Attualità

Addio, Monti

Ereditiere, escort, palazzinari, e in mezzo minimarket bio, aperitivi aspirazionali, loft, festival letterari e slow food. Un estratto di Addio, Monti, il primo romanzo di Michele Masneri (minimum fax).

di Michele Masneri

Siamo qui da oltre mezz’ora in questa Sma pregiatissima di via dell’Amba Aradam con le famigliole che si affollano per lo spesone domenicale, e forse non è stata una grande idea venirci proprio di domenica, nel tardo pomeriggio, doveva essere l’ora del cazzeggio ma è invece tutta una cosa di strepiti e urla middle class intorno alle cassiere giustamente isteriche, con le mèche in decomposizione sulle teste pesanti di pensieri faticosi. Non c’è dubbio, è una vera e propria coda, da rientro dal mare, da weekend pasquale, tutti con i carrelli zeppi di junk food – gli altri, non noi – e ognuno attento alle precedenze, ai sensi di marcia, alle possibili collisioni: non c’è traccia di quel dominio dei sensi che era un tempo questa Sma: pregiatissima ancorché rara – a Monti si sa non esistono i supermarket, al povero residente senza neanche uno straccio di Smart vien buttata in faccia ogni volta questa sua fatale condizione. Gloria poi mi deve raccontare di questo suo nuovo lavoro alle edizioni New Limina, è chiaramente un buonissimo periodo, ha smesso i fiori di Bach e soprattutto si è lasciata alle spalle le sofferenze gratuite con Federico, son più di due anni, dice, e però sono rimasti molto amici e si sentono spesso per parlare dei loro attacchi di panico e forse domani andranno anche a Cape Cod cioè Capocotta insieme, se è bello.

Intanto niente, la fila non si muove. Non c’è che dire, siamo al proseguimento dell’ingorgo con altri mezzi: si era notato già sulla via Merulana, bloccati davanti ai palazzi degli Ori e dei Pescecani, imbottigliati tra tram e vetturette in trepida attesa: tutto un serpentone di famigliole, e anche coppie, tristi e non, emozionate, dirette verso l’Appia Nuova, l’Eur, Santa Croce in Gerusalemme, forse anche verso il mare. A quest’ora? La coda arriva ormai fino a metà del reparto Igiene Personale, il transito è impedito lateralmente, gli umori peggiorano, si vedono sguardi inferociti di odio, si odono già dentiere impiegatizie digrignanti. Una coppia un tempo distinta si avvicina diagonalmente al flusso immoto dei carrelli, lei spinge, lui bofonchia, trascinando un cappotto di cammello ex signorile liso fino ai piedi che spazza tutto il pavimento – non avran capito, faran finta? – e tentano di infilarsi, così: senza dire una parola, avanzando a strattoni, infilandosi in un pertugio inesistente tra altri carri carichi di odio e di Quattro Salti in Padella. Nessuno s’impietosisce, nessuno fa spazio. Il carrello metallico si avvicina sempre più al suo simile, gli sguardi sono fissi e vitrei. La fine della coda non si vede. La signora prova un blitz. Alle nostre spalle una voce: strozzata, gutturale, malvagissima: «Aho, qua tocca fare muro».

Che poi questa gloriosa Sma dell’Amba Aradam un tempo era considerata la punta di diamante della Grande Distribuzione Organizzata Romana: dotata di parcheggio interrato con ascensore, grande reparto vini, forneria e pasticceria col suo buon profumo vanigliato (che tanto si sa che viene irrorato artificialmente con gli spray: serve a invogliare all’acquisto, me l’hanno insegnato al primo anno di marketing alla Luiss). Ma soprattutto il vero atout: il reparto giornali, con tutti i quotidiani e le riviste anche quelle più impensabili, come ad esempio Il Mio Cavallo, e infatti qua in molti vengono proprio per sfogliarli, i giornali, e i più arditi si portano via anche gli inserti: come anche adesso, eccoli, questi due li avevo già notati – lui, più che altro – in piazza Santa Maria Maggiore, sui trenta, arcigni, vespone verde bottiglia targato mi, adesivo sbiadito «Scuola di Sci – Cortina», tutti e due coi caschetti azzurri, perfettamente ton sur ton con la borsa di lei di tela da cui spunta addirittura un Meridiano.

Adesso rieccoli qui, nel reparto giornali: lui alto alto, magrissimo, i capelli lunghi, neri, corvini, intorno a una faccia cattiva (la farà soffrire?) da so-tutto-io, la Lacoste verde smeraldo sdrucita il giusto, che sfoglia nervosamente un MicroMega; lei invece rossa, smunta, lo sguardo colpevole (sarà vittima o sarà carnefice?) sotto il capello sfibrato e sofferente, e due occhiaie larghe così. Avrà pianto? Deve sbagliare subito qualcosa perché lui sbuffa e se ne va urlando: «Non il Domenicale, ho detto Internazionale. Internazionale», poi esce da una porta laterale allarmata che però non suona, si accende una sigaretta, fa due tiri, la butta per terra, e subito si mette a girare nervosamente la rotellina del suo BlackBerry.

Gloria intanto sbianca e ride, le cadono anche queste polpettine vegetariane rarissime che aveva trovato con fatica, e dice: «Non ci posso credere» e scuote la testa, e poi: «Sono gli Affamatori, è tutta colpa loro. Evitati per anni – e del resto Monti si conferma un buco nero, ho conosciuto colleghi in casa editrice che vivono a via Panisperna da sempre e davvero non si sono mai visti in giro: tutti sempre nel medesimo biologico, o da Giacomo, alle sette, a bere appoggiati alle macchine fuori coi bicchieri sul cofano: salutandosi ogni sera, anche un po’ claustrofobico. Poi però, all’improvviso, tutti risucchiati, non li incontri mai più se non fuori del quartiere, al Lanificio alle quattro del mattino, o a Salina, a Torino al Salone, solo in posti stranissimi. Come qui, adesso».

Si appoggia a un obelisco d’ammorbidenti e ne fa anche cadere qualcuno. Mi tira con tutto il cestelletto che gentilmente porto, carico di pasta al kamut, uova biologiche e ruchette rare d’agricolture integrate, altre leccornie geneticamente corrette, mi trascina via dalla fila, torniamo indietro: eccoci dunque agli alcolici. Qui però, altro grande sturbo: il Tanqueray è finito, e c’è solo l’orrido Gordon’s, accanto alla sua imitazione bresciana, i lime quindi comprati per niente, e «Lasciamo qui tutto e ce ne andiamo?», fa allora attonita, con gli occhi gelidi e lattiginosi, i soliti laghetti di montagna di quando è nelle sue disperazioni proverbiali. Sospira, languisce, freme; s’appoggia a uno stand di porchette in offerta, trasalisce e inorridisce: e non si sa se per la vicinanza della proteina animale o per la presenza degli Affamatori. Scappa. Si siede per terra, sembra morta. Prende una magnum di Berlucchi, poi ci ripensa, sgrana gli occhi, mette nel cestino una bottiglia di Talisker, anzi due. Sospira ancora. Prende fiato.

 

Nell’immagine: dettaglio della copertina del libro.

Le illustrazioni nel testo sono di Karin Kellner, tratte dal numero 18 di Studio

 

Addio, Monti, è uscito in libreria il 25 gennaio 2014 per i tipi di minimum fax