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L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.
C’è un’associazione simile agli Alcolisti Anonimi che aiuta le persone dipendenti dall’AI Si chiama Spiral Support Group, è formato da ex "tossicodipendenti" dall'AI e aiuta chi cerca di interrompere il rapporto morboso con i chatbot.
I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
Il primo grande tour annunciato per il 2026 è quello di Peppa Pig, al quale parteciperà pure Baby Shark La maialina animata sarà in tour in Nord America con uno show musicale che celebra anche i dieci anni di Baby Shark.

L’Africa non è un solo grande Paese

L'ultimo romanzo di Denis Johnson, Mostri che ridono, continua sul sentiero tracciato da Conrad per scrivere di un continente violento e difficile.

17 Gennaio 2017

Ho appena terminato la lettura di Mostri che ridono di Denis Johnson quando, per pure circostanze di uscite editoriali programmate chissà quando, e un viaggio prenotato mesi prima, guido una piccola auto tedesca affittata sulla N2 diretto verso Città del Capo, attraversando le township di Khayelitsha e quella più piccola e antica di Lanfa. Ai lati della strada, pianure di case di legno e lamiera e talvolta mattoni, popolate dalla popolazione colored non ammessa, durante l’era dell’apartheid, nei centri urbani. Mentre guido, cerco di concentrarmi sulle parole di Binyavanga Wainaina pubblicate su Granta, ripetendomi: «L’Africa non è un solo grande Paese».

L’ultimo romanzo di Denis Johnson non c’entra niente con il Sudafrica. È una spy story intrecciata al romanzo d’avventura che parte come un cerchio dalla Sierra Leone e si estende all’Uganda e alla Repubblica Democratica del Congo per tornare dopo poco al punto di partenza, sulle stesse coordinate geografiche ma con un destino capovolto rispetto all’inizio, come se il cerchio fosse disegnato da Escher e fosse illusione da un lato e verità dall’altro. Le figure in scena sono due, il danese Roland Nair, capitano di intelligence di un’agenzia Nato, e Michael Adriko, ugandese, addestrato dal Mossad, ex soldato americano, ora disertore. Insieme, negli anni passati, Nair e Adriko hanno combattuto e fatto soldi in molti luoghi e modi non sempre trasparenti, dall’Afghanistan all’Africa. Ora si ritrovano, per fare altri soldi con altri traffici: quello di informazioni riservate, quello di uranio arricchito.

KENYA-WILDLIFE-CONSERVATION-IVORY-BURN

Quello che aveva scritto Binyavanga Wainaina, su Granta, era un manuale su come non scrivere di Africa. Su come non descrivere i tramonti rossi, su come non parlare di Ak-47, su come non umanizzare gli elefanti e i coccodrilli e i leoni e disumanizzare gli esseri umani. L’Africa c’entra molto con Mostri che ridono. Una trama del genere non potrebbe esistere che in Africa. Ancora: «L’Africa non è un solo grande Paese». Confronto il libro di Denis Johnson con le regole di Wainaina, e mi sembra che Johnson riesca a evitare le trappole. Denis Johnson, naturalmente, non è uno sprovveduto. Avere avuto come padre un membro della Cia e dei servizi segreti statunitensi, d’altronde, è un grande aiuto nel non essere sprovveduti.

Nair e Adriko hanno, con l’Africa, un rapporto estetico e opportunistico. Sono tornati dopo anni in Africa perché in Africa ci sono opportunità. Le opportunità sono ricchezza, possibilità molto rischiose di ricchezza sterminata. Naturalmente, illegale. Quella che potrebbe sembrare una convenzionale storia di spie e intrighi internazionali prende quasi immediatamente, tuttavia, una deviazione oscura. La prima avvisaglia è il primo incontro tra Nair e Adriko a Freetown. Nair chiede all’amico spiegazioni sul piano da attuare. Nella risposta di Adriko si avverte forte, esplicito il respiro di Kurtz di Cuore di Tenebra: «Vuoi un piano? Ti darò solo risultati. Vivrai come un re. Una proprietà sulla spiaggia. Cinquanta uomini armati di Ak per proteggerti. Gli abitanti del villaggio verranno da te per ogni cosa. Ti porteranno le figlie dodicenni… vergini, Nair, con quelle non si prende l’Aids. Ne avrai una nuova ogni notte. Cinquecento uomini nella tua milizia. Sai che lo vuoi. Danze notturne, grandi falò, stregoni che allungano le braccia come pitoni e si trasformano in animali di ogni sorta, e poi tamburi, e danzatori nudi, tutto per te, Nair!».

An African Safari

La pazzia è uno dei filtri principali che Conrad utilizzò – non soltanto in Cuore di tenebra, ma pure in Un avamposto del progresso – per colorare la sua critica alla ferocia del colonialismo ottocentesco. Denis Johnson maneggia la stessa ricetta, adattando gli ingredienti al palato necessariamente diverso – globalizzato, capitalistico – della letteratura del Ventunesimo secolo: comunicazioni criptate, basi segrete di intelligence straniera, le cicatrici nella pelle sociale ed economica di processi di decolonizzazione e autogoverno mai, o quasi, democratici e liberali. L’Africa in cui si muovono Nair e Adriko è uno spazio naturale e politico la cui verginità non si è ancora esaurita, e le ricchezze da predare sono ancora vastissime. Nair e Adriko sono spie e avventurieri e bucanieri. In questo senso, il territorio in cui gli eventi si svolgono ricorda le lande da esplorare, silenziosamente e nascosti, del Grande gioco di Peter Hopkirk. L’espressione “grande gioco”, coniata da Kipling, descrive l’attività di spionaggio, controspionaggio e soft power che impegnò per un secolo, l’Ottocento, Inghilterra e Russia in Asia Centrale, nel tentativo di conquistare, poi politicamente e militarmente, enormi distese di steppe da annettere ai rispettivi imperi. Mostri che ridono si tiene in equilibrio su una domanda a cui è difficile rispondere: cos’è oggi l’Africa per i Paesi che un tempo se la divisero?

Nair e Adriko non si muovono da soli: le ombra che incontrano, schivano e contro cui a volte impattano sono quelle di eserciti ufficiali occidentali, della Nato, dell’Interpol. È un mondo buio, deregolato e estremamente sovraffollato, quello creato da Denis Johnson. Parlare di Africa oggi è un’operazione rischiosa, come ha dimostrato Binyavanga Wainaina, ma Mostri che ridono sembra aver trovato un sentiero originale e potenzialmente molto interessante. Non è un’opera-mondo, è anzi, nella bibliografia di Johnson, un tentativo, un romanzo minore, eppure un inizio. Non l’accurato reportage socio-economico, ma il risvolto intimo e spaventoso dello sfruttamento che continua oggi. Se Conrad scrisse per primo della violenza e dell’orrore, Johnson può continuare a percorrere quella strada, su cui sembra poter trovare gli stessi frutti. Soltanto più subdoli, un poco più nascosti.

Nelle immagini: Due elefanti nella riserva di Lewa, in Kenya (Roberto Schmidt/Afp/Getty Images); un mucchio di avorio confiscato dalle autorità keniote (Carl De Souza/Afp/Getty Images); una giraffa in Botswana (Cameron Spencer/Getty Images)
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