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In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Le architetture domestiche di Aldo Rossi in mostra a Milano

Il Museo del Novecento ospita circa 350 oggetti e manufatti dell’architetto e teorico milanese: un percorso in nove sale che mostra per la prima volta la sua produzione come designer.

11 Maggio 2022

Al giornalista che negli anni ’80 gli domandava come avesse vissuto il fenomeno del design italiano, Aldo Rossi – che era nato nel 1931 – professava senza imbarazzo la propria (presunta) ignoranza. «Avrai però in casa oggetti?», lo incalzava quello. «La mia casa è un insieme di cose trovate, antiche o pseudo-antiche, con poche cose moderne belle: il frigo, la tv…», rispondeva. Il vero apporto del design secondo lui stava nell’efficienza, nella capacità di uno strumento di cambiare il modo di vivere. Eppure durante la sua intensa carriera Aldo Rossi ha creato più di 70 oggetti d’arredo, alcuni dei quali ancora in produzione, altri divenuti delle vere e proprie icone: la Cabina dell’Elba, cabina armadio realizzata nel 1980 da Molteni&C in soli quattro esemplari (e poi in una piccola serie dall’Atelier Bruno Longoni di Cantù), e le caffettiere La conica e La cupola, progettate ancora negli anni ’80 per l’azienda Alessi.

Aldo Rossi, caffettiera espresso La conica, 1984, Alessi © Eredi Aldo Rossi, c. Fondazione Aldo Rossi

Aldo Rossi, pentola La cubica, 1991, Alessi. Museo Alessi. © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

Proprio questi oggetti sono oggi protagonisti della mostra Aldo Rossi. Design 1960-1997, fino al 2 ottobre al Museo del Novecento di Milano con la curatela di Chiara Spangaro e un allestimento firmato dall’architetto Morris Adjmi, con cui nel 1986 Rossi aveva aperto il suo studio satellite a New York, scambiandosi idee e materiali via fax (un po’ come i “progetti al telefono” di Vico Magistretti). Più di 350 creazioni esposte (oltre ai prodotti anche disegni, dipinti, prototipi e modelli) e un’attitudine: quella di trasformare un’architettura destinata all’esterno in un oggetto domestico da inserire all’interno di un altro edificio, di un’altra architettura. Rossi non era un designer di mobili, ma un architetto; si era formato a Milano con Ernesto Nathan Rogers e Giuseppe Samonà, laureandosi al Politecnico nel 1959 (il relatore era Piero Portaluppi). Ogni suo progetto di design era quindi una piccola architettura la cui presenza nello spazio abitativo era a volte imponente, a volte molto discreta.

Aldo Rossi, Serie di mobili Fiorentino, 1992-1995. Collezione Bruno Longoni Atelier d’arredamento, Cantù © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

Aldo Rossi e Luca Meda, libreria modulare Piroscafo, 1992. Molteni&C, Giussano. Molteni Museum © Eredi Aldo Rossi, courtesy Molteni&C.

Aldo Rossi, libreria componibile Cartesio, 1994, e tappeti con ARP Studio, 1986. © Eredi Aldo Rossi,
courtesy Fondazione Aldo Rossi

Aldo Rossi, Armadio Cabina dell’Elba, 1982, Bruno Longoni Atelier d’arredamento, Cantù © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

Il caso della Cabina dell’Elba è esemplare. Presentata al Salone del Mobile del 1980, non incontrò il favore del pubblico, un po’ perché atipica rispetto alla produzione industriale dell’epoca e un po’ perché le notevoli dimensioni la rendevano poco adatta a un ambiente domestico. Il progetto nasceva dalla fascinazione dell’architetto per le cabine bianche e azzurre che punteggiavano le spiagge della Versilia e dell’Isola d’Elba e che già dalla metà degli anni ’70 erano diventate un elemento ricorrente nei suoi disegni. Anche la caffettiera per lui era un tipo di costruzione, ovvero un’architettura con la cupola «tra l’Antonelli e le cupole ottocentesche». Prima che di De Chirico e della pittura metafisica, diceva di essere innamorato della cultura iberica e si vantava di essere uno dei pochi italiani a parlare lo spagnolo. Il critico dell’architettura Luigi Prestinenza Puglisi racconta con malcelato disprezzo che, nel periodo in cui insegnava ergonomia, alla prima lezione mostrava La conica come esempio di “caffettiera del masochista” (ci sono buone probabilità di ustionarsi, spiega), contrapponendola a quella disegnata, sempre per Alessi, da Richard Sapper, «lui sì un vero designer».

Chi detesta Aldo Rossi lo accusa di essere ripetitivo e triste, ieratico fino al monumentalismo, bloccato in una visione da convento, da struttura carceraria «che avrebbe suscitato l’interesse del Michel Foucault di Sorvegliare e punire» (lo scrive ancora Prestinenza Puglisi). Un altro critico, Bruno Zevi, ha definito il suo cimitero di San Cataldo a Modena (1971) una «necropoli di asettiche stravaganze». Chi lo ama, al contrario, ne elogia la visione dello spazio urbano come palcoscenico delle umane vicende, alternarsi di eventi pubblici e tragedie private, fatti nuovi e antichi. Il suo libro L’architettura della città, pubblicato per la prima volta nel 1966 e subito diventato un testo di riferimento nella letteratura urbanistica del tempo, è stato adottato da università di tutto il mondo, contribuendo in modo decisivo alla crescita degli studi sulla città.

Aldo Rossi, Riflessi della luce elettrica sull’acciaio,1985, Collezione privata. © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

Aldo Rossi, Studio per tappeto, 1986, Collezione privata © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

Primo architetto italiano a ricevere nel 1990 il Pritzker Prize, negli ultimi anni era venerato come un maestro, conteso come una star. Le sue conferenze richiamavano folle da concerti rock, mentre molti dei suoi progetti finali, come qualcuno ha osservato, più che “di” Aldo Rossi, sembravano “alla” Aldo Rossi. L’architetto romano Carlo Aymonino, con cui tra gli anni ’60 e ’70 Rossi aveva progettato il complesso residenziale Monte Amiata nel quartiere Gallaratese a Milano, spiegava che lo studio dell’amico era composto a malapena da cinque architetti e che quindi il suo modo di affrontare il lavoro per lui restava un mistero. Secondo l’americano Peter Eisenman, i disegni di Rossi erano densi di pensiero molto più degli edifici e quanto i suoi scritti. Del resto Rossi lo diceva spesso a Daniel Libeskind: «Io e te non dovremmo fare gli architetti, avremmo molto più successo se facessimo film o scrivessimo libri, o ancor più se non facessimo niente, semplicemente vivendo».

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