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La Sagrada Família è diventata la chiesa più alta del mondo Il posizionamento di una parte della torre centrale sopra la navata ha portato l’altezza della chiesa a 162,91 metri superando i 161,53 della guglia della cattedrale di Ulm, in Germania
A giudicare dai nomi coinvolti, Hollywood punta molto sul film di Call of Duty Un veterano dei film bellici e lo showrunner del momento sono i due nomi chiamati a sdoganare definitivamente i videogiochi al cinema.
Dopo 30 anni di lavori e un miliardo di investimenti, è stato finalmente inaugurato il nuovo, gigantesco museo egizio di Giza Sarà il museo più grande del mondo dedicato a una singola civiltà e punta a rilanciare il turismo in crisi in Egitto.
Le dimensioni del massacro in Sudan sono visibili nelle immagini satellitari Il Paese è devastato dal 2023 da una sanguinosa guerra civile su base etnica scatenata dalle Forze di Supporto Rapido (RSF).
Il colpo più duro all’ex principe Andrea non è stata la revoca del titolo, ma il linguaggio usato nel comunicato ufficiale Gli esperti sono rimasti scioccati dal linguaggio “brutale” utilizzato da Buckingham Palace per annunciare che Andrea non sarà più principe.
L’operazione anti narcos a Rio de Janeiro è stata la più sanguinosa nella storia della città 2.500 agenti delle forze speciali brasiliane hanno attaccato il noto gruppo di narcotrafficanti Commando rosso, provocando 138 morti.
La quarta stagione di The White Lotus sarà ambientata tra Parigi e la Costa Azzurra Saltato l’accordo commerciale con la catena di hotel Four Seasons, HBO sta cercando hotel di lusso vista Senna come set della nuova stagione.
Robert Pattinson ha deciso di diventare un cantante e avrebbe già pronto il suo primo album Un’ambizione che coltivava sin dai tempi di Twilight: due brani della colonna sonora del film li cantava lui.

Alighiero e Boetti Day

04 Giugno 2011

“Se di arte si tratta, di artisti si parla” ci ricorda Giulio Paolini. Siamo all’Auditorium RAI di Torino, è sabato pomeriggio: fuori, gli altri, assaporano i primi caldi estivi; noi, dentro, ascoltiamo assorti la testimonianza di cinquanta artisti, critici, ingegneri, musicisti, teorici ed enigmisti. Tutti riuniti a discutere l’opera e le identità multiple di quel mostro sacro di Alighiero Boetti, sciamano e showman dell’Arte Italiana scomparso prematuramente nel ’94.

L’occasione è una maratona di dodici ore effettive e senza pause: una sorta di esperimento collettivo prodotto da Artissima e dalla Fondazione Nicola Trussardi, abilmente orchestrato da Francesco Manacorda, Massimiliano Gioni e Luca Cerizza. Sono loro che hanno scavato nella memoria degli amici ancora vivi dell’artista, hanno ribaltato cassetti pieni di polvere per costruire un amarcord di racconti, album fotografici e documentari inediti che ci catapultano dritti dritti negli anni ’60, in una Torino brulicante di idee, che cova l’Arte Povera e dialoga con il Minimalismo Americano nelle gallerie di Christian Stein e Gian Enzo Sperone, che si ritrova al Piper, dove si balla, si fanno le sfilate e si organizzano sessioni di Living Theatre.

Boetti si muove in una comunità di artisti, designer e architetti che condividono un approccio orizzontale alla società – antipodico rispetto alle logiche del sistema capitalistico integrate nella Pop Art e nella Factory di Warhol – e si riconoscono in un modello di azione collettivo che si declina in scambi e collaborazioni progettuali. Come quella tra Boetti e il designer Clino Castelli per Dossier Postale. Fascicolo 104 (1969/70), un archivio che testimonia l’impossibilità di recapitare 25 lettere, inviate dall’artista a personaggi reali del mondo dell’arte dei tempi, da Ettore Spalletti a Lucy Lippard, ma ad indirizzi inventati.

Un processo che si sostanzia nelle annotazioni dei postini sul retro delle buste, e che già contiene gli elementi intorno cui ruoterà il lavoro di Boetti negli anni: il gioco combinatorio, la duplicazione e l’inversione della realtà, la produzione di modelli logici relativi al sistema culturale dominante. Tutti presenti anche nel tentativo – intrapreso nel 1969 per oltre otto anni – di classificare i mille fiumi più lunghi del mondo. “Un’operazione priva di rilevanza scientifica, dove la geografia non c’entra niente” ci racconta il collezionista e storico dell’arte Giorgio Maffei. Cosa vuole dirci dunque Boetti, lui che nel 1968 invia agli amici una cartolina in cui passeggia mano nella mano con il proprio gemello e che da allora inizia a firmarsi, come ricordato nel titolo della maratona, “Alighiero e Boetti”? Forse che “la realtà non è unica, ma esiste in tante versioni tutte ugualmente vere”, risponde Lawrence Weiner, anche lui ospite. E di conseguenza, l’uomo convive naturalmente con un’identità multipla, schizofrenica.

È di poco successiva la decisione di Boetti di “fare un passo a lato” – per usare le parole dell’amico e collega Piero Gilardi – cioè di partire per l’Afghanistan. È là che apre il celebre One Hotel (1971), una performance permanente dove è il viaggiatore, stanziato, ad accogliere gli ospiti locali, ed è là che inizia la realizzazione dei tappeti con la collaborazione delle ricamatrici Afghane, precorrendo una tendenza attualmente in atto nel sistema capitalistico avanzato sviluppato in questo ultimo decennio. Il perché lo spiega l’economista Pierluigi Sacco: “delocalizzando il suo lavoro a Kabul, Boetti sposta geograficamente il suo centro di attenzione e anticipa concettualmente una realtà in cui l’Occidente non è più al centro dell’universo, perchè la produzione di significato si è spostata altrove”.

Un’altra decisiva intuizione che lo inserisce nell’Olimpo degli artisti, avvalorata dal contributo di un assente Maurizio Cattelan, che delega a Massimiliano Gioni, suo doppio e ghost writer per anni, la scomoda confessione di aver letteralmente saccheggiato le sue interviste. Non senza suggerire, però, una compartecipazione alla colpa dell’artista scomparso, che alla Biennale di Venezia del 1990, in visita al Padiglione Americano di Jenny Holzer, avrebbe omaggiato il giovane e sconosciuto Cattelan di un suo profetico truismo: “Non scrivere cazzate”. E ci spinge a credere che lui, Cattelan, con quelle appropriazioni letterarie, abbia effettivamente colto l’avvertimento.

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