solo si scopa ma per scopare si è disposti anche a pagare. «Si capiscono un bel po’ di cose quando all’inizio del primo episodio si ci ritrova a dire “Whoa! Ok, quindi è così che sarà questo show”», ha detto in un’intervista a Rolling Stone il creatore e showrunner della serie Tony Gilroy. Una scena per cambiare Star Wars, due per stravolgerlo: uscito dal bordello senza aver scoperto nulla della sua perduta sorella minore, Cassian – Andor, il protagonista della serie – uccide l’equivalente intergalattico di due guardie giurate, soldati dell’esercito privato della Preox-Morlana, una delle aziende alle quali l’Impero appalta la gestione dell’ordine pubblico in pianeti minori come Morlana One. Siamo al decimo minuto del primo episodio e il protagonista di Andor è già un puttaniere, un assassino e un fuggitivo. «Volevo pervertire Star Wars», ha ripetuto in più occasioni Gilroy.

Oggi su Disney+ è arrivato il dodicesimo e ultimo episodio della prima stagione di Andor, ma la perversione di Star Wars Gilroy l’ha già compiuta da un pezzo. L’iconoclasta in lui lo avevamo conosciuto subito, nelle interviste concesse dopo i primi episodi dello show. Ma perché in Andor nessuno sa chi sono i Jedi, gli chiedevano tutti. Ma davvero non vedremo nemmeno una spada laser, gli ripetevano in continuazione. «Sono argomenti già trattati», rispondeva lui con il tono notarile di chi sa che per i fan(atici) di Star Wars non c’è uomo peggiore di quello che ignora le loro ossessioni d’infanzia. E allora di cosa parla Andor, se non ci sono Jedi e le spade laser e i Sith e la Forza e le guerre stellari? «Parla di oppressione. Parla di colonialismo. Parla dell’abuso di potere. Parla di rivoluzione. Parla di ciò che succede dalla prima volta che un gruppo di persone si è ritrovato nella piazza del paese», ha detto Gilroy cercando di spiegare perché la storia della Ribellione non può essere che quella di tutte le ribellioni. Gilroy ha anche avuto il coraggio – chi conosce i fan di Star Wars sa che di coraggio vero si è trattato – di ammettere che la sua principale ispirazione per Andor non l’ha trovata nel canone di Guerre stellari: Andor è la sua versione di The Winds of War di Herman Wouk, epopea bellica, racconto epistolare del mondo dall’invasione della Polonia del ’39 all’attacco a Pearl Harbor nel ’41. C’è la dittatura totalitaria dell’Impero Sith e c’è la resistenza dei primi partigiani della Ribellione, sullo sfondo si vede la guerra che verrà tra queste forze: Andor è, in effetti, una trasposizione quasi fedele del romanzo di Wouk. Ma a differenza di Winds of War, i fatti qui occupano uno spazio minore e il racconto sta tutto nei suoi protagonisti, figure minori che si muovono ai margini della Storia con la S maiuscola, faccendieri che osservano da terra gli eroi che combattono tra le stelle. Se la storia di Andor è quella di Winds of War, i suoi protagonisti – Cassian soprattutto ma non soltanto – sono quelli della Spia che venne dal freddo di le Carré, lo stesso branco di sporchi squallidi bastardi, ominicchi, ubriaconi, ambigui, mariti cornuti, pubblici ufficiali che giocano a “Cowboy e indiani” per ravvivare le loro miserabili vite che Leamas sconfessava preso dalla rabbia e dall’autocommiserazione.

«Voglio che siate veri e voglio che vi dimentichiate di Star Wars», ha detto Gilroy a cast e troupe nei primi giorni di riprese di Andor, quando ha notato che le persone tendevano a cambiare il loro modo di fare, dire e pensare le cose quando si trattava di fare, dire e pensare cose relative a Star Wars. Un lavoro che ha fatto lui per primo e su se stesso: Gilroy lo conosciamo come lo sceneggiatore dell’Avvocato del diavolo, di Armageddon, della trilogia di Jason Bourne, di Michael Clayton, ma è stato anche la mente e la mano – quando Disney si accorse che il film non andava bene, affidò a lui il compito di aggiustarlo rigirando certe scene – dietro Rogue One, il film che racconta il gruppo di ribelli (di cui Cassian Andor faceva parte) che rubò i piani della prima Morte Nera, distrutta poi da Luke Skywalker in Una nuova speranza proprio grazie alle informazioni contenute in quei piani. Al suo cast e alla sua troupe ha detto di fare come lui, che ha accettato di lavorare a un film di Star Wars come a tutti gli altri film della sua vita. Non era un fan della saga – «Non che la odiassi, semplicemente non mi interessava» – e questo gli ha permesso di realizzare forse l’unico film dignitoso della terza era di Star Wars. «Ho fatto le cose a modo mio e alla fine ho vinto».

Ha fatto le cose a modo suo anche con Andor, Gilroy. In controtendenza rispetto al resto dell’industria cinematografica hollywoodiana e al nuovo corso di Star Wars, ha insistito per girare tutta la serie on location invece che in studio, limitando al minimo indispensabile gli inserti di Cgi e costruendo enormi – e costosissimi – set. Perché l’uso/abuso della Cgi costringe a “fissare” la scena prima di girarla, permettendo poi aggiustamenti solo in post produzione. Gilroy, come dai suoi attori e dai suoi collaboratori, voleva che i suoi set fossero veri. E i set di Andor – e la foggia dei costumi di Kate O’ Farrell e i design degli oggetti, degli edifici, delle città di Luke Hull – sono portatori di messaggi: il degrado esistenziale della vita sotto l’Impero è nel sottobosco urbano di Morlana One, così simile alla Los Angeles costruita da Ridley Scott per Blade Runner; il totalitarismo Sith sta nel brutalismo di vetro e acciaio di Coruscant, la città del potere politico ed economico che sembra il futuro di Londra, di New York, di Shanghai; la ribellione sta nelle foreste rigogliose che ricalcano l’Amazzonia, nelle sbarre di prigioni fatte con la stessa lega metallica di quelle di Rikers Island, nelle strade affollate di una metropoli che assomiglia una volta alla Miami di Michael Mann, un’altra alla Belfast del Dopoguerra e un’altra ancora ad Amsterdam negli anni Venti. Tra i grandi meriti di Andor e di Gilroy c’è l’aver restituito finalmente ampiezza, vastità e varietà a un universo che sembrava ormai composto solo dall’infinita ripetizione della stessa città, dello stesso deserto, della stessa foresta.

Ma, soprattutto, Andor e Gilroy hanno il merito di aver liberato Star Wars dal peso della sua stessa leggenda e di aver costruito una storia depurata da costanti, incestuosi riferimenti a se stessa. «Io sono il classico tizio bianco fissato con la storia. Negli ultimi quindici anni ho letto solo saggistica», ha raccontato Gilroy a The Hollywood Reporter, smentendo subito quelli che lo volevano intento a omaggiare Battlestar Galactica. È dalla saggistica che ha preso l’idea per una delle scene fondamentali della serie, quella della rapina. E siccome l’iconoclasta in lui lo avevamo conosciuto subito, di tutte le rapine di cui ha letto negli ultimi quindici anni, ne ha scelta una avvenuta in una banca georgiana nel 1907. I soldi rubati sarebbero stati inviati a Vladimir Lenin per pagare i costi della rivoluzione d’ottobre. Il capo della banda di ladri si chiamava Josip Stalin. «Le rivoluzioni costano. La gente deve mangiare, deve aver armi. Bisogna trovare il modo di comprare quello che serve», ha spiegato Gilroy. Non un pranzo di gala e nemmeno la nobile impresa raccontata da George Lucas alla fine degli anni Settanta. Le Star Wars di Andor sono una perversione di ciò che sono state fin qui le Star Wars di tutti gli altri. Proprio come voleva Gilroy.

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